1 DISPENSA DI LETTERATURA LATINA A.A. 2009-2010 PROF ...
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fluviali (ecl. 3, 191; ecl. 8,89 e 96), alle lunghe distanze (eclog. 3, 403) e, ancora, alle<br />
peregrinazioni, diuturne e irte di disagi (georg. 1,206; eclog. 6, 335 etc.).<br />
Cicerone, che ancora richiamava l’attenzione dei lettori sull’immagine del mare piatto suggerita da<br />
aequor (Cic. Acad. post. fragm. 20,18 quid tam planum videtur quam mare; e quo etiam aequor<br />
illud poetae vocant), dà notizia del fatto che l’uso di aequor fosse per lo più limitato -almeno nel I<br />
sec. a.C.- alla poesia: solo da Seneca in poi, infatti, la prosa accolse questo vocabolo, generalmente<br />
come voce dotta presa in prestito dai carmi.<br />
Pelagus, l’oceano aperto e sconfinato<br />
Pelagus è un calco dal greco pevlago" (è qui forse la ragione per la quale, avvertita come un<br />
forestierismo, questa parola fu in età repubblicana adoperata per lo più in sede poetica). Ad ogni<br />
modo, sotto il profilo semantico, la voce latina, che del vocabolo di origine conservava anche il<br />
genere neutro, indicò il mare aperto, distinguendosi dagli altri vocaboli del mare per il fatto di<br />
designare, per lo più, il mare senza confini e, per espansione, il mare come entità ignota e temibile.<br />
Le occorrenze virgiliane di ‘pelagus’ si concentrano, per ovvie ragioni, nell’Eneide, dove il mare -<br />
specie nella prima parte, la cosiddetta sezione “odissiaca”- è l’elemento naturale con il quale i<br />
Troiani dovettero confrontarsi più a lungo e più duramente. Talora identificato con il fato, dotato di<br />
vita propria e fatto strumento di divinità per ostacolare piani e propositi umani (cfr. Aen. 1,138), il<br />
pelagus è sede di pericoli (Aen. 6,83) e fonte di paure: vi si indirizzano anche preghiere (Aen. 5,235<br />
ss.; 615 ss.), finalizzate a placarne la volontà ostile. A segnarne i limiti, che, pur invisibili, esistono -<br />
così, secondo la percezione degli antichi- sono confini lontanissimi (pelagi extrema: Aen. 8,333), le<br />
cui remote distanze accentuano il senso di paura che viene dalla navigazione in mare aperto. L’idea<br />
di ampiezza e di vastità quasi sconfinata, del resto, era ritenuta intrinseca a questo vocabolo ancora<br />
nel VII sec., quando il solerte Isidoro, avvalendosi dello strumento paretimologico, così spiegava la<br />
parola pelagus:<br />
Pelagus autem est latitudo maris sine litore et portu, Greco nomine ajpo; tou' plagivou, hoc est a<br />
latitudine, dictus.<br />
“Pelago è un’estensione marina senza spiaggia e porto: è parola greca che deriva ajpo; tou' plagivou,<br />
ossia dall’estensione”.<br />
[trad. di A. Valastro Canale]<br />
Si può ipotizzare che, in seguito, la semantica di pelagus abbia accolto, oltre al senso dello spazio<br />
orizzontale, un’idea di spazio verticale (del resto la profondità è una delle qualità del mare aperto):<br />
allora, a questo vocabolo furono associate immagini e suggestioni che, più propriamente, andavano<br />
ascritte a ‘profundum’, dal quale ‘pelagus’, nella tarda latinità, fu probabilmente via via “attratto”.<br />
Nel X sec. d.C., infatti, a commento dell’Ars Maior di Donato, Remigio d’Auxerre precisava che<br />
‘Pelagus’ dicitur profundum mare vel profunditas aquae (Remigius Autissiodorensis, Comm.<br />
Einsidl. In Don. Artem maiorem, GL Suppl. p. 237,1 Keil)<br />
Pontus, il dio che viveva nel prodigioso mare<br />
Quanto a pontus (gr. povnto"), esso, di nuovo assai più ricorrente nell’ Eneide che nelle altre opere<br />
virgiliane, è similmente associato all’azione del fato, e, proprio come ‘pelagus’, pare dotarsi di una<br />
vita autonoma: in Aen. 3, 672- 673, ad esempio, il poeta ne ritrae il tremore, che segue al grido di<br />
Polifemo. Il ‘pontus’ accoglie i prodigi degli dei (Aen. 2,207 ss.) ed è generalmente strumento utile a<br />
forzare la volontà e la capacità d’azione degli uomini (Aen. 1,39 ss.; Aen. 9,102 ss.).<br />
Sempre al pari di pelagus, con il quale condivide anche la strettissima relazione con un vocabolo<br />
straniero, pontus veniva adoperato specialmente in poesia e di norma evitato in prosa. Sfumata e via<br />
via quasi impercettibile, la differenza tra pontus e pelagus - stante comunque la strettissima<br />
relazione di sinonimia che sempre legò i due vocaboli - consisteva forse nella più accentuata<br />
appartenenza di quello (pontus) alla sfera divina e mitica, nella quale, per estensione, sarebbe stato<br />
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