Vigneto friuli - Claudio Fabbro
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censurabili a sorreggere la sentenza medesima . Ora, alla stregua di tale principio, è da rilevare che la Corte di appello, a sostegno della adottata decisione, nel portare il suo esame sui termini essenziali della vertenza (concernente una domanda di concorrenza sleale per confusione tra i prodotti) ha premesso che l'antico uso del nome Tokay per il noto vino da dessert prodotto in Ungheria era pacifico, come altrettanto pacifico era l'uso autonomo , secolare del nome Tokay per il vino da pasto friulano (legato ai toponimi locali), e che pertanto tutto ciò rendeva superflua la richiesta prova. E da qui la Corte stessa ha aggiunto che, indiscusso l'antico uso del nome Tokay sia da parte dei produttori ungheresi che quelli italiani ed esclusa una situazione di privilegio sia pure di carattere formale del nome Tokay in Italia per primi, ciascuno di detti prodotti avesse la facoltà di continuare a godere dell'uso stesso, che era stato sempre compiuto con l'animo di esercitare il proprio diritto, onde esattamente i giudici di appello hanno avvertito, che su tali premesse, non si sarebbe potuto trarre ragionevolmente una questione di prezzo a favore della Monimpex , ma soltanto di confondibilità di prodotti, sotto il profilo della concorrenza sleale . A tal fine la Corte di merito ha osservato che il Tokay ungherese e il Tokay friulano non erano confondibili perchè tanto la Monimpex quanto gli Economo avevano avuto cura di specificare nella loro etichetta in aggiunta alla denominazione "Tokai" ulteriori particolari caratteristiche denominazioni e perchè i due vini tanto diversi tra loro per il gusto, la gradazione ed altre caratteristiche non comuni sono destinati a categorie diverse di consumatori, e comunque, anche se si potesse ritenere comune per entrambi i vini, lo stesso unico gruppo di consumatori, un conoscitore non potrebbe mai essere ingannato ricevendo, al posto di vino ungherese Tokay da dessert, il vino friulano Tokai da pasto. La Corte ha poi escluso che agli Economo potesse imputarsi scorrettezza commerciale, perchè, essi, esercitando il loro diritto, non avevano leso il diritto della Monimpex dato il consistente diritto degli uni e dell'altra di usare la denominazione "Tokai" per i loro vini, ed ha escluso il dolo o la colpa nella pretesa concorrenza sleale, ribadendo che la denominazione "Tokai" per il vino friulano era usata, oltre che da tecnici ed uffici specializzati, anche nella terminologia ufficiale, ed inoltre tale nome come già detto innanzi era stato usato in sede qualificata internazionale sia da parte italiana che da parte ungherese e l'uso era stato accettato senza rispettive obiezioni. Contro questa parte centrale e decisiva della questione, si appuntano le ulteriori censure del ricorso. Ma anche queste non riescono a scuotere la impugnata decisione. E' da premettere in proposito che il problema, una volta accertata la legittimità dell'uso del nome Tokai da parte degli Economo quali produttori friulani doveva essere circoscritto, come lo è stato, a quella della confondibilità dei segni distintivi dei prodotti e della correttezza professionale . In relazione al primo aspetto non si dubita, come ha esattamente ricordato la difesa dei resistenti, che la confondibilità dei prodotti presuppone che questi vengano presentati al pubblico con i nomi, segni distintivi o confezioni tra loro a tal punto somiglianti da indurre in equivoco i consumatori. Ed alla stregua di un credito generale, desunto dalla comune esperienza, per giudicare
dalla possibilità di confusione tra prodotti concorrenti, ai fini dell'accertamento della concorrenza sleale, si deve compiere, più che un esame analitico, un esame sintetico dei prodotti stessi, con speciale riguardo alla impressione che il loro aspetto complessivo può provocare presso il pubblico di media diligenza e avvedutezza . Il che è stato fatto dalla Corte di merito, la quale ha escluso nella specie ogni possibilità di confusione tra il vino ungherese e quello friulano degli Economo, dopo aver posto in evidenza, con riguardo al consumatore medio, che mentre l'etichetta della Monimpex, oltre ad altre indicazioni, portava a carattere marcato la dicitura "Tokai Szamorodny" in quella degli Economo, pur leggendosi, sotto lo stemma araldico, la sola parola Tokay in corsivo ben evidente, tuttavia si legge altresì, con altrettanta se non graficamente uguale evidenza, l'esatta indicazione del luogo di produzione in "Aquileia". Giudizio quindi di mero fatto, congruamente motivato, sulla confondibilità e meno del prodotto, ed il giudizio stesso come tale non può quindi essere sindacato da questo Supremo Collegio. Nè per le stesse ragioni può essere sindacato l'analogo giudizio della Corte di merito sotto il profilo della correttezza professionale, avendo anche su questo punto, la Corte stessa escluso, con motivato apprezzamento, di cui poco innanzi si è fatto cenno, che il comportamento complessivo degli Economo potesse dirsi comunque non conforme alle oneste regole del commercio. Il ricorso deve essere pertanto rigettato e al rigetto conseguono la perdita del deposito e la condanna alle spese. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rigetta il ricorso della Società Monimpex di Budapest contro la sentenza 27 luglio 1959 della Corte di appello di Trieste e condanna la ricorrente alla perdita del deposito nonchè al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate a favore degli eredi di cassazione Così deciso il 30 aprile 1962 in Camera di Consiglio”
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dalla possibilità di confusione tra prodotti concorrenti, ai fini dell'accertamento della<br />
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dei prodotti stessi, con speciale riguardo alla impressione che il loro aspetto<br />
complessivo può provocare presso il pubblico di media diligenza e avvedutezza .<br />
Il che è stato fatto dalla Corte di merito, la quale ha escluso nella specie ogni<br />
possibilità di confusione tra il vino ungherese e quello friulano degli Economo, dopo<br />
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della Monimpex, oltre ad altre indicazioni, portava a carattere marcato la dicitura<br />
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quindi essere sindacato da questo Supremo Collegio.<br />
Nè per le stesse ragioni può essere sindacato l'analogo giudizio della Corte di merito<br />
sotto il profilo della correttezza professionale, avendo anche su questo punto, la Corte<br />
stessa escluso, con motivato apprezzamento, di cui poco innanzi si è fatto cenno, che<br />
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Il ricorso deve essere pertanto rigettato e al rigetto conseguono la perdita del deposito<br />
e la condanna alle spese.<br />
P.Q.M.<br />
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rigetta il ricorso della Società<br />
Monimpex di Budapest contro la sentenza 27 luglio 1959 della Corte di appello di<br />
Trieste e condanna la ricorrente alla perdita del deposito nonchè al pagamento delle<br />
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Così deciso il 30 aprile 1962 in Camera di Consiglio”