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Vigneto friuli - Claudio Fabbro

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ALLE RADICI DEL VIGNETO FRIULI<br />

“ Chi non ha storia alle spalle – esordivo nella mia prefazione a FRIULI.<br />

TERRE,UOMINI E VINI (*) - difficilmente la può inventare e, come tale, proporla<br />

senza arrossire.<br />

Il binomio vincente “vino e cultura” fortunatamente non ha risparmiato il Friuli.<br />

Se un tempo i giovani viticoltori mostravano segni d’insofferenza quando, davanti al<br />

fogolar i nonni si dilungavano in nostalgici amarcord sui bei tempi andati, si avverte<br />

ora un’inversione di tendenza. Rispetto al passato la voglia di conoscere più da vicino<br />

le nostre radici è prorompente, sotto ogni bandiera e latitudine. Ecco allora che il<br />

vignaiolo, quando è chiamato a raccontare di sé, della propria azienda e del territorio<br />

in cui opera, dedica sempre più tempo alla biblioteca togliendone un po’ al<br />

laboratorio. Oppure indugia negli archivi di famiglia per cogliere qualche “chicca”<br />

che - non si sa mai - potrebbe un domani diventare il nome vincente di un vino, una<br />

ragione sociale o un logo particolare. Pur nella consapevolezza che con Pinot Grigio<br />

e Sauvignon si fa fatturato, è ben vero che con Ribolla, Picolit, Ramandolo,<br />

Schioppettino, Terrano, Refosco e Pignolo, il viticoltore di casa nostra si riappropria<br />

del diritto, prezioso, di dichiarare, carte alla mano, che da queste parti il vino si<br />

faceva molto prima che arrivasse Napoleone, l’Impero austro-ungarico, i moderni<br />

“guru” o i vari consulenti “mordi e fuggi”.<br />

Come vignaioli i friulani non sono secondi a nessuno e non lo sono mai stati, visto<br />

che si iniziò a parlare seriamente di vite e di vino subito dopo la fondazione di<br />

Aquileia (181 a.C.), grazie soprattutto ai Romani - guerrieri, contadini e vignaioli al<br />

contempo - che piantarono su queste terre le prime vigne e crearono una fiorente<br />

attività agricola. Già Tito Livio e Strabone testimoniarono come Aquileia fosse uno<br />

dei massimi poli commerciali viticoli del nord dell’Impero, tanti erano i compratori e<br />

tanti erano i traffici intorno al mondo del vino che si svolgevano in questa città. Prova<br />

ne sono le migliaia di anfore, molte delle quali ancora con gli acini dentro, che sono<br />

venute alla luce durante gli scavi per il recupero delle vestigia della città.<br />

In quel periodo la produzione del vino si allargò notevolmente alimentando quegli<br />

scambi che per secoli contraddistinsero le attività commerciali della regione con i<br />

paesi limitrofi come la Croazia, la Slovenia, l’Austria, l’Ungheria e la Baviera.<br />

Non è però possibile sapere con certezza quali fossero le varietà coltivate a quel<br />

tempo.<br />

Leggendo qua e là nella storia si percepiscono alcuni segnali ben precisi come quelli<br />

indicati da Plinio il Vecchio (Historia naturalis, I secolo d.C.) il quale affermava che<br />

l’imperatrice Livia, non bevendone altro, metteva sul conto del vino Pucino il<br />

raggiungimento della sua veneranda età di 86 anni. “[...] Nasce nel golfo del mare<br />

Adriatico, non lungi dalla sorgente del Timavo, su un colle sassoso, dove alla brezza<br />

marina matura per poche anfore, né si crede ve ne sia di migliore per i medicamenti”.<br />

Nonostante queste segnalazioni, l’identificazione di questo nobile e salutare vino,<br />

oltre che della sua zona di origine, è ancora aperta; infatti molti azzardano accostarlo<br />

al Terrano-Refosco, mentre altri - leggasi in primis il prof. Dalmasso - al “chiaretto

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