kudiovwn: uJyou' de; kavrh e[cei, ajmpi; de; cai'tai w[moi" ajivssontai: oJ d’ajglaivhfi pepoiqwv", rJivmfa eJ gou'na fevrei metav t’h[qea kai; nomo;n i{ppwn. Ennius hinc traxit: et tum sicut equus qui de praesepibus fartus vincla suis magnis animis abrupit, et inde fert sese campi per caerula laeta que prata celso pectore, saepe iubam quassat simul altam; spiritus ex anima calida spumas agit albas. Vergilius: qualis ubi abruptis fugit praesepia vinclis ... et cetera. 11
Appendice Lessing, Petronio, Virgilio e il ‘gruppo del Laocoonte’ 1) Plin. NH 36,36-37 Nec deinde multo plurium fama est, quorundam claritati in operibus eximiis obstante numero artificum, quoniam nec unus occupat gloriam nec plures pariter nuncupari possunt, sicut in Laocoonte, qui est in Titi imperatoris domo, opus omnibus et picturae et statuariae artis praeferendum. ex uno lapide eum ac liberos draconum que mirabiles nexus de consilii sententia fecere summi artifices Hagesander et Polydorus et Athenodorus Rhodii. 2) J.J. Winkelmann, Il bello nell’arte. Scritti sull’arte antica [1756] […] Come la profondità del mare che resta sempre in quiete, per quanto la superficie infuri, l’espressione nelle figure dei greci manifesta, in tutte le passioni, un’anima grande e composta. Quest’anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del Laocoonte, e non solo nel volto. Il dolore, che traspare in tutti i muscoli e i tendini del corpo e che da solo, senza badare al viso e alle altre parti, quasi crediamo di sentire noi stessi, al cospetto del ventre convulsamente contratto, questo dolore -dico- non si esprime affatto con segni di furore nel volto e nella posizione. Egli non leva alcun orribile grido come canta Virgilio del suo Laocoonte: l’apertura della bocca non lo consente; è piuttosto un sospiro angosciato e represso […]. Il dolore del corpo e la grandezza dell’anima sono distribuiti con eguale intensità, e quasi bilanciati, nell’intera struttura della statua […] [trad. di F. Pfister]. 3) G.E. Lessing, Laocoonte. Praef. [1766] […] L’osservazione che qui sta a fondamento, secondo cui il dolore non traspare dal volto di Laocoonte con quel furore che si dovrebbe supporre vista la sua violenza, è perfettamente giusta. […] Oso esser d’altra opinione solo per quel che riguarda la motivazione [addotta da Winckelmann]. […] Il maestro [scultore] mirava alla somma bellezza, accettando i condizionamenti del dolore fisico Questo, in tutta la sua violenza deturpante, non si lasciava conciliare con quella. Egli lo dovette perciò mitigare; dovette ridurre le grida in sospiri; non perché il gridare tradisse un’anima volgare, ma perché stravolge il volto in modo disgustoso. […] Do una scorsa alle ragioni addotte per cui l’autore del Laocoonte dovette osservare la misura nell’espressione del dolore fisico, e trovo che esse nascono tutte dalla peculiare natura dell’arte e dalle sue necessarie limitazioni ed esigenze. Difficilmente, dunque, una qualunque di esse si potrebbe applicare alla poesia […]. Quando il Laocoonte di Virgilio grida, a chi viene in mente che per gridare occorre spalancare la bocca e che questa bocca spalancata è brutta? Basta che clamores horrendos ad sidera tollit [Verg. Aen. 2,222] sia un tratto sublime per l’udito, e sia quel che sia per la vista. […]. Vi sono conoscitori dell’antichità che considerano il gruppo del Laocoonte un’opera di artisti greci, ma del tempo degli imperatori, perché credono che il Laocoonte di Virgilio abbia fatto da modello […]. Sia o no dimostrato che gli scultori hanno imitato Virgilio, voglio ammetterlo un istante per vedere come l’avrebbero in tal caso imitato. […] L’idea di far avvincere dai serpenti assassini in un nodo il padre con i suoi figli è senza dubbio un’idea assai felice, che testimonia di una fantasia straordinariamente pittorica. A chi va attribuita? Al poeta o agli artisti? […] Il poeta [scil. Virgilio] ha descritto serpenti di prodigiosa lunghezza. Essi hanno stretto i bambini e, poiché il padre è corso in aiuto, afferrano anche lui (corripiunt) [Verg. Aen. 2,217]. Data la loro lunghezza non potevano svincolarsi d’un tratto dai bambini; ci dovette dunque essere un momento in cui avevano già assalito il padre con le teste e le parti anteriori, mentre con le code avvinghiavano ancora i figli. […] Negli stessi avvolgimenti in cui il poeta lascia che i serpenti stringano Laocoonte, egli evita accuratamente le braccia, in modo da lasciar alle mani tutto il loro effetto: Ille simul minibus tendit divellere nodos [Verg. Aen. 2,220]. Qui gli artisti dovevano necessariamente seguirlo. Nulla dà più 12
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