1 DISPENSA DI LETTERATURA LATINA A.A. 2009-2010 PROF ...

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‘fluctus’, invece, alluderebbe alla causa del moto (i venti), condizione essenziale perché il “flutto” nasca e perduri. Del resto, al di là delle curiose fantasticherie di Isidoro, il senso autentico di ‘fluctus’ si riferisce per davvero alla causa del moto, giacché il vocabolo, valendo originariamente per “corrente” (fluctus da fluo), ne aveva poi, per metonimia, designato l’effetto (l’onda). Più in generale, se nell’uso virgiliano il vocabolo ‘unda’ può essere “sinonimico di mare” e, a sua volta, trovarsi in relazione di “equivalenza semantica con fluctus”, non si possono tuttavia non notare (proprio sulla scorta del metodo perseguito nelle antiche differentiae verborum!) le discrepanze semantiche che separano l’un termine dall’altro: il nutrito numero di occorrenze, che vedono il vocabolo ‘fluctus’ adoperato in iunctura con ‘unda’, lascia intendere che, ove il primo alluda per lo più alla forza della corrente, che, in estensione, si dispiega lungo tutta la massa d’acqua, unda, invece, contenga propriamente l’idea di un movimento verticale, che si manifesta in altezza e che, in più, può riguardare anche singoli fenomeni ondosi meno imponenti dei poderosi “flutti”. Aestus, fretum e gurges: flussi e riflussi, strettoie e vortici dell’acqua che ribolle Quando vollero far passare l’idea del mare in fermento e in subbuglio, agitato dai venti, dalle correnti e da misteriose forze sottomarine, gli antichi ricorsero per lo più a tre vocaboli: aestus, fretum (a volte nella sua variante al maschile, fretus) e gurges. I primi due vocaboli sono oggetto di riflessione, ancora una volta, del vescovo Isidoro (Or. 13,18,1 ss.): Aestus ad Oceanum pertinet, fretus ad utrumque mare. Nam aestus est maris accessus vel recessus, id est inquietudo; unde et aestuaria, per qua mare vicissim tam accedit quam recedit. Fretum autem appellatum quod ibi semper mare ferveat ; nam fretum est angustum et quasi fervens mare, ab undarum fervore nominatum, ut Gaditanum vel Siculum ; nam freta dicta Varro ait quasi fervida, id est ferventia, et motum fervoris habentia. “[Aestus] è […] dell’Oceano; [fretus], invece, è posto tra due mari. Si chiama aestus ossia marea il movimento di flusso e riflusso del mare, ossia la sua instabilità, donde anche il nome aestuarium, dato ai luoghi in cui il mare ora entra ora esce. Il fretum […] è stato invece così chiamato perché in esso il mare sempre fervet, ossia infuria come ribollendo. Uno stretto, infatti, è un ramo di mare angusto e come fervens, ossia ribollente, il cui nome deriva appunto dal fervore delle onde: è il caso, ad esempio, dello stretto di Cadice o di quello di Sicilia. Secondo Varrone [De l. L. 7,22], infatti, gli stretti sono stati chiamati freta, quasi a dire fervida, ossia ferventi e dotati di movimento proprio del fervore”. [trad. di A. Valastro Canale] Servendosi di annotazioni quanto mai note ai docenti e agli studenti del VII sec. (nel frangente, tornava utile affidarsi all’auctoritas varroniana), Isidoro si faceva testimone di uno stadio avanzato di specializzazione di questi vocaboli, ambedue piegati a designare non semplicemente una qualità astratta del mare, ma, più specificamente, una forma, un modo concreto del mare di manifestarsi agli occhi dei naviganti: entrambe le parole, infatti, certamente associate in origine a fenomeni di ebollizione e di fermento dovuti (almeno secondo le credenze antiche) al calore interno dell’acqua, si erano fatte, in seguito, significanti, rispettivamente, del fenomeno delle “maree” (aestus) e della forma angusta, assunta dal mare in prossimità degli “stretti” (freta). Probabilmente connesso con il gr. ai[qw (accendere, infiammare), aestus aveva poi designato, per metonimia (la causa per l’effetto), i particolari momenti nei quali il livello dell’acqua, per effetto del calore in eccesso o in difetto (così -ripetiamo- reputavano gli antichi), si innalzava o si abbassava. Allo stesso modo, ancora per metonimia (il contenuto per il contenente), fretum, la cui origine etimologica era già nel I sec. ricondotta a ferveo e, dunque, all’elevata temperatura e ai movimenti che potevano derivare dall’aggiunta di calore, passò a designare i luoghi in cui particolarmente frequenti e appariscenti erano tali fenomeni di instabilità della superficie marina: fretum, allora, 32

