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La vite, l'uva e il vino

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<strong>La</strong> <strong>vite</strong>, l’uva e <strong>il</strong> <strong>vino</strong><br />

A cura del prof. Salvatore Nocerino


Arboricoltura generale<br />

Propagazione delle piante arboree da frutto<br />

Si effettua a scopo di miglioramento genetico, vale a dire per produrre nuove varietà, o per<br />

produrre piantine da mettere a dimora. <strong>La</strong> propagazione si può effettuare per via gamica o<br />

sessuale, mediante i semi (riproduzione) o per via agamica o vegetativa, da una parte della pianta<br />

madre (moltiplicazione).<br />

Riproduzione<br />

Le piantine ottenute da semi di varietà coltivate sono dette “franchi”, quelle ottenute da piante<br />

spontanee sono chiamate “selvatici”. Gli individui nati dai semi sono diversi dalla pianta madre e<br />

tra loro e per questa disomogeneità non sono usati nemmeno come portainnesti. Questo metodo di<br />

propagazione è usato solo nell’attività di miglioramento genetico, per ricercare nuove varietà.<br />

Moltiplicazione<br />

Partendo da una pianta madre si ottengono individui identici ad essa e tra loro, che rispondono<br />

alle esigenze della moderna frutticoltura. Si può usare una delle seguenti tecniche:<br />

� Talea: vi sono anche quelle erbacee, ma si usano soprattutto le talee legnose. Queste ultime<br />

sono costituite da pezzi di rami perfettamente lignificati prelevati durante <strong>il</strong> periodo di riposo<br />

invernale della pianta, eventualmente conservati sotto sabbia e messi a radicare prima della<br />

ripresa vegetativa. Di solito ogni talea deve avere tre gemme: di queste le due più basse sono<br />

accecate, coperte dal terreno ed emettono radici; la terza rimane fuori del terreno ed emette un<br />

germoglio da cui si formerà la parte aerea della nuova piantina. E’essenziale rispettare la<br />

polarità. Non tutte le specie hanno la stessa attitudine a radicare; quelle più restie sono stimolate<br />

con nebulizzazioni, riscaldamento basale, ormoni rizogeni. <strong>La</strong> moltiplicazione per talea si usa<br />

molto per <strong>vite</strong>, olivo ed actinidia.<br />

� Margotta di ceppaia: si copre la ceppaia della pianta madre con <strong>il</strong> terreno in modo che i polloni<br />

che ne nascono radicano e, staccati da essa, costituiscono nuove piantine, chiamate astoni. E’ <strong>il</strong><br />

sistema adoperato per ottenere i portainnesti del melo.<br />

� Polloni: sono rami vigorosi e dritti che spuntano dalle radici e dal colletto delle piante di alcune<br />

specie (nocciolo e susino) e talvolta radicano.<br />

� Propaggine: si “corica” un’intera pianta in un fosso e si ricopre di terreno. Si formano così<br />

diversi polloni che radicano e si possono poi staccare dalla pianta madre. <strong>La</strong> propaggine può<br />

anche essere "a serpentone" interrando e facendo sporgere dal terreno lo stesso tralcio più<br />

volte.<br />

Innesto<br />

E’ <strong>il</strong> metodo tradizionale più usato per propagare le piante arboree, sia da frutto sia ornamentali.<br />

In frutticoltura è praticato dai vivaisti per ottenere astoni 1 o barbatelle 2 e dagli agricoltori per<br />

interventi straordinari come reinnesti, innesti a ponte o di rinvigorimento.<br />

<strong>La</strong> pianta innestata è costituita da due parti:<br />

� Portainnesto o soggetto o ipobionte, che si ottiene da seme o da autoradicazione di<br />

materiale prelevato da piante madri dei portainnesti;<br />

1<br />

è un albero di 1 o 2 anni, costituito dal portainnesto e dal nesto, sv<strong>il</strong>uppatosi per 1 o 2<br />

anni dopo l’innesto<br />

2<br />

è una nuova piantina ottenuta da talea, margotta, propaggine o pollone che,<br />

eventualmente, è stata anche innestata<br />

2


� Marza od oggetto o nesto o epibionte o gent<strong>il</strong>e, prelevato da piante madri di una certa<br />

varietà o cultivar o vitigno.<br />

Gli scopi per cui si pratica l’innesto sono:<br />

1. propagare cultivar vecchie e nuove mediante innesto su piante giovani prima o<br />

dopo la messa a dimora oppure cambiare varietà superate mediante reinnesto su<br />

piante adulte;<br />

2. regolare sv<strong>il</strong>uppo, longevità e precocità scegliendo opportunamente <strong>il</strong> portainnesto<br />

per la specie e la varietà con cui si sta per realizzare un nuovo impianto;<br />

3. favorire l’adattamento al terreno ed al clima;<br />

4. costituire piante resistenti a parassiti o a malattie specifiche;<br />

5. r<strong>il</strong>evare le virosi (mediante innesto con piante indicatrici) o risanare piante<br />

virosate (mediante microinnesto);<br />

6. migliorare l’impollinazione, mediante <strong>il</strong> sovrainnesto d’alcune piante del frutteto<br />

con cultivar buone impollinatici.<br />

I due bionti si condizionano a vicenda: la marza influenza <strong>il</strong> portainnesto, <strong>il</strong> soggetto modifica<br />

i caratteri vegetativi e produttivi del nesto. I più importanti condizionamenti dell’ipobionte sul<br />

gent<strong>il</strong>e riguardano:<br />

� la vigoria, cui è collegata la precocità nell’entrata in produzione e la longevità delle piante.<br />

Piante vigorose entrano tardi in produzione, ma sono più longeve; piante deboli entrano<br />

presto in produzione, ma vivono di meno.<br />

<strong>La</strong> moderna frutticoltura richiede piante poco sv<strong>il</strong>uppate, che entrano presto in produzione,<br />

anche se hanno durata limitata.<br />

� l’ambiente pedo-climatico.<br />

� la resistenza ai parassiti<br />

� l’assorbimento di elementi nutritivi;<br />

� la qualità.<br />

<strong>La</strong> riuscita o attecchimento di un innesto varia in rapporto a numerosi fattori:<br />

� Polarità<br />

Sia i portainnesti che le marze non devono essere messi in opera capovolti, pena <strong>il</strong> sicuro<br />

fallimento dell’innesto.<br />

� Affinità<br />

Le piante da innestare devono essere botanicamente vicine, in altre parole varietà della<br />

stessa specie o specie dello stesso genere. E’ diffic<strong>il</strong>e che attecchiscano innesti tra specie di<br />

generi diversi, tranne eccezioni come quello tra Pyrus communis (pero) e Cydonia vulgaris<br />

(cotogno).<br />

<strong>La</strong> scarsa affinità può essere superata con <strong>il</strong> sovrainnesto o innesto a doppio scudo, in cui tra<br />

soggetto e nesto s’interpone uno scudetto di legno ricavato da un terzo bionte, affine con<br />

entrambi. In altri casi è stato risolutivo <strong>il</strong> miglioramento genetico.<br />

� Manualità e materiale idoneo<br />

L’innestatore deve possedere una buona manualità, deve operare con sicurezza e fare dei<br />

tagli netti. Fondamentale è l’intimo contatto tra le zone cambiali, in modo da consentire la<br />

formazione del callo, <strong>il</strong> tessuto formato dal cambio dei due bionti che opera la saldatura tra<br />

di essi. L’innesto va eseguito nella giusta epoca: per gli innesti a corona ed a gemma le<br />

piante devono essere “in succhio" o “dare la corteccia”.<br />

� Condizioni ambientali<br />

Sono necessarie temperature di 25-30° C ed elevata umidità. In alcune specie, come la <strong>vite</strong>,<br />

è ut<strong>il</strong>e la forzatura. Si usa anche paraffinare <strong>il</strong> punto d’innesto per proteggere le barbatelle<br />

dalla disidratazione, dal sole e dal freddo.<br />

3


Innesti per<br />

approssimazione<br />

Innesti a gemma<br />

(dormiente o<br />

vegetante)<br />

Innesti a marza<br />

Innesti particolari<br />

Tipi d’innesto<br />

Approssimazione semplice<br />

Approssimazione ad intarsio<br />

AD occhio o scudetto<br />

A doppio scudo<br />

A pezza o tassello<br />

A zufolo o anello<br />

Alla maiorchina<br />

Chip budding o scheggia<br />

A spacco comune A sella<br />

A spacco pieno<br />

A spacco vuoto<br />

A cavallo<br />

<strong>La</strong>terale<br />

A spacco Ga<strong>il</strong>lard<br />

A doppio spacco<br />

inglese<br />

A spacco inglese<br />

semplice<br />

A triangolo o ad incastro<br />

Erbaceo della <strong>vite</strong><br />

A corona o sottocorteccia<br />

A macchina A spacchi multipli<br />

Ad omega<br />

A ponte<br />

Di rinvigorimento<br />

Sovrainnesto o reinnesto<br />

Microinnesto<br />

� Micropropagazione: in vitro, nei laboratori, da piccolissime parti di piante, anche parzialmente<br />

malate, si ottengono moltissime nuove piantine esenti da parassiti, compresi i virus.<br />

