1 DISPENSA DI LETTERATURA LATINA A.A. 2009-2010 PROF ...

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isorse espressive più adeguate all’ordito del discorso: il tutto, avendo riguardo per la funzionalità della scelta lessicale e mettendo in guardia dalla facile superficialità dell’ammasso verbale. “E so che alcuni ebbero l’abitudine di memorizzare i sinonimi, sia perché, tra molti termini, se ne presentasse più facilmente uno, sia perché, se dopo aver utilizzato un certo termine ci fosse necessità di impiegarlo di nuovo a breve distanza, potessero usarne un altro di significato analogo per evitare la ripetizione. Ma questa pratica è non solo puerile e una fatica infruttuosa, ma è anche di scarsa utilità, perché si limita ad ammassare una folla di parole da cui prendere indiscriminatamente la prima che càpita. Invece noi, che abbiamo di mira il vigore dell’espressione e non la loquacità dei venditori ambulanti, dobbiamo procurarci la ricchezza del lessico con discernimento. Ora, otteniamo questo risultato leggendo e ascoltando ciò che vi è di meglio, perché grazie a questa cura non solo conosceremo meglio i nomi delle cose, ma quello più adatto a ciascun contesto”. Orbene, dinanzi a un brano di Virgilio e dinanzi ai versi che, in modo così dettagliato, avevano descritto la furia del mare in tempesta, gli studenti di allora, prim’ancora di accingersi a studiare gli articolati meccanismi della similitudine (la qual cosa essi avrebbero fatto, più tardi, a scuola dal rhetor), sarebbero stati guidati nell’indagine dell’intero paradigma lessicale, con cui esprimere una realtà così dinamica e ambigua come il mare. A fare da supporto all’apprendimento dei distinguo semantici e, in particolare, della ricchissima nomenclatura virgiliana, sarebbero stati magari appositi manuali, di cui peraltro ancora oggi conserviamo traccia in opere intitolate differentiae verborum. Questo dunque il paradigma dei vocaboli con cui in latino si significa il mare: MARE, AEQUOR, PELAGUS, PONTUS, UNDA, FLUCTUS. AESTUS, FRETUM, GURGES, PROFUNDUM,ALTUM, SAL Mare, l’acqua amara Si tratta del vocabolo generalmente ritenuto tra i più generici e omnicomprensivi, utile a significare il mare nella sua più vasta accezione. Prova ne è il fatto che esso fosse impiegato sovente come comodo termine di paragone (generico, appunto), idoneo a rivelare -e contrario- la semantica di altri vocaboli del mare, più puntuali e riferiti (almeno in origine) a singole qualità dell’elemento acqua. Poteva accadere, tuttavia, che, nonostante l’indeterminatezza di questa parola, i maestri di scuola si cimentassero comunque nella ricerca di un suo tratto peculiare, che magari aiutasse gli scolari a imprimere nella memoria il suo significato, differenziandolo dagli altri. A questo scopo tornava spesso utile la pratica dell’etimologia o, per meglio dire, della ‘paretimologia’, ossia l’arbitraria spiegazione dell’origine di un vocabolo, affidata non alla scientificità di dati storici e linguistici, ma, più semplicemente, ad assonanze e a immediate associazioni mentali. A farne largo uso era, tra gli altri, il vescovo Isidoro di Siviglia (VI-VII sec. d.C.), erudito ed esperto, fra l’altro, di sinonimia (fu autore di celeberrime Differentiae verborum). Le sue annotazioni sulle parole del mare vengono soprattutto da una poderosa opera enciclopedica, intitolata Origines. A proposito di ‘mare’, il dotto vescovo scriveva (Or. 13,14,1): Mare est aquarum generalis collectio. Omnis enim congregatio aquarum, sive salsae sint sive dulces, abusive maria nuncupantur, iuxta illud : «Et congregationes aquarum vocavit maria». Proprie proprie autem mare appellatum eo quod aquae eius amarae sint. “Il mare è il luogo al quale confluiscono tutte le acque. Ogni massa d’acqua, sia salata sia dolce, infatti, solo impropriamente prende il nome di mare, secondo le note parole: «E alla massa delle acque pose nome mari» [Gen. 1,10]. Propriamente, il mare è stato così chiamato perché le sue acque sono amare”. [trad. di A. Valastro Canale] 28

