1 DISPENSA DI LETTERATURA LATINA A.A. 2009-2010 PROF ...

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1) Held. 1,1 sgg. “Il giorno appena sorrideva e il sole illuminava con i suoi raggi le cime dei monti, quando degli uomini armati da briganti sbucarono sopra l’altura che si estende presso le foci del Nilo, la cosiddetta bocca di Eracle. Fermatisi un momento, perlustravano con gli occhi il mare sottostante: dapprima gettarono lo sguardo sul mare aperto, ma, poiché, non solcato da imbarcazioni, non prometteva alcuna preda, approdavano con l’occhio alla riva vicina. Ecco quel che c’era. Una nave era ormeggiata da poppa, vuota di equipaggio ma carica di mercanzia, come era possibile capire anche a distanza, perché il peso spingeva l’acqua fino a lambire la terza fascia della nave. Sulla riva c’era un cumulo di corpi appena massacrati, gli uni morti del tutto, gli altri mezzo morti, alcune membra che ancora palpitavano e mostravano che la battaglia era finita da poco […]. La nave, abbandonata, era priva di equipaggio eppure intatta come fosse custodita da molti uomini e ondeggiava in piena tranquillità […]”. (trad., qui e altrove, a cura di O. Vox) 2) Held. 5,24 “Quando ormai erano vicini, uno di quelli che si erano imbarcati con noi a Zacinto gridò: ‘È proprio lui, amici, siamo finiti! È una banda di pirati, riconosco la lancia di Trachino’. A quella notizia la nave fu sconvolta e, in piena bonaccia, era in preda a una tempesta, nell’agitazione causata da scompiglio, lamenti, corse confuse: alcuni si rifugiavano nella stiva, altri si incitavano l’un l’altro a combattere sul ponte, altri volevano saltare sulla scialuppa di salvataggio e fuggire […]. Io e Cariclea, avvinghiati a Teagene, a fatica riuscivamo a frenarlo, tutto esaltato e focoso com’era all’idea della battaglia: Cariclea, per non esserne separata neppure nel momento di morire - così diceva - e perché una sola spada e un solo colpo la facessero partecipare a una sofferenza uguale […] ”. 3) Held. 5,27 “Mentre avevano luogo questi discorsi e questi avvenimenti, il sole, arrivato esattamente al tramonto, aveva prodotto il crepuscolo, a metà strada fra giorno e notte, e il mare improvvisamente si inasprì, forse subendo un cambiamento del tempo, ma forse anche per volontà del destino. Si udiva il rimbombo del vento che stava per piombare e, immediatamente dopo, un soffio impetuoso e violento si abbatté sulla nave e per la sorpresa riempì i pirati di panico […]: così tutte le operazioni venivano improvvisate da chi capitava e ognuno si pretendeva autodidatta in un compito diverso; alcuni tiravano su disordinatamente le vele, altri distribuivano senza competenza le funi, e uno da impreparato s’incaricava della prua, un altro occupava la poppa e la barra del timone. Certo che a condurci al rischio estremo non fu tanto la violenza della tempesta […] quanto l’inesperienza di chi teneva il timone, che tenne duro finché brillò un riflesso della luce del giorno, ma cedette quando regnò l’oscurità. […]. Finché, passata a stento quella notte e poi il giorno successivo, verso sera prendemmo terra in un punto della costa vicino alla bocca Eracleotica del Nilo e noi, disgraziati, senza che lo volessimo, mettemmo piede sulla terra egiziana. 4) Ach. Tat. 3,1 sgg. “Il capitano ordinava di ruotare l’antenna. E i marinai si davano da fare per ruotarla: da una parte raccoglievano la vela da un lato sopra il pennone, a forza (perché il vento, abbattendosi più violento, non permetteva di tirare nell’altro senso), dall’altra tentavano di tenere sotto controllo l’ampiezza di prima dal lato opposto, lungo il quale il vento era temporaneamente favorevole alla virata. 38

*** I) Petron. 101,7 Fingite, inquit, nos antrum Cyclopis intrasse. Quaerendum est aliquod effugium, nisi naufragium ponimus et omni nos periculo liberamus. ponimus codd. Bücheler: patimur Fuchs Müller 2 : †ponimus† scil. optamus Müller 4 a) Quint. 1,10,33 est etiam non inerudite ad declamandum ficta materia in qua ponitur tibicen […] accusari. *** II) Petron. 103,1-6 1) “Ne istud dii hominesque patiantur Eumolpus exclamat- ut vos tam turpi exitu vitam finiatis! Immo potius facite quod iubeo. Mercennarius meus, ut ex novacula comperistis, tonsor est: hic continuo radat utriusque non solum capita, sed etiam supercilia. 2) Sequar ego frontes notans inscriptione sollerti, ut videamini stigmate esse puniti. Ita eaedem litterae et suspicionem declinabunt quaerentium et vultus umbra supplicii tegent”. 3) Non est dilata fallacia, sed ad latus navigii furtim processimus, capitaque cum superciliis denudanda tonsori praebuimus. 4) Implevit Eumolpus frontes utriusque ingentibus litteris, et notum fugitivorum epigramma per totam faciem liberali manu duxit. 5) Unus forte ex vectoribus, qui acclinatus lateri navis exonerabat stomachum nausea gravem, notavit sibi ad lunam tonsorem intempestivo inhaerentem ministerio, execratusque omen, quod imitaretur naufragorum ultimum votum, in cubile reiectus est. 6) Nos dissimulata nauseantis devotione ad ordinem tristitiae redimus, silentioque compositi reliquas noctis horas male soporati consumpsimus. *** III) Petron. 104,5-105,2 Is qui nocte miserorum furtum deprehenderat,Hesus nomine, subito proclamat: “Ergo illi qui sunt, qui nocte ad lunam radebantur pessimo medius fidius exemplo? Audio enim non licere cuiquam mortalium in nave neque ungues neque capillos deponere, nisi cum pelago ventus irascitur”. [...] “Nec in eodem futurus navigio auspicium mihi feci”. *** IV) Petron. 105,1 «itane» inquit «capillos aliquis in nave praecidit, et hoc nocte intempesta?» a) Varr. l.Lat. 6,7 nox intempesta […] cum tempus agendi est nullum. b) Serv. ad Verg. Aen. 12, 846 nox in tempesta – perpetuum est noctis epitheton. Alio modo dicimus intempestam, partem noctis significantes. c) Serv. ad Verg. Aen. 10,184 INTEMPESTAEQUE GRAVISCAE Graviscanum oppidum alii intempestum dicunt ventis et tempestatibus carens: quod nulla potest ratione contingere. […] intempestas intellegas sine temperie, id est tranquillitate. *** V) Petron. 107,12; 107,14 Intellego, inquit, nihil magis obesse iuvenibus miseris, quam quod nocte deposuerunt capillos […] Nec tamen putaverunt ad rem pertinere, ubi inciperent quod placuerat ut fieret, quia nec omen nec legem navigantium noverant. 39