<strong>La</strong> propagazione e la cura delle piantine prima della messa a dimora si effettua nei vivai.<br />

Impianto dell’arboreto<br />

Per prima cosa bisogna compiere scelte tecnico-economiche molto ponderate, dati l’elevato<br />

costo d’impianto e la lunga durata di un arboreto specializzato. Occorre, infatti, decidere la specie e<br />

la varietà da impiantare, i portainnesti da impiegare, <strong>il</strong> sesto d’impianto e la forma d’allevamento da<br />

adottare.<br />

Fattori da considerare per effettuare tali scelte sono <strong>il</strong> mercato, <strong>il</strong> clima, <strong>il</strong> terreno, la<br />

disponib<strong>il</strong>ità di manodopera.<br />

Vi sono poi da compiere alcune operazioni preliminari:<br />

� Sistemazione del terreno, in pianura per evitare <strong>il</strong> ristagno idrico, in collina per impedire<br />

l’erosione o le frane;<br />

4


� Analisi del terreno, per evidenziare eventuali anomalie e per programmare scientificamente<br />

l’operazione successiva;<br />

� Concimazione di fondo (400-800 q/ha di letame, 300-350 q/ha di P2O5, 250-300 q/ha di K2O);<br />

� Scasso o aratura con ripuntatura profonda.<br />

Si passa, quindi, al tracciamento dei f<strong>il</strong>ari e<br />

al picchettamento dei punti dove saranno messe<br />

a dimora le singole piantine. Con largo anticipo,<br />

si scavano poi le buche destinate ad ospitare le<br />

piante, di solito con trivelle meccaniche.<br />

Prima della messa a dimora occorre<br />

calcolare quante piantine acquistare. Il loro<br />

numero (n) dipende dalla superficie<br />

dell’arboreto (S), dal sesto d’impianto<br />

(disposizione delle piante) e dall’investimento<br />

scelti:<br />

� a quadrato: n = S_<br />

D 2<br />

� a rettangolo: n = __S__<br />

D1�D2<br />

� a quinconce: n = _____S______<br />

1 � D 2 � 3<br />

2<br />

� a settonce: n = ____S____<br />

D 2 � 0,866<br />

Durante <strong>il</strong> riposo vegetativo, in autunno<br />

o in primavera al Nord, anche in inverno al Sud,<br />

si procede alla messa a dimora. Sul fondo delle<br />

buche si distribuisce un po’ di letame e/o di<br />

concime minerale, si ricopre con terra fine<br />

superficiale sulla quale si adagiano le piantine<br />

precedentemente<br />

sottoposte a potatura di trapianto (riduzione della chioma e taglio di radici rotte) ed<br />

eventualmente ad inzaffardatura (bagno in una<br />

poltiglia d’acqua, terra e letame). <strong>La</strong> buca va<br />

riempita di terreno fresco prelevato dal bordo della<br />

buca stessa, da comprimere bene intorno alla pianta,<br />

aiutandosi con i piedi e lasciando una conca per la<br />

successiva innaffiatura, che contribuisce anche ad<br />

assestare <strong>il</strong> terreno.<br />

Non bisogna piantare a profondità eccessiva:<br />

deve essere la stessa del vivaio. E’ fondamentale<br />

che <strong>il</strong> punto d’innesto rimanga fuori del terreno, in<br />

modo che <strong>il</strong> nesto non possa radicare. In altre parole<br />

bisogna evitare l’affrancamento della parte aerea<br />

della pianta.<br />

Per colture e forme d’allevamento che<br />

richiedono un sostegno si devono piantare i pali, che<br />

5


possono essere di legno trattato o, più spesso, di cemento o d’acciaio. Sono stati ormai<br />

completamente abbandonati i tutori vivi (piante di salice, acero, olmo, pioppo ecc.).<br />

Pratiche colturali nell’arboreto<br />

Completato l’impianto con la realizzazione dell’impalcatura richiesta dalla forma d’allevamento<br />

prescelta, si passa alla gestione dell’arboreto. Gestire un vigneto o un frutteto significa scegliere ed<br />

applicare tecniche e tempi delle potature, irrigazioni, concimazioni o correzioni nella struttura del<br />

terreno, diserbi o inerbimenti controllati, trattamenti di difesa ed epoche di raccolta.<br />

Circa <strong>il</strong> controllo delle infestanti, vi sono diverse opzioni. In terreni siccitosi e/o poco fert<strong>il</strong>i<br />

sono opportune lavorazioni periodiche estese a tutto <strong>il</strong> terreno oppure limitate all’interf<strong>il</strong>are e, sul<br />

f<strong>il</strong>are, allo spazio tra una pianta e l’altra, mentre sottochioma s’interviene con diserbanti. Nei<br />

terreni freschi e fert<strong>il</strong>i è preferib<strong>il</strong>e, invece, l’inerbimento programmato, totale o limitato<br />

all’interf<strong>il</strong>are. In tal modo si preserva la struttura del terreno e, soprattutto, si migliora la sua<br />

accessib<strong>il</strong>ità. Negli arboreti inerbiti, però, si ha una maggiore competizione per l’acqua ed i minerali<br />

ed inoltre sono favorite le gelate.<br />

Ciascuna delle due opzioni, una volta adottata, deve essere mantenuta d’anno in anno: in caso<br />

contrario si hanno problemi fac<strong>il</strong>mente prevedib<strong>il</strong>i.<br />

Per quanto riguarda la potatura, sul piano generale possiamo distinguere tre tipi d’interventi:<br />

� potatura d’allevamento, con lo scopo di realizzare la forma d’allevamento prescelta nel più<br />

breve tempo possib<strong>il</strong>e;<br />

� potatura di produzione, con la funzione di regolare la quantità della produzione, migliorarne la<br />

qualità (pezzatura e/o contenuto zuccherino) e distribuirla uniformemente sulla chioma,<br />

garantendone al contempo l’arieggiamento, l’<strong>il</strong>luminazione e l’esposizione agli antiparassitari.<br />

� Potatura di ringiovanimento e/o di risanamento (mediante asportazione di parti malate).<br />

<strong>La</strong> moderna arboricoltura dispone di numerose forme d’allevamento, raggruppab<strong>il</strong>i in due<br />

grandi categorie:<br />

� Forme in volume (a vaso, ad alberello, a globo);<br />

� Forme appiattite, in senso verticale (palmetta regolare o libera, ips<strong>il</strong>on) o in senso orizzontale<br />

(tendone).<br />

In conclusione ricordiamo l’importanza dell’altezza, dal terreno, del punto d’attacco dei primi<br />

rami sul tronco. Ove sono frequenti le gelate e negli arboreti inerbiti è consigliab<strong>il</strong>e un attacco più<br />

alto.<br />

<strong>La</strong> <strong>vite</strong><br />

Inquadramento botanico<br />

<strong>La</strong> <strong>vite</strong> appartiene alla famiglia delle Vitacee; al genere Vitis appartengono sia le viti europee<br />

(Vitis vinifera) sia le viti americane (Vitis rupestris, Vitis riparia e Vitis Berlandieri). <strong>La</strong> <strong>vite</strong><br />

europea comprende due sottospecie: la Vitis vinifera s<strong>il</strong>vestris o <strong>vite</strong> selvatica e la Vitis vinifera<br />

sativa che è la <strong>vite</strong> coltivata nei nostri vigneti. Da quest’ultima discendono, tra gli altri, tutti i vitigni<br />

coltivati in Italia per produrre uva da <strong>vino</strong> o da tavola. Le viti americane sono usate dalla metà<br />

dell’Ottocento come portainnesto su cui è innestata la <strong>vite</strong> europea: le loro radici, infatti, resistono<br />

alla f<strong>il</strong>lossera, ma le loro uve sono di scarsa qualità. Il <strong>vino</strong> prodotto con esse ha un gusto “volpino”<br />

e non si può commercializzare in Italia.<br />

Caratteri morfologici<br />

<strong>La</strong> <strong>vite</strong> europea è un arbusto rampicante a foglie caduche. Il fusto, chiamato ceppo, si può<br />

fermare a pochi centimetri fuori terra e dividersi in branche che portano un certo numero di rami<br />

(tralci). Questi presentano internodi abbastanza lunghi delimitati da nodi più grossi su cui sono<br />

