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Plinius, naturalis historia 35,98 - Lettere e filosofia

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espressione e vita al movimento delle mani; specialmente nella passione, il volto più eloquente è<br />

insignificante senza di esse. Le braccia, chiuse strette lungo il corpo dalle spire dei serpenti,<br />

avrebbero diffuso gelo e morte sull’intero gruppo. Perciò le vediamo, sia nella figura principale<br />

che in quelle secondarie, in piena attività, e occupate soprattutto là dove il dolore è più violento.<br />

Virgilio fa avviluppare i serpenti per ben due volte attorno al corpo e al collo di Laocoonte, e fa<br />

che lo sovrastino alto con le teste: Bis medium amplexi, bis collo squamea circum / terga dati,<br />

superant capite et cervici bus altis. [Verg. Aen. 2,218-219] […] Gli antichi scultori capirono al<br />

primo sguardo che la loro arte abbisognava qui di un completo mutamento. Essi spostarono tutte le<br />

spire del corpo e del collo ai fianchi e alle gambe. Lì queste spire potevano coprire e premere ciò<br />

che era necessario senza danno per l’espressione. Lì suscitavano nel contempo l’idea della fuga<br />

impedita e un tipo di immobilità che è molto vantaggiosa per la durata artificiale di questo stato.<br />

[…] Il Laocoonte di Virgilio è nei suoi paramenti sacerdotali, e nel gruppo egli appare, insieme ai<br />

due figli, completamente nudo. Si dice che ci sia gente che trovi incongruente il fatto che il figlio<br />

di un re, un sacerdote, durante un sacrificio, sia rappresentato nudo. E a questa gente alcuni esperti<br />

d’arte rispondono in perfetta serietà che invero si tratta di un errore rispetto alla norma, ma che gli<br />

artisti vi furono costretti perché non potevano dare alle loro figure alcuna veste conveniente. La<br />

scultura, essi dicono, non può imitare le stoffe […] Per il poeta un drappo non è un drappo; non<br />

copre nulla; la nostra immaginazione lo penetra dappertutto. L’abbia o non l’abbia il Laocoonte di<br />

Virgilio, il suo dolore è visibile in ogni parte del corpo sia nell’uno sia nell’altro caso. Per<br />

l’immaginazione la fronte è solo avvolta dalla benda sacerdotale, ma non nascosta. Anzi questa<br />

benda non solo non impedisce, ma rafforza il concetto che noi ci facciamo dell’infelicità di chi<br />

soffre: Perfusus sanie vittas atroque veneno [Verg. Aen. 2,221]. A nulla gli serve la sua dignità<br />

sacerdotale; anche il segno di essa [scil. la benda], che gli procura considerazione e venerazione,<br />

viene impregnato e profanato dalla bava velenosa. Ma a questa idea accessoria l’artista doveva<br />

rinunciare se non voleva danneggiare l’opera principale. Se avesse lasciato a Laocoonte anche solo<br />

questa benda, avrebbe indebolito sensibilmente l’espressione. La fronte sarebbe stata in parte<br />

coperta, e la fronte e la sede dell’espressione […].<br />

La mia ipotesi che gli artisti abbiano imitato il poeta non ne diminuisce il merito. La loro<br />

accortezza, anzi, appare migliore grazie a questa imitazione. Essi seguirono il poeta senza per<br />

questo farsi fuorviare da lui nella più minuta piccolezza. Essi avevano un modello, ma poiché<br />

dovevano tradurre tale modello da un’arte all’altra, ebbero sufficienti occasioni per pensare<br />

autonomamente. […] [trad. di M. Cometa]<br />

4) G.E. Lessing, Laocoonte. Praef., nota [1766]<br />

[Quanto al quadro che Eumolpo commenta in Petronio], esso rappresentava la distruzione di Troia<br />

e, in particolare, la storia di Laocoonte, proprio come Virgilio la narra; e poiché nella stessa<br />

galleria di Napoli in cui esso era conservato stavano anche altri antichi quadri di Zeusi, Protogene<br />

e Apelle, si potrebbe supporre che anch’esso sia stato un quadro dell’antichità greca. Solo mi si<br />

consenta di non considerare uno scrittore di romanzi alla stessa stregua di uno storico. Questa<br />

galleria, e questi quadri, e persino questo Eumolpo sembrano, a quanto pare, non essere esistiti che<br />

nella fantasia di Petronio. Nulla tradisce maggiormente il loro carattere del tutto fittizio, che le<br />

palesi tracce di un’imitazione quasi scolastica della descrizione di Virgilio […]. I tratti principali<br />

sono gli stessi in entrambi i passi e cose diverse sono espresse con le medesime parole. Tuttavia<br />

queste son piccolezze che saltano agli occhi da sole. Vi sono altri segni dell’imitazione che sono<br />

più sottili, ma non per questo meno certi. Se l’imitatore è un uomo, che ha fiducia in se stesso,<br />

raramente imita senza voler abbellire; e quando questo abbellimento gli è, a parer suo, riuscito, è<br />

abbastanza furbo da cancellare con la coda le orme che tradirebbero il cammino sin lì percorso. Ma<br />

proprio questa vana smania di abbellire, e questa preoccupazione di apparire originale lo<br />

smascherano. Poiché il suo abbellimento non è altro che esagerazione e innaturale leziosaggine.<br />

Virgilio dice sanguineae iubae [Verg. Aen. 2,206-207]; Petronio liberae iubae luminibus<br />

coruscant [Petron. 89,38-39]; Virgilio ardentes oculos suffecti sanguine et igni [Verg. Aen. 2,210];<br />

Petronio fulmineum iubar incendit aequor. Virgilio fit sonitus spumante salo [Verg. Aen. 2,209];<br />

Petronio sibilis undae tremunt [Petron. 89,40]. Così l’imitatore passa sempre dal grande al<br />

mostruoso, dal meraviglioso all’impossibile. I fanciulli avviluppati dai serpenti sono per Virgilio<br />

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