Vigneto friuli - Claudio Fabbro
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sarebbe però opportuno che il Consorzio Provinciale per la Viticoltura promuovesse uno studio comparativo fra tutte e tre le varietà, anche dal punto di vista economico, stabilendo definitivamente quale sia la più consigliabile.” Prosegue Perusini(8) : “La fillossera, apparsa qui una trentina d’anni fa, in poco tempo distrusse la maggior parte dei vigneti esistenti imponendo in pieno il problema della ricostituzione viticola. Il lavoro è lungo, e per quanto sia stato intrapreso con molta alacrità, la superficie vitata è lungi dall’aver raggiunto la consistenza dell’anteguerra. “Nei vecchi impianti si usarono barbatelle di Rupestris du Lot e di Riparia x Rupestris 3309: sono però da preferire il Kober 5 BB e la Berlandieri x Riparia 420 A che hanno mostrato maggior adattamento al terreno e maggior affinità col Verduzzo. “Il terreno è sistemato a terrazze, sostenute da scarpate o da muri a secco, la cui larghezza varia, a seconda della maggiore o minore pendenza del terreno, e in media si aggira sui tre metri. Sull’orlo esterno di ciascuna terrazza è sistemato un filare di viti la cui impalcatura è costituita da pali, normalmente ogni tre metri, e da sostegni vivi, gelsi o piante da frutto, in genere ciliegi. “Lo scasso generalmente si fa a fosse profonde metri 1-1,5 e per la concimazione d’impianto si usa quasi esclusivamente letame. “Come abbiamo detto gli impianti si fanno quasi esclusivamente con barbatelle selvatiche che vengono innestate dopo un anno. “La potatura è del tipo più diffuso in Friuli con qualche caratteristica variante. È riferibile alla Guyot e più precisamente al tipo detto a capovolto. “All’epoca della potatura, fine febbraio - primi di marzo, il vigneto viene vangato e concimato. “Negli interfilari più larghi si coltiva frumento, segala, trifoglio, erba medica; negli altri, piselli, fagioli nani, cavoli; spesso, specialmente dove c’è pericolo di smottamenti, il terreno viene lasciato completamente incolto. “La vendemmia avviene dal 15 al 30 di ottobre a seconda del decorso più o meno favorevole della stagione. L’uva, appena raccolta, viene curata, quindi deposta su graticci dove rimane 8-10 giorni: in seguito si diraspa e si pigia in assenza dei raspi. Durante l’inverno il mosto subisce due travasi, dando un vino caratteristico dolce, liquoroso, limpido, giallo ambrato, profumato, di corpo, leggermente tannico. Da un quintale di uva fresca si ricavano circa 50 litri di vino e da un ettaro di buon vigneto 100 ettolitri di vino, con una media di 80-85 ettolitri per ettaro. “L’anno passato (1933, n.d.r) il prezzo del vino si aggirò sulle 3 lire nella cantina del produttore; prezzo assai alto se si considera che nelle zone contermini, Verduzzo vinificato con gli stessi metodi spunta prezzi inferiori di una lira ed anche più. “Nella zona sono coltivati anche vitigni ad uva nera: principalmente Refosco dal peduncolo rosso e Merlot; la loro importanza è però del tutto secondaria; pur dando un buon prodotto e produzione più abbondante del Verduzzo, ne è assolutamente sconsigliabile la diffusione. La minore produttività del Verduzzo è oggigiorno ampiamente compensata dal suo più alto prezzo; inoltre esso dà, a differenza dei vitigni neri, un vino tipico assai ricercato e di facile smercio in Friuli.
“Per quanto il Ramandolo non sia possibile farlo rientrare in nessuna delle comuni categorie di vini, esso infatti non è un vin santo quale comunemente si intende e tanto meno un vino da pasto: ha pregi e caratteristiche tali da farlo ritenere un vero vino tipico. “Da quanto ho detto appare chiaro che per località d’origine, vitigno, metodi di vinificazione, prodotto, esso risponde perfettamente ai requisiti voluti dalla vigente legislazione sui vini tipici; il R.D. Legge 11 gennaio 1930, n° 62, art. 2, stabilisce infatti “sono considerati vini tipici i vini genuini prodotti in un paese, zona o regione... i quali posseggano caratteri organolettici particolari, chiaramente definibili e costanti, derivanti essenzialmente dal vitigno e dal metodo di vinificazione” ed ancor più chiaramente il testo definitivo approvato con Legge 10 luglio 1930, n° 1164, art. 2: “sono considerati vini tipici i vini genuini pregevoli... i quali avendo origine accertata per la località di produzione abbiano caratteri organolettici costanti e tali da conferire loro particolare finezza e bontà”. Concetti con ancor più precisione specificati nel regolamento approvato con il R.D. 10-11-1930 n° 1836, art. 1: “I vini tipici si distinguono in vini speciali, vini superiori e vini fini... Sono considerati vini superiori quelli che hanno speciali caratteristiche tipiche costanti e che hanno acquistato particolare pregio in seguito all’invecchiamento naturale... Sono considerati vini fini quelli che, pur non avendo il pregio dei vini superiori, hanno caratteristiche costanti tali da renderli meritevoli di tutela”. (Che il Ramandolo possa piacere ad una categoria di consumatori, è cosa indiscutibile; che possa essere desiderabile una tutela, sono d’accordo. Devesi però riconoscere che così come è il vino, dal lato enologico, lascia molto a desiderare; un perfezionamento tecnico che attenui l’insanabile contrasto tra la tannicità eccessiva e la ricchezza in glucosio, e lo avvicini ai tipi liquorosi, sarebbe veramente utile.) “È indiscutibile che il Ramandolo rientra in quest’ultima categoria; unico appunto che può farsi, è la limitata ampiezza del territorio di produzione; per dissipare ogni dubbio in proposito basterà però ricordare come in Francia assai numerosi sono i vini, legalmente protetti, raccolti su superfici inferiori alla nostra; per non dilungarci citeremo solo il “Montrachet”, da molti ritenuto il miglior vino bianco di Francia, prodotto su 7 ettari e 50 are delimitate legalmente nel 1920. Resta a vedere se, pur avendo il Ramandolo tutti i requisiti per essere dichiarato vino tipico, sia economicamente conveniente la costituzione di un consorzio di difesa. “Certamente assai gravoso riuscirebbe per i produttori, tutti piccoli proprietari, il pagamento del contributo necessario al funzionamento del consorzio; in compenso però essi vedrebbero difeso il loro prodotto da volgari falsificazioni a base di vini scadenti malamente zuccherati e anche dalla produzione delle zone limitrofe che, acquistata da commercianti poco onesti, troppo spesso passa come “autentico Ramandolo”. Le difficoltà finanziarie sarebbero eliminate qualora in Friuli sorgesse un consorzio provinciale per la difesa dei vini migliori, con la suddivisione delle spese generali fra un gran numero di interessati e l’adozione dei sottomarchi previsti dalla legge si otterrebbe la protezione della produzione genuina con una spesa relativamente modica.”