6


inserite le foglie e, alla loro ascella, le gemme. Dai nodi partono anche i viticci o cirri, foglie<br />

modificate con cui la pianta si arrampica ad eventuali sostegni.<br />

Si distinguono due tipi di tralci o capi:<br />

� capi a frutto di 1 anno d’età, dai quali si sv<strong>il</strong>uppano germogli che fruttificano nello stesso<br />

anno di formazione;<br />

� capi a legno da cui si sv<strong>il</strong>uppano capi non fruttiferi che sostituiranno, nell’anno successivo,<br />

i capi a frutto esauriti e perciò sono detti tralci di sostituzione.<br />

Le gemme a frutto sono di tre tipi:<br />

� pronte: germogliano nell’anno di formazione e danno origine a rami chiamate femminelle;<br />

� ibernanti: schiudono nella primavera successiva e danno origine a fiori che poi daranno i<br />

frutti;<br />

� latenti: rimangono inattive fino a quando schiudono per una sopraggiunta necessità, come<br />

per esempio dopo una gelata.<br />

Le radici possono essere seminali o avventizie; nelle piante propagate tramite talee innestate<br />

sono emesse dai nodi. Sono di tipo fascicolato e non molto profonde, sv<strong>il</strong>uppandosi tra i 25 e gli 80<br />

cm di profondità.<br />

Le foglie sono lobate, tomentose nella pagina inferiore. L’infiorescenza è a grappolo composto;<br />

l’asse principale è variamente ramificato in racemoli di forma e lunghezza variab<strong>il</strong>i cosicché i<br />

grappoli, tipici di ciascun vitigno, possono essere c<strong>il</strong>indrici, piramidali, alati. I fiori sono<br />

ermafroditi. L’impollinazione è prevalentemente incrociata e può essere anemof<strong>il</strong>a (per azione del<br />

vento) o entomof<strong>il</strong>a (per opera degli insetti).<br />

Il frutto (acino) è una bacca formata da buccia, polpa e semi (vinaccioli). I fiori, quindi,<br />

raggruppati in infiorescenze, dopo l’impollinazione subiscono l’allegagione, in pratica la<br />

trasformazione degli ovari in frutti, formando i grappoli di acini.<br />

Il ciclo biologico della <strong>vite</strong><br />

E’ una pianta poliennale che può vivere anche 50 anni. Considerando un vigneto coetaneo, dopo<br />

l’impianto e la fase d’allevamento, che dura di solito 3 anni, la fase di produzione ha in media <strong>il</strong><br />

seguente andamento:<br />

� fase giovan<strong>il</strong>e, di 3-5 anni, con produzioni crescenti;<br />

� fase di maturità, di 20-25 anni, con produzioni stab<strong>il</strong>i ai massimi livelli;<br />

� fase di vecchiaia, di 3-5 anni, con produzioni calanti finché diventa conveniente l’espianto del<br />

vigneto.<br />

Considerando la differenziazione delle gemme a fiore, la <strong>vite</strong> ha un ciclo biennale: nel primo<br />

anno abbiamo capi a legno che nel secondo anno diventano capi a frutto.<br />

Il ciclo annuale inizia con la ripresa vegetativa dopo l’inverno. Dai rami appena potati<br />

fuoriesce della linfa: questo fenomeno, che dura circa 1 mese, è noto come “pianto”. Alla fine del<br />

pianto, generalmente a Marzo, con temperature fra i 7 e 12° C, avviene <strong>il</strong> germogliamento: si<br />

schiudono le gemme e da esse si sv<strong>il</strong>uppano i germogli.<br />

L’accrescimento dei germogli porta alla formazione di foglie, cirri e infiorescenze (grappoli).<br />

<strong>La</strong> fioritura avviene quando la temperatura è di circa a 20°C (nel meridione fra apr<strong>il</strong>e e marzo;<br />

al nord in giugno) e si completa in 10-20 giorni.<br />

Nelle piante molto vigorose alcune infiorescenze anziché diventare grappoli si allungano<br />

(f<strong>il</strong>ano) e si trasformano in viticci.. Questo fenomeno, detto f<strong>il</strong>atura, è una forma d’autoregolazione<br />

come quello della colatura (caduta dei fiori in eccesso) e quello dell’acinellatura (mancato<br />

accrescimento delle bacche prive di semi).<br />

Dopo la fecondazione si formano i frutti (botanicamente sono bacche), vale a dire gli acini.<br />

Questi ultimi, passando attraverso la fase dell’invaiatura (cambiamento di colore) giungeranno a<br />

maturazione. L’epoca di maturazione è una caratteristica varietale ed è importante soprattutto per le<br />

uve da tavola.<br />

7


Insieme ai grappoli maturano anche i tralci, lignificando. In autunno si ha la caduta delle foglie,<br />

che precede in riposo vegetativo.<br />

Esigenze pedoclimatiche<br />

In Italia le condizioni di clima e terreno sono ideali per la <strong>vite</strong> che è presente in tutte le regioni,<br />

dalla Sic<strong>il</strong>ia alla Valle d'Aosta. <strong>La</strong> <strong>vite</strong> è una pianta eliof<strong>il</strong>a perciò richiede buona luminosità ed<br />

insolazione. Per questo motivo, ove possib<strong>il</strong>e conviene orientare i f<strong>il</strong>ari in direzione Nord-Sud. I<br />

terreni ideali sono quelli di collina esposti a Sud e di media fert<strong>il</strong>ità.<br />

Impianto del vigneto<br />

Non ci occupiamo di vincoli legali o di problematiche economiche, lasciandone la trattazione ad<br />

altre discipline. Sul piano tecnico, le operazioni fondamentali sono nell’ordine: sistemazione<br />

idraulico-agraria del suolo, concimazione organica e minerale, aratura profonda o scasso<br />

totale o parziale (con ripuntatura profonda), tracciamento della piantagione e messa a dimora.<br />

In caso di reimpianto, è opportuno lasciar riposare <strong>il</strong> terreno per almeno tre anni destinandolo a<br />

seminativo.<br />

<strong>La</strong> messa a dimora si effettua nel tardo autunno ut<strong>il</strong>izzando barbatelle innestate di un anno,<br />

rispettando i sesti d'impianto suggeriti dal catasto viticolo. Per <strong>il</strong> sostegno si usano pali di legno o<br />

più spesso di cemento o acciaio, paletti di plastica, f<strong>il</strong>i di ferro zincato o rivestiti di plastica di vari<br />

diametri da tendere a diverse altezze.<br />

Propagazione della <strong>vite</strong><br />

<strong>La</strong> <strong>vite</strong> è propagata per talea innestata o innesto-talea, da quando (nel 1865) la f<strong>il</strong>lossera è<br />

comparsa in Europa, costringendo i viticoltori ad innestare i vitigni nostrani su portainnesti<br />

americani resistenti nella parte radicale alla F<strong>il</strong>lossera vastatrix, ma che producono uve da cui si<br />

ricavano vini di pessima qualità, di gusto”volpino”.<br />

Produzione degli innesti-talea<br />

Almeno un mese dopo la caduta delle foglie si<br />

prelevano dalle piante madri i tralci ben lignificati, sani e<br />

molto lunghi. Si procede poi all’innesto, di solito ad<br />

omega realizzato a macchina. Le talee innestate, lunghe<br />

dai 30 ai 50 cm, sono poi forzate a radicare e quindi<br />

trasferite nel barbatellaio, dal quale alla caduta delle<br />

foglie saranno estirpate le cosiddette barbatelle, pronte<br />

per la messa a dimora.<br />

Portainnesti<br />

I più usati, ottenuti incrociando viti americane, sono:<br />

1) Kober 5BB (Berlandieri � Riparia);<br />

2) 140 Ruggeri (Berlandieri � Rupestris);<br />

3) 420 A (Berlandieri � Riparia).<br />

Nella scelta del portainnesto è bene tener conto<br />

dell’esperienza locale, orientandosi su quelli che hanno<br />

dimostrato adattab<strong>il</strong>ità ai terreni ed affinità d’innesto col vitigno prescelto.<br />

Vitigni<br />

In Italia sono coltivati più di duecento vitigni diversi, alcuni coltivati ed apprezzati in zone<br />

limitate, altri conosciuti ed ut<strong>il</strong>izzati in molte zone viticole del mondo.<br />

8


Vitigni di uve da <strong>vino</strong><br />

Tra i vitigni da <strong>vino</strong> rosso ricordiamo: Barbera, Cabernet, Canaiolo, i diversi <strong>La</strong>mbruschi<br />

(L.Grasparossa, L. Marzemino e <strong>il</strong> più pregiato L. di Sorbara); Nebbiolo, Sangiovese.<br />

Tra i vitigni da <strong>vino</strong> bianco ricordiamo: Albana, Malvasia, Pinot, i diversi Trebbiani tra cui <strong>il</strong> T.<br />