La spiegazione di Isidoro, pur fantasiosa nel rilievo etimologico, coglieva, tuttavia, l’esatta accezione con la quale il vocabolo era stato impiegato in età classica (e, questo, senza prescindere dall’auctoritas biblica). ‘Mare’, infatti, era il nome generico di una massa d’acqua (aquarum generalis collectio), cui poi di necessità dovette essere associata una particolare qualità dell’acqua (che Isidoro individuava nel suo sapore “amaro”): fu ‘mare’, allora, l’acqua che dava luogo agli oceani e che divideva tra loro le terre. Nell’opera di Virgilio -a conferma di quanto detto sopra- la parola ‘mare’ designa innanzi tutto l’elemento fisico (un significato, questo, che il Mantovano deve soprattutto a Lucrezio, dal quale proviene l’accezione propriamente filosofica, con cui il termine fu impiegato talora nelle Bucoliche e più spesso nelle Georgiche): soprattutto nell’ Eneide (ove si concentra il più alto numero di occorrenze) il vocabolo indicò, per ‘riduzione’, anche singole qualità della superficie marina, senza però mai specializzarsi in un senso, ma conservando la sua peculiare versatilità semantica. Mare, infatti, nell’ Eneide, è ostile (Aen. 1,598; 5,768) ma anche benigno (Aen. 7,25; 10,221); è fonte di punizione (Aen. 7,200; 10,162), ma anche luogo sicuro e affidabile ove prestare giuramenti (Aen. 6,351; 12,197); è una via, un passaggio (Aen. 3,144), ma anche una vasta estensione (Aen. 1,524). Aequor, la piana distesa del mare Aequor, il cui senso primario è “pianura”, deve il suo principale significato alla sua relazione etimologica con ‘aequus’: esso richiamava all’immaginazione degli antichi gli ampi e aperti orizzonti, e, in particolare, le distese, piane e spaziose, della terra e del mare. Applicata al vocabolario del mare, infatti, questa parola non poté che conservare la sua speciale accezione, designando il mare nei momenti di bonaccia, quando è calmo, piatto, senza ostacoli che si frappongano alla sua vista. Queste le glosse di Isidoro al proposito (Or. 13,14,2): Aequor autem vocatum quia aequaliter sursum est; et quamvis aquae fluctuantes velut montes erigantur, sedatis rursus tempestatibus adaequantur. Altitudo enim maris diversa est, indiscreta tamen dorsi eius aequalitas. “Aequor […] è nome dato al mare in quanto […] uniforme in superficie; le acque, infatti, pur formando onde alte come montagne, una volta placatesi le tempeste, tornano ad essere uniformemente piane. La profondità del mare varia, ma l’uniformità della sua superficie è costante”. [trad. di A. Valastro Canale] Con l’ausilio del passo di Isidoro si può comprendere che il vocabolo aequor era chiamato dagli antichi a suggerire una specifica direzione e dimensione dello spazio (orizzontale e vastissimo): il vescovo di Siviglia, infatti, per meglio illustrare il significato di questo sostantivo, alludeva -di nuovo e contrario- alla nozione di spazio verticale, precisando che, se la profondità dei fondali marini era soggetta a mutamenti (e non era, pertanto, “eguale”), viceversa la superficie del mare (cioè la sua dimensione spaziale orizzontale) era, nella sostanza, uniforme, perché destinata a tornare piana anche dopo aver raggiunto altezze notevolissime. Già Varrone (De l. Lat. 7,23), del resto, aveva spiegato che mare appellatum, quod aquatum cum commotum vento non est; anche Servio, a distanza di cinque secoli, avrebbe ricondotto la semantica di aequor alla sua relazione etimologica con aequus e derivati (Ad Aen. 2,69 […] aequor: dictum enim est ab aequalitate). I manuali di differentiae verborum della tarda latinità (che quasi sempre attingevano suggerimenti dal già illustre Isidoro) avrebbero ulteriormente chiarito il senso di aequor, ricorrendo al confronto sempre con il generico ‘mare’ (Inter aptum - PL 83, coll. 8 ss. [66] Inter aequora et maria: Aequora, non tantum aquae, set et campi propter aequalitatem dicti, mare autem tantum congregatio aquarum). Quanto all’uso virgiliano, aequor fu impiegato sia in riferimento ai campi sia a proposito del mare: il vocabolo, nella sua accezione “acquatica”, poteva alludere alle superfici marine, lacustri ed anche 29

isorse espressive più adeguate all’ordito del discorso: il tutto, avendo riguardo per la funzionalità<br />

della scelta lessicale e mettendo in guardia dalla facile superficialità dell’ammasso verbale.<br />