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“Per quanto il Ramandolo non sia possibile farlo rientrare in nessuna delle comuni<br />
categorie di vini, esso infatti non è un vin santo quale comunemente si intende e tanto<br />
meno un vino da pasto: ha pregi e caratteristiche tali da farlo ritenere un vero vino<br />
tipico.<br />
“Da quanto ho detto appare chiaro che per località d’origine, vitigno, metodi di<br />
vinificazione, prodotto, esso risponde perfettamente ai requisiti voluti dalla vigente<br />
legislazione sui vini tipici; il R.D. Legge 11 gennaio 1930, n° 62, art. 2, stabilisce<br />
infatti “sono considerati vini tipici i vini genuini prodotti in un paese, zona o<br />
regione... i quali posseggano caratteri organolettici particolari, chiaramente definibili<br />
e costanti, derivanti essenzialmente dal vitigno e dal metodo di vinificazione” ed<br />
ancor più chiaramente il testo definitivo approvato con Legge 10 luglio 1930, n°<br />
1164, art. 2: “sono considerati vini tipici i vini genuini pregevoli... i quali avendo<br />
origine accertata per la località di produzione abbiano caratteri organolettici costanti e<br />
tali da conferire loro particolare finezza e bontà”. Concetti con ancor più precisione<br />
specificati nel regolamento approvato con il R.D. 10-11-1930 n° 1836, art. 1: “I vini<br />
tipici si distinguono in vini speciali, vini superiori e vini fini... Sono considerati vini<br />
superiori quelli che hanno speciali caratteristiche tipiche costanti e che hanno<br />
acquistato particolare pregio in seguito all’invecchiamento naturale... Sono<br />
considerati vini fini quelli che, pur non avendo il pregio dei vini superiori, hanno<br />
caratteristiche costanti tali da renderli meritevoli di tutela”. (Che il Ramandolo possa<br />
piacere ad una categoria di consumatori, è cosa indiscutibile; che possa essere<br />
desiderabile una tutela, sono d’accordo. Devesi però riconoscere che così come è il<br />
vino, dal lato enologico, lascia molto a desiderare; un perfezionamento tecnico che<br />
attenui l’insanabile contrasto tra la tannicità eccessiva e la ricchezza in glucosio, e lo<br />
avvicini ai tipi liquorosi, sarebbe veramente utile.)<br />
“È indiscutibile che il Ramandolo rientra in quest’ultima categoria; unico appunto<br />
che può farsi, è la limitata ampiezza del territorio di produzione; per dissipare ogni<br />
dubbio in proposito basterà però ricordare come in Francia assai numerosi sono i vini,<br />
legalmente protetti, raccolti su superfici inferiori alla nostra; per non dilungarci<br />
citeremo solo il “Montrachet”, da molti ritenuto il miglior vino bianco di Francia,<br />
prodotto su 7 ettari e 50 are delimitate legalmente nel 1920. Resta a vedere se, pur<br />
avendo il Ramandolo tutti i requisiti per essere dichiarato vino tipico, sia<br />
economicamente conveniente la costituzione di un consorzio di difesa.<br />
“Certamente assai gravoso riuscirebbe per i produttori, tutti piccoli proprietari, il<br />
pagamento del contributo necessario al funzionamento del consorzio; in compenso<br />
però essi vedrebbero difeso il loro prodotto da volgari falsificazioni a base di vini<br />
scadenti malamente zuccherati e anche dalla produzione delle zone limitrofe che,<br />
acquistata da commercianti poco onesti, troppo spesso passa come “autentico<br />
Ramandolo”. Le difficoltà finanziarie sarebbero eliminate qualora in Friuli sorgesse<br />
un consorzio provinciale per la difesa dei vini migliori, con la suddivisione delle<br />
spese generali fra un gran numero di interessati e l’adozione dei sottomarchi previsti<br />
dalla legge si otterrebbe la protezione della produzione genuina con una spesa<br />
relativamente modica.”