Romagnolo.<br />

Vitigni di uve da tavola<br />

<strong>La</strong> coltivazione delle uve da tavola in Italia si concentra nelle regioni centro-meridionali ed<br />

insulari (soprattutto in Puglia e Sic<strong>il</strong>ia). Le cultivar più diffuse sono: Regina dei Vigneti (precoce),<br />

Italia e Regina (tardive). Vi sono poi cultivar apireni, cioè senza semi, come Flame seedless e Ruby<br />

seedless.<br />

Sistemi di allevamento<br />

Nella viticoltura italiana i sistemi o forme di<br />

allevamento e di potatura sono numerosi, dovendosi<br />

adeguare ai fattori pedoclimatici, alla tradizione e negli<br />

ultimi anni ai disciplinari di produzione ed alle esigenze<br />

della raccolta meccanica.<br />

Di seguito riportiamo una descrizione dei più diffusi.<br />

1. Alberello: forma tipica delle zone in cui i fattori<br />

climatici (freddo, caldo, vento) limitano lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo delle piante. Il ceppo si eleva per alcuni<br />

dm dal terreno e porta normalmente 4 branche su<br />

ognuna delle quali , con la potatura di<br />

produzione, si lascia un corto sperone. Non vi sono<br />

sostegni.<br />

2. Belussi, detto anche sistema a<br />

raggi, è molto diffuso nel Veneto<br />

e nella pianura em<strong>il</strong>ianoromagnola.<br />

E’ adatto a terreni<br />

freschi e fert<strong>il</strong>i ed ai vitigni<br />

vigorosi. Prevede 4 viti allevate<br />

a cordone permanente inclinato<br />

intorno ad un grosso palo<br />

sostenuto da f<strong>il</strong>i di ferro tesi a<br />

raggera dalla parte mediana di<br />

un palo (1,8-2 m) alla parte alta<br />

dell’altro (3 m). Si può trovare anche un<br />

sistema a raggi paralleli detto mezzo<br />

Belussi con 2 viti per palo.<br />

<strong>La</strong> potatura secca lascia 8-10 tralci<br />

opportunamente distanziati che vengono<br />

curvati verso <strong>il</strong> basso.<br />

3. Cordone speronato: <strong>il</strong> fusto viene<br />

portato fino all’altezza del primo f<strong>il</strong>o,<br />

posto a 1-1,2 m da terra e teso<br />

orizzontalmente su di esso. <strong>La</strong> potatura<br />

secca lascia più speroni con 2-3-4<br />

9


gemme, secondo <strong>il</strong> vitigno 3 .<br />

4. Doppio Guyot capovolto: <strong>il</strong> fusto della <strong>vite</strong> viene<br />

portato all’altezza di 1,20 m da terra ed è sostenuto<br />

da un paletto o dal 2° f<strong>il</strong>o. <strong>La</strong> potatura lascia 1 o 2<br />

speroni e 2 capi a frutto con 15-18 gemme che sono<br />

piegati e legati al 1° f<strong>il</strong>o. E’ molto produttivo e<br />

perciò adatto a vitigni vigorosi allevati in terreni<br />

fert<strong>il</strong>i.<br />

5. G.D.C.: è stato studiato per l’impiego delle<br />

vendemmiatrici meccaniche a scuotimento<br />

verticale. L’impalcatura è formata da pali di<br />

cemento alti 2 m ognuno dei quali porta all’altezza<br />

di 1,70 m un braccetto lungo 70 cm fissato in<br />

direzione perpendicolare al f<strong>il</strong>are. All’estremità dei<br />

braccetti è teso un f<strong>il</strong>o su cui sono legati i<br />

cordoni permanenti. Su ogni cordone, con la<br />

potatura, si lasciano, verso l’interf<strong>il</strong>are più<br />

speroni con 3-4 gemme ciascuno.<br />

6. Guyot: è una delle forme di allevamento più<br />

antiche. Il fusto viene portato fino a 50 cm da<br />

terra e potato con uno sperone di 2 gemme e<br />

un capo a frutto di 8-18 gemme legato al 1°<br />

f<strong>il</strong>o dell’impalcatura.<br />

3 Alcuni vitigni fruttificano sui rami nati dalle gemme basali e quindi richiedono una<br />

potatura”corta”; altri, invece fruttificano solo su rami nati da gemme più alte e quindi<br />

richiedono una potatura “lunga”.<br />

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7. Pergola romagnola: è diffusa in terreni fert<strong>il</strong>i e freschi. L’impalcatura è costituita da grossi<br />

pali collegati da f<strong>il</strong>i longitudinali che sostengono i capi a legno e da f<strong>il</strong>i trasversali tesi a 1,8-<br />

2 m d’altezza che sorreggono i capi a frutto. <strong>La</strong> potatura invernale lascia 1-2 speroni e 3-4<br />

capi a frutto che si stendono nell’interf<strong>il</strong>a.<br />

8. Sylvoz: <strong>il</strong> fusto a 1,50 m da terra è piegato orizzontalmente nel senso del f<strong>il</strong>are e legato al 2°<br />

f<strong>il</strong>o. Con la potatura si lasciano 5-6 capi a frutto con 10-12 gemme ciascuno che sono<br />

curvati verso <strong>il</strong> basso e legati al 1° f<strong>il</strong>o.<br />

Tendone: diffuso nelle regioni meridionali e particolarmente adatto alle uve da tavola.<br />

L’impalcatura è formata da pali disposti a quadrato che sostengono un graticolato pens<strong>il</strong>e di f<strong>il</strong>i che<br />

sorreggono la vegetazione. Il fusto delle viti, una per ciascun palo, raggiunge l’altezza del tendone.<br />

<strong>La</strong> potatura secca lascia 1 o 2 speroni e 4 capi a frutto disposti ortogonalmente.<br />

Le forme che presentano un cordone permanente (cordone speronato, G.D.C.) sono adatte a viti<br />

poco vigorose piantate molto fitte, producono meno uva ma di qualità migliore. Viceversa, le forme<br />

che prevedono <strong>il</strong> rinnovo annuale dei capi a frutto (Guyot semplice e doppio, S<strong>il</strong>voz, Belussi,<br />

tendone) sono adatte a viti molto vigorose piantate con sesti più ampi, producono molta uva ma di<br />

qualità non eccelsa.<br />

Tecnica colturale<br />

Potatura<br />

<strong>La</strong> potatura d’allevamento deve realizzare nel più breve tempo possib<strong>il</strong>e la struttura scheletrica<br />

tipica del sistema d’allevamento adottato.<br />

<strong>La</strong> potatura di produzione ha lo scopo di indurre annualmente la giusta fruttificazione, di<br />

consentire l’emissione dei tralci di sostituzione e di migliorare la qualità dell’uva prodotta. Le<br />

operazioni si svolgono durante <strong>il</strong> riposo vegetativo (potatura invernale o secca) e anche nel<br />

periodo estivo (potatura verde).<br />

<strong>La</strong> potatura invernale può essere ricca o povera, in rapporto al numero elevato o ridotto di<br />

gemme a frutto che si lasciano per ettaro (carica di gemme); lunga o corta, in rapporto al numero<br />

di gemme lasciate su ogni capo a frutto.<br />

<strong>La</strong> potatura secca, molto intensa per ottimizzare la qualità, in generale prevede:<br />

a) l’eliminazione dei tralci che hanno fruttificato (taglio del passato);<br />

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) la scelta e l’accorciamento dei tralci a frutto che produrranno nell’anno successivo<br />

(taglio del presente), attaccati al ceppo o al cordone permanente;<br />

c) la predisposizione di speroni che nell’anno successivo produrranno tralci di<br />

sostituzione (taglio del futuro).<br />

A titolo d’esempio,<br />

osserviamo nella figura che<br />

segue la potatura secca nel<br />

sistema Guyot: con <strong>il</strong> taglio<br />

del passato si asportano i<br />

tralci che hanno gia<br />

prodotto, con <strong>il</strong> taglio del<br />

presente si dà la giusta<br />

lunghezza (carica di<br />

gemme) al tralcio che andrà<br />

piegato sul f<strong>il</strong>o e che<br />

proviene dal tralcio più alto<br />

dello sperone dell’anno<br />

precedente; con <strong>il</strong> taglio del<br />

futuro si taglia a due<br />

gemme <strong>il</strong> tralcio più basso<br />

dello sperone, al fine di<br />

ottenere i due tralci di<br />

sostituzione.<br />

<strong>La</strong> potatura verde è eseguita<br />

in piena estate per favorire<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo dei grappoli e<br />

dei tralci di sostituzione. Si eliminano i tralci in eccesso, si legano i tralci di sostituzione ai f<strong>il</strong>i più<br />

alti: si favorisce la nutrizione, l’<strong>il</strong>luminazione e l’arieggiamento dei tralci uviferi, aumentando<br />

anche l’efficacia dei trattamenti antiparassitari.<br />

Si considerano operazioni di potatura verde:<br />

� la spollonatura (eliminazione precoce di ricacci ai piedi della <strong>vite</strong> o lungo <strong>il</strong> fusto);<br />