indicando dapprima l’acqua “che ribolle”, valse poi per “gola”, “stretto di mare”. Nelle differentiae verborum di età tardoantica, del resto, si dà quasi per scontato il senso, speciale e concreto, assunto da ‘fretum’, che, a differenza dell’infinito ‘mare’, sempre più spesso doveva indicare le anguste (e pericolose) fauci marine (Diff. Palaem. 4,307 Roth : Inter fretum et mare: fretum est angusti maris fauces, mare est patens et late effusum […]). Quanto a ‘gurges’, la sua appartenenza alla medesima radice di vorare (“inghiottire”) e vorago (“voragine”) determinava un’accezione semantica tesa, più propriamente, a designare i punti in cui la distesa del mare era agitata, in profondità, da moti vorticosi, capaci di risucchiare gli oggetti in superficie, facendoli roteare su se stessi e inghiottendoli, in ultimo, dentro gli abissi. Pur trovandosi, nell’opera virgiliana, larghissimo uso di questo termine, anche con significati meno specifici e più generici (‘gurges’ può indicare anche l’acqua “senza alcuna -evidente- idea di movimento”), tuttavia è indubbio che in esso fosse contenuta l’allusione al movimento, i cui effetti, anche quando invisibili e non superficiali, dovevano interessare le più alte profondità del mare: non a caso lo stesso Virgilio adoperava gurges anche in riferimento alle voragini infernali, turbinose e però fuori dalla vista dei comuni mortali (Aen. 6,296 ss.; 6,741). Profundum e altum, gli invisibili abissi Il sostantivo profundum, nel significato di “mare”, è l’esito di un processo di sostantivizzazione, al quale fu evidentemente sottoposto l’aggettivo profundus, piegato poi a denotare il mare mediante una sua qualità, quella dell’alta profondità dei suoi fondali. Già nell’etimo, profundus rinvia a una direzione spaziale ben precisa: pro-fundus, infatti, è da intendere nel senso di “dal fondo (molto) in avanti”, ossia “verso il basso” e, pertanto, contiene in sé l’idea di verticalità, già implicita in fundus. Altri vogliono che il prefisso pro- sia meglio da intendere nella sua accezione dinamica (“in avanti”), designando, piuttosto, il movimento di allontanamento che, in un qualsiasi oggetto “profondo” (ivi compreso il mare), interessa il fondo, molto distante dalla superficie (PAUL. Fest257 Lindsay profundus quod longe habet fundum). Anche nell’uso virgiliano profundum indicò il mare profondo, l’abisso marino (talora fuso con la distanza senza limiti dell’orizzonte e del cielo: Aen. 12,263 ss.), senza perdere, in più, quell’idea di spazio cavo e, per questo, ignoto, dal contenuto sfuggente e temibile, che lo distinse dal sinonimo ‘altum’, associato, invece, a una più semplice idea di “linearità commensurabile”. Altum, infatti, privo di altre accezioni che non siano quelle puramente spaziali, indicò, a seguito di analogo processo di sostantivizzazione, il mare inteso come spazio nella sua lineare verticalità. Avvezzo ad usare la iunctura “ab alto/ex alto”, anche Virgilio tenne fede a questa accezione: recependo formule già in uso nell’opera lucreziana (cfr., e.g., Lucr. 3,784), il Mantovano racchiuse nella parola ‘altum’, quando riferita al mare, la vasta area semantica che, ad esempio, nella lingua greca trovava i suoi significanti nei vocaboli baquv" e bevnqo". 33