1) Held. 1,1 sgg.<br />

“Il giorno appena sorrideva e il sole illuminava con i suoi raggi le cime dei monti, quando degli<br />

uomini armati da briganti sbucarono sopra l’altura che si estende presso le foci del Nilo, la<br />

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dapprima gettarono lo sguardo sul mare aperto, ma, poiché, non solcato da imbarcazioni, non<br />

prometteva alcuna preda, approdavano con l’occhio alla riva vicina. Ecco quel che c’era. Una nave<br />

era ormeggiata da poppa, vuota di equipaggio ma carica di mercanzia, come era possibile capire<br />

anche a distanza, perché il peso spingeva l’acqua fino a lambire la terza fascia della nave. Sulla riva<br />

c’era un cumulo di corpi appena massacrati, gli uni morti del tutto, gli altri mezzo morti, alcune<br />

membra che ancora palpitavano e mostravano che la battaglia era finita da poco […]. La nave,<br />

abbandonata, era priva di equipaggio eppure intatta come fosse custodita da molti uomini e<br />

ondeggiava in piena tranquillità […]”.<br />

(trad., qui e altrove, a cura di O. Vox)<br />

2) Held. 5,24<br />

“Quando ormai erano vicini, uno di quelli che si erano imbarcati con noi a Zacinto gridò: ‘È proprio<br />

lui, amici, siamo finiti! È una banda di pirati, riconosco la lancia di Trachino’. A quella notizia la<br />

nave fu sconvolta e, in piena bonaccia, era in preda a una tempesta, nell’agitazione causata da<br />

scompiglio, lamenti, corse confuse: alcuni si rifugiavano nella stiva, altri si incitavano l’un l’altro a<br />

combattere sul ponte, altri volevano saltare sulla scialuppa di salvataggio e fuggire […].<br />

Io e Cariclea, avvinghiati a Teagene, a fatica riuscivamo a frenarlo, tutto esaltato e focoso com’era<br />

all’idea della battaglia: Cariclea, per non esserne separata neppure nel momento di morire - così<br />

diceva - e perché una sola spada e un solo colpo la facessero partecipare a una sofferenza uguale<br />

[…] ”.<br />

3) Held. 5,27<br />

“Mentre avevano luogo questi discorsi e questi avvenimenti, il sole, arrivato esattamente al<br />

tramonto, aveva prodotto il crepuscolo, a metà strada fra giorno e notte, e il mare improvvisamente<br />

si inasprì, forse subendo un cambiamento del tempo, ma forse anche per volontà del destino. Si<br />

udiva il rimbombo del vento che stava per piombare e, immediatamente dopo, un soffio impetuoso<br />

e violento si abbatté sulla nave e per la sorpresa riempì i pirati di panico […]: così tutte le<br />

operazioni venivano improvvisate da chi capitava e ognuno si pretendeva autodidatta in un compito<br />

diverso; alcuni tiravano su disordinatamente le vele, altri distribuivano senza competenza le funi, e<br />

uno da impreparato s’incaricava della prua, un altro occupava la poppa e la barra del timone. Certo<br />

che a condurci al rischio estremo non fu tanto la violenza della tempesta […] quanto l’inesperienza<br />

di chi teneva il timone, che tenne duro finché brillò un riflesso della luce del giorno, ma cedette<br />

quando regnò l’oscurità. […]. Finché, passata a stento quella notte e poi il giorno successivo, verso<br />

sera prendemmo terra in un punto della costa vicino alla bocca Eracleotica del Nilo e noi,<br />

disgraziati, senza che lo volessimo, mettemmo piede sulla terra egiziana.<br />

4) Ach. Tat. 3,1 sgg.<br />

“Il capitano ordinava di ruotare l’antenna. E i marinai si davano da fare per ruotarla: da una parte<br />

raccoglievano la vela da un lato sopra il pennone, a forza (perché il vento, abbattendosi più<br />

violento, non permetteva di tirare nell’altro senso), dall’altra tentavano di tenere sotto controllo<br />

l’ampiezza di prima dal lato opposto, lungo il quale il vento era temporaneamente favorevole alla<br />

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