� la pettinatura (orientamento dei tralci di ciascun cordone del GDC verso l’esterno);<br />

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� la cimatura, da eseguire in prefioritura lasciando sul germoglio almeno 8-10 foglie.<br />

L’asportazione dell’apice favorisce la migrazione di elaborati verso i grappoli e induce la<br />

formazione di “femminelle 4 ” che contribuiranno ad arricchire <strong>il</strong> contenuto zuccherino dell’uva;<br />

� la defogliazione o sfogliatura (applicata soprattutto nella viticoltura da tavola, mai troppo<br />

spinta, migliora la circolazione dell’aria nella chioma, riducendo l’incidenza degli attacchi di<br />

Botrytis cinerea e migliorando l’efficacia dei trattamenti fitosanitari).<br />

Concimazione<br />

<strong>La</strong> fert<strong>il</strong>izzazione del vigneto in produzione si attua attraverso la distribuzione di concimi<br />

minerali ed organici. Per determinare le U.F. (kg/ha) da somministrare si deve tener conto delle<br />

asportazioni ma anche dell’indisponib<strong>il</strong>ità degli elementi per lisciviazione, immob<strong>il</strong>izzazione e<br />

fissazione. <strong>La</strong> distribuzione, lungo <strong>il</strong> f<strong>il</strong>are, avviene in primavera (prima dell’allegagione) per<br />

l’azoto e in autunno-inverno per i concimi fosfo-potassici, che sono poi interrati con le lavorazioni.<br />

Ogni 2 o 3 anni si consiglia di distribuire, ove possib<strong>il</strong>e, 200-300 q/ha di letame maturo.<br />

Lotta alle infestanti e lavorazioni<br />

Si consiglia l’inerbimento tra le f<strong>il</strong>e in tutte le situazioni in cui è necessario e realizzab<strong>il</strong>e:<br />

terreni in pendenza (contro l’erosione); terreni arg<strong>il</strong>losi di diffic<strong>il</strong>e sgrondo; terreni mal strutturati<br />

(per limitarne <strong>il</strong> compattamento); terreni poveri di sostanza organica. Lungo <strong>il</strong> f<strong>il</strong>are si lascia<br />

un’area gestita con lavorazioni meccaniche o col diserbo chimico. I principi attivi a minor impatto<br />

ambientale disponib<strong>il</strong>i per la <strong>vite</strong> sono: Glifosate e Oxifluorfen (per la fase d’allevamento).<br />

Nei terreni poco fert<strong>il</strong>i o siccitosi è preferib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> diserbo totale.<br />

Irrigazione<br />

Nelle zone a clima caldo e arido e nei sistemi d’allevamento più espansi e in particolare per le<br />

uve da tavola si ricorre all’irrigazione di soccorso, ove possib<strong>il</strong>e. Si consigliano corpi d’acqua<br />

limitati (300-400 m 3 /ha). Si adottano i sistemi per inf<strong>il</strong>trazione laterale, per aspersione sottochioma<br />

o a goccia.<br />

Raccolta<br />

L’operazione che chiude <strong>il</strong> ciclo colturale della<br />

<strong>vite</strong> si chiama raccolta per le uve da tavola,<br />

vendemmia per quelle da <strong>vino</strong>. <strong>La</strong> raccolta dell’uva<br />

da tavola si effettua da metà Luglio a metà Ottobre.<br />

L’epoca della vendemmia va scelta<br />

determinando, su prelievi successivi di campioni<br />

d’uva, <strong>il</strong> cosiddetto indice di maturazione, vale a dire<br />

<strong>il</strong> rapporto tra <strong>il</strong> grado zuccherino (in %) e l’acidità<br />

totale (in g/l). Durante la maturazione, <strong>il</strong> grado<br />

zuccherino aumenta fino ad un massimo che dipende<br />

dal vitigno, dalla forma d’allevamento, dal clima della zona, dall’annata. Il grado d’acidità, invece,<br />

diminuisce gradualmente. L’indice di maturazione, pertanto, ha un andamento crescente.<br />

Per i vini rossi la vendemmia si effettua alla maturazione piena del grappolo; per i vini bianchi,<br />

invece, è un poco anticipata per avere un maggiore contenuto d’acidi, molto importanti per la<br />

qualità del <strong>vino</strong> bianco.<br />

Le quantità d’uve prodotte vanno dai 50-100 q/ha nei sistemi d’allevamento ridotti, ai 100-150<br />

q/ha per le forme mediamente espanse, fino a raggiungere i 200-400 q/ha nei sistemi espansi.<br />

4 rami anticipati che si formano da gemme che si sono differenziate nello stesso anno.<br />

13


Ricordiamo che i Disciplinari di produzione dei vari vini D.O.C. stab<strong>il</strong>iscono una produzione<br />

massima per ettaro, oltre la quale l’uva ed <strong>il</strong> <strong>vino</strong> sono pesantemente penalizzati. Ciò perché la<br />

quantità è nemica della qualità!<br />

Alla vendemmia è opportuno separare<br />

attentamente le uve sane da quelle colpite da muffe, in<br />

modo da vinificarle separatamente. Si possono anche<br />

vinificare in azienda le uve sane e destinare quelle<br />

parzialmente ammuffite alle grosse cantine<br />

cooperative che producono <strong>vino</strong> economico.<br />

Per evitare lo schiacciamento delle uve, che<br />

favorirebbe lo sv<strong>il</strong>uppo di microrganismi indesiderati<br />

avviando fermentazioni non controllate, si usano per<br />

<strong>il</strong> trasporto dalla vigna alla cantina cassette di plastica<br />

con fondo chiuso, non troppo alte e da riempire non<br />

completamente.<br />

<strong>La</strong> raccolta dell’uva può essere fatta a mano, con<br />

forbici che tagliano <strong>il</strong> picciolo che unisce <strong>il</strong> grappolo<br />

al ramo, oppure mediante macchine, se la pendenza del terreno, la dimensione dei vigneti e la forma<br />

d’allevamento lo consentono. Le vendemmiatrici meccaniche staccano solo gli acini, scuotendo<br />

orizzontalmente o verticalmente i ceppi o “pettinandoli”.<br />

Per ottimizzare i risultati tecnici ed economici della meccanizzazione integrale (di potatura e<br />

vendemmia) <strong>il</strong> vigneto deve essere progettato ed impostato per la gestione meccanizzata, in primo<br />

luogo scegliendo l’opportuna forma d’allevamento.<br />

<strong>La</strong> meccanizzazione integrale riduce <strong>il</strong> fabbisogno annuo di manodopera a 50-60 ore/ha, contro le<br />

300-400 ore necessarie per gestire un vigneto potato e vendemmiato a mano.<br />

L'uva<br />

Il frutto della <strong>vite</strong> è una bacca chiamata acino,<br />

derivante dalla crescita dell'ovario fecondato: le<br />

infiorescenze si trasformano in infruttescenze, ossia nei<br />

gruppi di acini comunemente noti come grappoli d'uva.<br />

Ogni grappolo è formato da un asse centrale<br />

ramificato, detto raspo o graspo, le cui diramazioni<br />

(racimoli) terminano con i pedicelli che sostengono gli<br />

acini. Il raspo, ricco di tannini, costituisce mediamente<br />

<strong>il</strong> 5% dell'intero grappolo e se non è separato dagli<br />

acini prima della pigiatura, oppure dal mosto prima<br />

della fermentazione, dà al <strong>vino</strong> un sapore astringente<br />

(allappante).<br />

Gli acini sono composti di una parte esterna, la<br />

buccia, e di una parte interna, comprendente la polpa e<br />

i semi (vinaccioli). <strong>La</strong> buccia costituisce <strong>il</strong> 10 -15% dell'acino; contiene pigmenti coloranti<br />

(antociani, rossi o flavonoli, gialli) ed inoltre sostanze aromatiche, elementi minerali e tannini.<br />

Sotto la buccia è racchiusa la parte più abbondante (80-85%) dell'acino, la polpa, che è anche la<br />

più importante perché da essa si ricava <strong>il</strong> mosto, la cui fermentazione produrrà <strong>il</strong> <strong>vino</strong>. Essa è ricca<br />

di zuccheri, sostanze aromatiche e piccole quantità di tannini; gli acidi e i sali si trovano<br />

specialmente nella zona più interna, vicino ai vinaccioli.<br />

I semi o vinaccioli contengono tannino e olio e sono normalmente da due a quattro per acino;<br />

esistono alcune varietà apireni, cioè con acini privi di semi, usate come ingredienti per dolciumi.<br />