“E so che alcuni ebbero l’abitudine di memorizzare i sinonimi, sia perché, tra molti termini, se ne<br />

presentasse più facilmente uno, sia perché, se dopo aver utilizzato un certo termine ci fosse necessità<br />

di impiegarlo di nuovo a breve distanza, potessero usarne un altro di significato analogo per evitare<br />

la ripetizione. Ma questa pratica è non solo puerile e una fatica infruttuosa, ma è anche di scarsa<br />

utilità, perché si limita ad ammassare una folla di parole da cui prendere indiscriminatamente la<br />

prima che càpita. Invece noi, che abbiamo di mira il vigore dell’espressione e non la loquacità dei<br />

venditori ambulanti, dobbiamo procurarci la ricchezza del lessico con discernimento. Ora, otteniamo<br />

questo risultato leggendo e ascoltando ciò che vi è di meglio, perché grazie a questa cura non solo<br />

conosceremo meglio i nomi delle cose, ma quello più adatto a ciascun contesto”.<br />

Orbene, dinanzi a un brano di Virgilio e dinanzi ai versi che, in modo così dettagliato, avevano<br />

descritto la furia del mare in tempesta, gli studenti di allora, prim’ancora di accingersi a studiare gli<br />

articolati meccanismi della similitudine (la qual cosa essi avrebbero fatto, più tardi, a scuola dal<br />

rhetor), sarebbero stati guidati nell’indagine dell’intero paradigma lessicale, con cui esprimere una<br />

realtà così dinamica e ambigua come il mare. A fare da supporto all’apprendimento dei distinguo<br />

semantici e, in particolare, della ricchissima nomenclatura virgiliana, sarebbero stati magari appositi<br />

manuali, di cui peraltro ancora oggi conserviamo traccia in opere intitolate differentiae verborum.<br />

Questo dunque il paradigma dei vocaboli con cui in latino si significa il mare:<br />

MARE, AEQUOR, PELAGUS, PONTUS, UNDA, FLUCTUS.<br />

AESTUS, FRETUM, GURGES, <strong>PROF</strong>UNDUM,ALTUM, SAL<br />

Mare, l’acqua amara<br />

Si tratta del vocabolo generalmente ritenuto tra i più generici e omnicomprensivi, utile a significare<br />

il mare nella sua più vasta accezione. Prova ne è il fatto che esso fosse impiegato sovente come<br />

comodo termine di paragone (generico, appunto), idoneo a rivelare -e contrario- la semantica di altri<br />

vocaboli del mare, più puntuali e riferiti (almeno in origine) a singole qualità dell’elemento acqua.<br />

Poteva accadere, tuttavia, che, nonostante l’indeterminatezza di questa parola, i maestri di scuola si<br />

cimentassero comunque nella ricerca di un suo tratto peculiare, che magari aiutasse gli scolari a<br />

imprimere nella memoria il suo significato, differenziandolo dagli altri. A questo scopo tornava<br />

spesso utile la pratica dell’etimologia o, per meglio dire, della ‘paretimologia’, ossia l’arbitraria<br />

spiegazione dell’origine di un vocabolo, affidata non alla scientificità di dati storici e linguistici, ma,<br />

più semplicemente, ad assonanze e a immediate associazioni mentali. A farne largo uso era, tra gli<br />

altri, il vescovo Isidoro di Siviglia (VI-VII sec. d.C.), erudito ed esperto, fra l’altro, di sinonimia (fu<br />

autore di celeberrime Differentiae verborum). Le sue annotazioni sulle parole del mare vengono<br />

soprattutto da una poderosa opera enciclopedica, intitolata Origines.<br />

A proposito di ‘mare’, il dotto vescovo scriveva (Or. 13,14,1):<br />

Mare est aquarum generalis collectio. Omnis enim congregatio aquarum, sive salsae sint sive<br />

dulces, abusive maria nuncupantur, iuxta illud : «Et congregationes aquarum vocavit maria».<br />

Proprie proprie autem mare appellatum eo quod aquae eius amarae sint.<br />

“Il mare è il luogo al quale confluiscono tutte le acque. Ogni massa d’acqua, sia salata sia dolce,<br />

infatti, solo impropriamente prende il nome di mare, secondo le note parole: «E alla massa delle<br />

acque pose nome mari» [Gen. 1,10]. Propriamente, il mare è stato così chiamato perché le sue acque<br />

sono amare”.<br />

[trad. di A. Valastro Canale]<br />

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