indicando dapprima l’acqua “che ribolle”, valse poi per “gola”, “stretto di mare”. Nelle differentiae<br />

verborum di età tardoantica, del resto, si dà quasi per scontato il senso, speciale e concreto, assunto<br />

da ‘fretum’, che, a differenza dell’infinito ‘mare’, sempre più spesso doveva indicare le anguste (e<br />

pericolose) fauci marine (Diff. Palaem. 4,307 Roth : Inter fretum et mare: fretum est angusti maris<br />

fauces, mare est patens et late effusum […]).<br />

Quanto a ‘gurges’, la sua appartenenza alla medesima radice di vorare (“inghiottire”) e vorago<br />

(“voragine”) determinava un’accezione semantica tesa, più propriamente, a designare i punti in cui<br />

la distesa del mare era agitata, in profondità, da moti vorticosi, capaci di risucchiare gli oggetti in<br />

superficie, facendoli roteare su se stessi e inghiottendoli, in ultimo, dentro gli abissi. Pur trovandosi,<br />

nell’opera virgiliana, larghissimo uso di questo termine, anche con significati meno specifici e più<br />

generici (‘gurges’ può indicare anche l’acqua “senza alcuna -evidente- idea di movimento”), tuttavia<br />

è indubbio che in esso fosse contenuta l’allusione al movimento, i cui effetti, anche quando invisibili<br />

e non superficiali, dovevano interessare le più alte profondità del mare: non a caso lo stesso Virgilio<br />

adoperava gurges anche in riferimento alle voragini infernali, turbinose e però fuori dalla vista dei<br />

comuni mortali (Aen. 6,296 ss.; 6,741).<br />

Profundum e altum, gli invisibili abissi<br />

Il sostantivo profundum, nel significato di “mare”, è l’esito di un processo di sostantivizzazione, al<br />

quale fu evidentemente sottoposto l’aggettivo profundus, piegato poi a denotare il mare mediante<br />

una sua qualità, quella dell’alta profondità dei suoi fondali. Già nell’etimo, profundus rinvia a una<br />

direzione spaziale ben precisa: pro-fundus, infatti, è da intendere nel senso di “dal fondo (molto) in<br />

avanti”, ossia “verso il basso” e, pertanto, contiene in sé l’idea di verticalità, già implicita in fundus.<br />

Altri vogliono che il prefisso pro- sia meglio da intendere nella sua accezione dinamica (“in<br />

avanti”), designando, piuttosto, il movimento di allontanamento che, in un qualsiasi oggetto<br />

“profondo” (ivi compreso il mare), interessa il fondo, molto distante dalla superficie (PAUL.<br />

Fest257 Lindsay profundus quod longe habet fundum).<br />

Anche nell’uso virgiliano profundum indicò il mare profondo, l’abisso marino (talora fuso con la<br />

distanza senza limiti dell’orizzonte e del cielo: Aen. 12,263 ss.), senza perdere, in più, quell’idea di<br />

spazio cavo e, per questo, ignoto, dal contenuto sfuggente e temibile, che lo distinse dal sinonimo<br />

‘altum’, associato, invece, a una più semplice idea di “linearità commensurabile”.<br />

Altum, infatti, privo di altre accezioni che non siano quelle puramente spaziali, indicò, a seguito di<br />

analogo processo di sostantivizzazione, il mare inteso come spazio nella sua lineare verticalità.<br />

Avvezzo ad usare la iunctura “ab alto/ex alto”, anche Virgilio tenne fede a questa accezione:<br />

recependo formule già in uso nell’opera lucreziana (cfr., e.g., Lucr. 3,784), il Mantovano racchiuse<br />

nella parola ‘altum’, quando riferita al mare, la vasta area semantica che, ad esempio, nella lingua<br />

greca trovava i suoi significanti nei vocaboli baquv" e bevnqo".<br />

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