Quando <strong>l'uva</strong> comincia ad assumere la propria colorazione tipica ha inizio la fase di invaiatura.<br />

14


Da questo punto ha inizio la fase di maturazione, durante la quale avviene un graduale e<br />

costante aumento di zuccheri negli acini e la diminuzione di acidi e tannini.<br />

Prima della completa maturazione compare sulle bucce una sostanza cerosa bianca detta<br />

pruina, che protegge gli acini dagli agenti esterni e dall'umidità e trattiene i microrganismi (lieviti)<br />

trasportati dal vento.<br />

Possiamo classificare i vari tipi d’uva in uve da tavola e uve da <strong>vino</strong>. In base alla colorazione<br />

della buccia distinguiamo uve rosse (colore variab<strong>il</strong>e dal blu al rosso quasi nero) ed uve bianche<br />

(colore variab<strong>il</strong>e dal giallo verde, al giallo paglierino al giallo ambrato).<br />

Il mosto<br />

Il mosto è <strong>il</strong> liquido ottenuto dall’uva mediante pigiatura, torchiatura o pressatura; dopo la<br />

fermentazione diventa <strong>vino</strong>. Può contenere fino all’1 % d’alcol et<strong>il</strong>ico.<br />

I vari tipi di mosto<br />

Il mosto parzialmente fermentato è <strong>il</strong> mosto che ha già subito una parziale fermentazione,<br />

perciò contiene più dell’1 % d’alcol et<strong>il</strong>ico ma meno dei 3/5 della quantità massima che si può<br />

formare, pari al 60 % del grado zuccherino.<br />

Il mosto concentrato è quello che contiene un’elevata percentuale di zucchero (50�70 %). Per<br />

aumentare la concentrazione del mosto si può:<br />

� Raffreddarlo a -10 � -15° C: si induce la formazione di ghiaccio che è allontanato mediante<br />

f<strong>il</strong>trazione;<br />

� Portarlo a 105�110° C per 5�15 secondi;<br />

� Riscaldarlo a 30�40° C sotto vuoto.<br />

Il mosto non può essere concentrato oltre <strong>il</strong> 20 % del volume iniziale e deve avere una densità<br />

non superiore a 1,240 g/ml a 20° C.<br />

Il mosto concentrato rettificato o MCR, detto anche zucchero integrale d’uva o ZUI è un<br />

liquido non caramellizzato ottenuto per disidratazione parziale del mosto mediante uno dei metodi<br />

suddetti, escluso <strong>il</strong> fuoco diretto. <strong>La</strong> rettifica consiste nell’allontanamento della maggiore quantità<br />

possib<strong>il</strong>e di sostanze non zuccherine, mediante passaggio su resine.<br />

Il mosto muto è <strong>il</strong> mosto fresco in cui la fermentazione è bloccata aggiungendo <strong>il</strong> 12�15 %<br />

d’alcol et<strong>il</strong>ico o con 1.000 mg/l di SO2.<br />

Il f<strong>il</strong>trato dolce, infine, è un mosto parzialmente fermentato ottenuto separando con ripetute<br />

f<strong>il</strong>trazioni i lieviti e le sostanze azotate.<br />

Tutti questi prodotti, oggetto d’intenso commercio, sono usati per correggere i mosti carenti di<br />

zucchero.<br />

L’ammostamento<br />

Il mosto può essere preparato mediante diversi procedimenti fisici:<br />

� pigiatura, che consiste nello schiacciamento dei grappoli tra rulli scanalati: si ottiene così una<br />

massa liquida contenente anche bucce, raspi e vinaccioli; può essere seguita dalla diraspatura,<br />

quando si vogliono ottenere vini più morbidi. Le macchine moderne che effettuano entrambe le<br />

operazioni sono dette “pigia-diraspatrici”;<br />

� torchiatura, che consiste nel comprimere l’uva immessa in una gabbia con un piatto che agisce<br />

in modo più soffice rispetto alla pigiatura; la parte liquida è subito separata dalla parte solida,<br />

perciò questo tipo d’ammortamento è usato per la produzione di <strong>vino</strong> bianco o rosè; vi sono<br />

torchi a <strong>vite</strong>, idraulici o misti;<br />

� diraspa-pigiatura, che consiste nel separare prima i raspi dagli acini e poi nella pigiatura di<br />

questi ultimi; si ottiene un mosto adatto a produrre vini molto morbidi perché privi di tannini,<br />

che sono invece estratti dai graspi con gli altri metodi d'ammostamento;<br />

15


� pressatura, che è in pratica una torchiatura ottenuta con macchine ad asse orizzontale anziché<br />

verticale, com’è <strong>il</strong> torchio. Inoltre le presse lavorano in continuo, cioè sono continuamente<br />

alimentate con uva e continuamente la comprimono e smaltiscono <strong>il</strong> mosto da una parte e le<br />

vinacce dall’altra.<br />

Quando si vogliono ottenere vini bianchi o rosati, per ridurre al minimo l’estrazione del colore,<br />

occorre allontanare al più presto le parti solide ancora presenti nel mosto mediante una<br />

sgrondatrice; a volte si effettua una sgrondo-pressatura, con cui si pressano anche le vinacce,<br />

estraendone <strong>il</strong> mosto torchiato che si può unire o no al mosto fiore.<br />

<strong>La</strong> sfecciatura del mosto<br />

<strong>La</strong> presenza nel mosto di sostanze intorbidanti di vario tipo può provocare l’abbassamento della<br />

qualità olfattiva del futuro <strong>vino</strong>, perché la feccia sospesa nel mosto assorbe gli odori anche cattivi<br />

derivati dall’uva. Inoltre con un mosto ricco di feccia si produce un <strong>vino</strong> diffic<strong>il</strong>mente limpido.<br />

Per questi motivi occorre accelerare o favorire lo spontaneo auto<strong>il</strong>limpidimento che avviene nel<br />

mosto nelle prime ore dopo l’ammostamento<br />

<strong>La</strong> “pulizia” o “defecazione” del mosto è spesso realizzata nelle piccole cantine mediante<br />

l’aggiunta d’anidride solforosa che, bloccando tutti i microrganismi per qualche ora, non fa partire<br />

la fermentazione alcolica che metterebbe <strong>il</strong> liquido in movimento: <strong>il</strong> mosto ha così <strong>il</strong> tempo<br />

d’autopulirsi dalle fecce, che precipitano sul fondo dei tini. Questa pratica è ancora più efficace se<br />

abbinata alla refrigerazione.<br />

Altri metodi disponib<strong>il</strong>i per la sfecciatura sono la centrifugazione, la f<strong>il</strong>trazione e la<br />

chiarificazione, attuata aggiungendo al mosto bentonite o caseinato di potassio che adsorbono la<br />

feccia e vanno poi allontanati con una f<strong>il</strong>trazione. Il metodo più recente è la flottazione, che<br />

consiste nell’aggiungere al mosto <strong>il</strong> 20�30 % d’azoto gassoso: le particelle in sospensione<br />

aderiscono alle bollicine di questo gas inerte e con esse affiorano alla superficie e possono essere<br />

fac<strong>il</strong>mente allontanate..<br />

<strong>La</strong> composizione del mosto<br />

Il mosto d’uva contiene:<br />

� Acqua: è <strong>il</strong> componente più importante (70�85 %).<br />

� Zuccheri: <strong>il</strong> loro contenuto varia secondo <strong>il</strong> clima (in Italia, al Sud arriva al 25�30 %, al Nord al<br />

15�20 %), secondo la forma d’allevamento e secondo <strong>il</strong> vitigno.<br />

Glucosio e fruttosio (zuccheri semplici a 6 atomi di carbonio) sono i più importanti, sia come<br />

quantità sia perché sono la materia prima che i lieviti trasformano in alcol con la fermentazione<br />

alcolica. Sono presenti in pressoché uguale quantità nell’uva matura.<br />

Il saccarosio (disaccaride) si ritrova in minime quantità (0,3�0,4 %) nel mosto appena<br />

preparato, infatti è subito scisso in glucosio e fruttosio dall’enzima invertasi.<br />

I pentosi (zuccheri semplici a 5 atomi di carbonio) non sono dolci né<br />

fermentano.<br />

� sostanze pectiche (pectine), gomme e muc<strong>il</strong>lagini: sono dei colloidi che possono causare<br />

intorbidamenti del mosto e del <strong>vino</strong> e per questo vanno separate con uno dei metodi prima<br />

elencati.<br />

� Acidi: arrivano a 10�15 g/l; sono più abbondanti nei mosti delle uve settentrionali, nei vigneti<br />

irrigati, in alcuni vitigni (per esempio <strong>il</strong> Barbera) e nelle forme d’allevamento più espanse. In<br />

genere ad un basso contenuto zuccherino corrisponde un elevato tenore in acidi, mentre l’acidità<br />

è bassa nei mosti molto dolci. Sono importanti per <strong>il</strong> gusto del <strong>vino</strong>.<br />

L’acido tartarico è di solito <strong>il</strong> più rappresentato; è <strong>il</strong> più forte tra gli acidi organici presenti nel<br />

mosto perciò in gran parte precipita sotto forma di tartrato di potassio o di calcio, contribuendo<br />

a formare la feccia.<br />

16


L’acido malico è <strong>il</strong> secondo acido organico come quantità, anche se è spesso assente nelle uve<br />

meridionali. <strong>La</strong> sua presenza varia molto tra un vitigno e l’altro: è molto abbondante nel<br />

Sauvignon, nel Cabernet-Sauvignon e nel Marzemino.<br />

L’acido citrico è un acido fisicamente stab<strong>il</strong>e (non dà luogo a precipitati), ma biologicamente<br />

instab<strong>il</strong>e, essendo fac<strong>il</strong>e preda di microrganismi.<br />

Gli acidi organici aromatici sono quantitativamente scarsi ma importanti dal punto di vista<br />

organolettico, influenzando molto <strong>il</strong> sapore e l’aroma dei vini.<br />

Gli acidi inorganici (acido solforico, fosforico, cloridrico ecc.), presenti nella misura di 0,5�1,5<br />

g/l sono molto forti e possono causare intorbidamenti del <strong>vino</strong>.<br />

Il mosto ha una reazione acida, con un pH intorno a 3�3,5.<br />

� Polifenoli: danno aroma, sapore e colore al <strong>vino</strong>. Comprendono i flavonoli (gialli) presenti<br />

nell’uva bianca e gli antociani (rossi) presenti nelle uve rosse, la maggior parte nelle bucce.<br />

Appartengono ai polifenoli anche i tannini, presenti soprattutto nei vinaccioli, meno nei raspi e<br />

nelle bucce, pochissimo nella polpa. Sono astringenti (o allappanti: <strong>il</strong> <strong>vino</strong> “lega”) e possono<br />

causare intorbidamenti del <strong>vino</strong>.<br />

� Sostanze azotate: costituiscono un alimento indispensab<strong>il</strong>e per i lieviti. <strong>La</strong> loro scarsità, infatti,<br />

può impedire l’inizio o la continuazione della fermentazione alcolica.<br />

� Vitamine: quasi tutte presenti nel mosto, sono importanti per la vita dei lieviti.<br />

� Elementi minerali: combinandosi con gli acidi formano i sali, che danno sapore al <strong>vino</strong>; molti<br />

sono indispensab<strong>il</strong>i ai lieviti, altri possono causare intorbidamenti.<br />

� Enzimi: sono sostanze proteiche prodotte dalle cellule viventi, in grado di stimolare le diverse<br />

reazioni biochimiche. Nel mosto vi sono quelli provenienti dall’uva e quelli prodotti dai lieviti.<br />

Particolare importanza riveste la zimasi alcolica, che è <strong>il</strong> complesso d’enzimi che intervengono<br />

nella fermentazione alcolica.<br />

� Aromi: sono presenti in minime quantità, ma conferiscono a molte uve <strong>il</strong> tipico aroma.<br />

<strong>La</strong> correzione del mosto<br />

AUMENTO DELLO ZUCCHERO O ARRICCHIMENTO<br />

Talvolta è imposto da esigenze qualitative o dalla legge. I regolamenti CEE, infatti, stab<strong>il</strong>iscono<br />

che un <strong>vino</strong> possa essere commercializzato solo se ha almeno 9° alcolici. Poiché <strong>il</strong> grado alcolico è<br />

pari al 60 % del grado zuccherino, <strong>il</strong> mosto dovrebbe contenere almeno <strong>il</strong> 15 % di zuccheri.<br />

Le uve con gradazione zuccherina leggermente inferiore non vanno buttate, ma <strong>il</strong> loro mosto<br />

deve essere arricchito, altrimenti <strong>il</strong> <strong>vino</strong> con esso prodotto potrebbe essere destinato solo<br />

all’autoconsumo.<br />

A proposito d’arricchimento del mosto l’Europa comunitaria è stata divisa in diverse zone<br />

viticole, secondo <strong>il</strong> clima. Per ogni zona l’uva deve contenere almeno lo zucchero per produrre una<br />

certa gradazione alcolica, più bassa per i vini da tavola e più alta per i vini di qualità (DOC e<br />

DOCG). Per esempio, in Em<strong>il</strong>ia Romagna (zona C II), <strong>il</strong> mosto deve contenere almeno <strong>il</strong> 14 % di<br />

zucchero per produrre un <strong>vino</strong> da tavola di almeno 8,5 ° alcolici ed almeno <strong>il</strong> 16 % di zucchero per<br />

produrre un <strong>vino</strong> di qualità che deve avere almeno 9,5 ° alcolici.<br />

Le uve con contenuto zuccherino inferiore non possono essere vendemmiate oppure <strong>il</strong> mosto da<br />

esse ricavato non può essere arricchito per ricavarne <strong>vino</strong>, ma va destinato ad altro uso.<br />

L’aumento del grado zuccherino dei mosti non può superare limiti precisi espressi in termini di<br />

grado alcolico del <strong>vino</strong>. Nella zona viticola C, in cui è compresa l’Italia, non può superare i 2°<br />

alcolici e quindi <strong>il</strong> 3,3 % di zuccheri.<br />

In Italia l’aggiunta di zucchero è consentita solo per i vermut e gli spumanti. In tutti gli altri casi<br />

per aumentare <strong>il</strong> grado zuccherino del mosto è possib<strong>il</strong>e:<br />

� Aggiungere un mosto più ricco di zuccheri (taglio);<br />

17


� Aggiungere un mosto concentrato o un MCR (arricchimento);<br />

� Concentrare <strong>il</strong> mosto mediante riscaldamento o raffreddamento.<br />

Come si calcola la quantità di mosto più concentrato da aggiungere a quello da arricchire?<br />

Facciamo un esempio: avendo un mosto A con <strong>il</strong> 15 % di zucchero e volendolo portare al 18 %,<br />

mescolandolo con un mosto B con <strong>il</strong> 25 % di zucchero, procediamo al calcolo in questo modo:<br />

A: 15 7 (= 25 -18) parti del mosto A<br />

C: 18<br />

B: 25 3 (= 18 -15) parti del mosto B<br />

Aggiungendo 3 parti del mosto B a 7 parti del mosto A otteniamo 10 parti del mosto C con <strong>il</strong> 18<br />

% di zucchero e quindi i quintali del mosto B da impiegare sono pari ai 3/7 dei quintali del mosto<br />

A.<br />

CORREZIONE DELL’ACIDITÀ<br />

L’acidificazione e l’arricchimento si escludono a vicenda: se si fa l’una non si può fare l’altro, e<br />

viceversa.<br />

<strong>La</strong> correzione in aumento può essere effettuata solo aggiungendo acido tartarico, in una sola<br />

volta. Per aumentare di 1 g/l l’acidità totale occorre aggiungere 1,2 – 1,3 g/l di acido tartarico,<br />

poiché parte dell’acido precipita sotto forma di tartrato di potassio.<br />

<strong>La</strong> correzione in diminuzione non conviene effettuarla sul mosto.<br />

CORREZIONE DEL COLORE<br />

S’impone qualora, volendo produrre <strong>vino</strong> bianco da uve rosse, la torchiatura o pressatura<br />

leggera non sono state sufficienti ad eliminare del tutto <strong>il</strong> colore. Il mosto è trattato allora con<br />

carbone attivo per uso enologico (al massimo 100 g/hl).<br />

CORREZIONE DELLE SOSTANZE AZOTATE<br />

Se <strong>il</strong> mosto contiene poche sostanze azotate la fermentazione stenta a partire o si ferma troppo<br />

presto. In questo caso conviene, previa analisi, aggiungere un sale ammoniacale nelle giuste<br />

proporzioni.<br />

Attrezzature e contenitori vinari<br />

L’insieme dei locali atti alla trasformazione dell’uva in <strong>vino</strong> prende <strong>il</strong> nome di enopolio o, più<br />

comunemente, cantina.<br />

<strong>La</strong> cantina è orientata a Nord nelle zone calde e a Sud nelle zone fredde; le aperture vanno poste<br />

in modo tale da consentire la migliore aerazione; la temperatura deve essere <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e<br />

costante.<br />

Un impianto enologico comprende:<br />

� la zona di ricevimento uva, normalmente all’aperto sotto una tettoia: Vi si effettua <strong>il</strong><br />

controllo del prodotto, la pesatura del veicolo carico, <strong>il</strong> prelievo del campione e l’immediata<br />

analisi del grado zuccherino (è <strong>il</strong> parametro che determina <strong>il</strong> prezzo dell’uva), lo scarico e la<br />

pesatura del veicolo vuoto;<br />

� <strong>il</strong> locale per l’ammostamento, dove si schiaccia l’uva per ricavarne <strong>il</strong> mosto: si trova a pian<br />

terreno o interrato per fac<strong>il</strong>itare <strong>il</strong> carico delle macchine;<br />

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� <strong>il</strong> locale per la fermentazione, detto anche tinaia, dove avviene la fermentazione; è<br />

normalmente situato a pian terreno e deve avere temperature comprese tra 18° e 26° C;<br />

� <strong>il</strong> locale per l’affinamento e la maturazione, dove <strong>il</strong> <strong>vino</strong> contenuto nelle botti completa la<br />

fermentazione, si affina e matura;<br />

� <strong>il</strong> locale per la conservazione e l’invecchiamento, in genere sotterraneo o seminterrato,<br />

ben aerato e ben coibentato, per evitare sbalzi termici;<br />

� locali accessori: una serie di ambienti destinati al trattamento del <strong>vino</strong> (f<strong>il</strong>trazione,<br />

chiarificazione, pastorizzazione, refrigerazione ecc.), all’imbottigliamento , a uffici,<br />

laboratorio analisi, magazzino, spogliatoio, servizi igienici.<br />

Nelle diverse fasi della lavorazione, conservazione, commercializzazione e consumo del <strong>vino</strong><br />

servono differenti recipienti, che sono:<br />

� tini per la fermentazione del mosto, di forma tronco-conica con diametro minore in alto; è<br />

prevista un’apertura anteriore (mezzule o portello) che serve per la pulizia; sono scoperti in alto<br />

e sono fatti di doghe di legno larghe 4-8 cm tenute insieme da cerchi metallici; tendono ad<br />

essere sostituiti da vasche in cemento o contenitori d’acciaio inossidab<strong>il</strong>e d’elevata capienza;<br />

� botti, per la lavorazione, la conservazione e l’invecchiamento del <strong>vino</strong>; hanno forme diverse<br />

con sezione circolare, ellittica od ovale e due piani circolari di chiusura; sono realizzate da ab<strong>il</strong>i<br />

artigiani in legno di rovere; hanno un’apertura in alto (foro di cocchiume) che serve per<br />

controllare <strong>il</strong> livello del <strong>vino</strong> mediante apposito tappo e una grande apertura anteriore in basso<br />

che serve per la pulizia. Tra le botti piccole sono diffuse in particolare <strong>il</strong> caratello (in Toscana,<br />

circa 2 hl), la barrique (regione di Bordeaux, 225 l);<br />

� fusti, per <strong>il</strong> trasporto del <strong>vino</strong>;<br />

� mastelli, per travasare <strong>il</strong> <strong>vino</strong> dal tino alle botti di conservazione;<br />

� damigiane, per la commercializzazione del <strong>vino</strong> da tavola (la più diffusa è da 54 l);<br />

� bottiglie, per la distribuzione del <strong>vino</strong> di qualità. Sono in vetro scuro per proteggere dalla luce i<br />

vini da invecchiamento o di vetro incolore per i vini di veloce consumo. <strong>La</strong> forma è tipica per le<br />

varie regioni vitivinicole: bordolese, borgognona, piemontese, renana;<br />

� bicchieri, di diversa forma secondo <strong>il</strong> <strong>vino</strong> da degustare, in modo da esaltarne le caratteristiche<br />

organolettiche: profumo, sapore, colore, bollicine;<br />

� tappi di sughero, che fanno passare nel <strong>vino</strong> in bottiglia la giusta quantità di ossigeno. Devono<br />

sempre essere immersi nel <strong>vino</strong>, altrimenti ammuffiscono;<br />

I materiali ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i per i contenitori alternativi sono: plastica rigida e pellicola di plastica. Il<br />

tetra-brik è un contenitore semirigido a forma di parallelepipedo costituito da vari strati. I vasi<br />

vinari non devono cedere sostanze nocive né odori sgradevoli al <strong>vino</strong>, devono favorire la<br />

conservazione e la maturazione del <strong>vino</strong> facendolo respirare, essere di fac<strong>il</strong>e manutenzione e<br />

pulizia. Tra i materiali più usati ricordiamo <strong>il</strong> legno di rovere, <strong>il</strong> cemento armato, la plastica,<br />

l’acciaio inossidab<strong>il</strong>e.<br />

Le tecniche di produzione e lavorazione del <strong>vino</strong> sono in gran parte fondate su metodi<br />

tradizionali, ma si giovano dell’uso di diverse macchine ed attrezzi:<br />

� pigiatrice: è la macchina che si usa per schiacciare l’uva per ricavarne <strong>il</strong> mosto, facendo una<br />

pigiatura più rapida ed omogenea anche se meno soffice di quella che in passato si eseguiva<br />

pestando i grappoli con i piedi;<br />

� diraspatrice: separa i raspi dagli acini producendo un mosto costituito soltanto di succo, bucce<br />

e vinaccioli, la cui fermentazione produrrà un <strong>vino</strong> più morbido (meno astringente);<br />

� pigia-diraspatrice: esegue quasi contemporaneamente la pigiatura e la diraspatura, sbattendo i<br />

grappoli contro la superficie interna di una gabbia c<strong>il</strong>indrica rotante e forata, in modo che possa<br />

uscirne <strong>il</strong> mosto ma non i raspi;<br />

� diraspa-pigiatrice: con questa macchina la diraspatura è eseguita prima della pigiatura, per<br />

evitare <strong>il</strong> parziale schiacciamento dei graspi, come invece avviene con la pigiadiraspatura;<br />

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� sgrondatrice: si usa per separare la parte liquida del mosto dalle parti solide che costituiscono<br />

le vinacce (bucce e vinaccioli);<br />

� torchio o pressa: permettono l’ammostamento morbido dell’uva per produrre <strong>vino</strong> di qualità o<br />

<strong>vino</strong> bianco o rosato da uve rosse, nonché di recuperare fac<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> mosto che impregna le<br />

vinacce prima della fermentazione oppure <strong>il</strong> <strong>vino</strong> dalle vinacce dopo la fermentazione e la<br />

svinatura. I torchi sono verticali e discontinui, le presse sono orizzontali e continue; sono a<br />

funzionamento meccanico, idraulico o pneumatico. Le vinacce (o le uve) sono spremute<br />

schiacciandole tra due piatti contrapposti che si avvicinano;<br />

� sgrondopressa: costituita da una sgrondatrice e da un torchio abbinate. Oltre a separare le<br />

vinacce dalla parte liquida le sottopone ad una leggera pressatura;<br />

� concentratore: è <strong>il</strong> recipiente in cui si concentra <strong>il</strong> mosto, riducendone <strong>il</strong> contenuto in acqua e<br />

quindi aumentando indirettamente <strong>il</strong> grado zuccherino;<br />

� centrifuga: è usata per sfecciare <strong>il</strong> mosto o <strong>il</strong> <strong>vino</strong> dopo la fermentazione;<br />

� solfimetro: è un dosatore che si usa per immettere nel mosto o nel <strong>vino</strong> la giusta quantità di<br />

anidride solforosa (solfitazione) allo scopo di regolare la fermentazione o per proteggere <strong>il</strong> <strong>vino</strong><br />

da malattie batteriche e ossidazioni;<br />

� f<strong>il</strong>tro: serve per <strong>il</strong>limpidire <strong>il</strong> mosto o <strong>il</strong> <strong>vino</strong>. Esistono f<strong>il</strong>tri orizzontali e verticali, a piastre, a<br />

dischi, a membrana;<br />

� riempitrice/imbottigliatrice: esegue in moto automatizzato l’imbottigliamento del <strong>vino</strong>;<br />

� tappatrice<br />

� etichettatrice<br />

� gabbiettatrice: completa l’imbottigliamento dei vini frizzanti racchiudendo <strong>il</strong> tappo con una<br />

gabbietta di f<strong>il</strong>o di ferro, eventualmente ricoperta da carta stagnola colorata;<br />

� pupitre: con questo nome in Francia è chiamato un particolare tipo di sostegno per le bottiglie di<br />

spumante, che sono sistemate in posizione obliqua col tappo verso <strong>il</strong> basso, coperto dal <strong>vino</strong>. Le<br />

bottiglie vengono periodicamente ruotate per favorire la discesa del deposito feccioso sulla<br />

punta dalla bottiglia;<br />

� congelatore: serve per congelare <strong>il</strong> suddetto deposito feccioso in modo da fac<strong>il</strong>itarne<br />

l’allontanamento, limitando la perdita di <strong>vino</strong> spumante.<br />

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