Vigneto friuli - Claudio Fabbro

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06.02.2013 Views

in tutti i Paesi e a cariche di natura enologica di ogni tipo e di ogni livello. Citerò soltanto la più prestigiosa: dal 1996 al '99 fu Presidente della "Unione Internazionale degli Enologi". In altri termini fu ( ed è , n.d.A.) un'autorità mondiale in campo enologico ! Il vino lo produce, lo tiene a invecchiare nelle antiche botti di rovere di Schiavonia o nei silos di acciaio inossidabile. Lo imbottiglia e lo spedisce in ogni regione del mondo. Ma il vino è anche argomento delle sue scritture di specialista. Come giornalista dirige le riviste Un vigneto chiamato Friuli e L'Enotecnico ( oggi ribattezzato L’Enologo , n.d.A.) È anche autore di vari libri sul vino : “L'uva e il vino” (dedicato ai vini delle Tre Venezie), “Note teoriche sulla degustazione dei vini” , “Uomini e cantine del vigneto Friuli” , ecc. È autore anche di molte schede enologiche di vario tipo, spesso tradotte in numerose lingue, persino in giapponese. È consultato per tavole rotonde, radiofoniche e televisive a tutti i livelli. Per quanto riguarda il vino, il Friuli è molto cambiato negli ultimi decenni. Un tempo, quello della Grande Emigrazione, ogni famiglia contadina produceva qualche ettolitro di vino per uso domestico, nella pergola dell'orto o della braida dietro casa. Le uve erano quelle da cui si spreme il cosiddetto fragolino, ossia nate da vitigni che non richiedevano cure speciali e resistevano alle malattie. Gli uomini lavoravano lontano e le donne, che dovevano badare alle mille incombenze familiari, non avevano certo molto tempo da dedicare alle viti. Ma neppure gli uomini rimasti a casa, a coltivare i loro campi, prendevano veramente sul serio le viti. Al massimo provvedevano a difenderle dai ladruncoli, spruzzandole con liquame attinto dal pozzo nero. Oggi invece il Friuli è noto in tutto il mondo per i suoi vini, e i bianchi in modo particolare. Il Tocai, il Sauvignon, il Verduzzo, il Ramandolo, il Picolit, il Pinot grigio, lo Chardonnay, il Riesling; ma anche i neri, il Cabernet, il Refosco, il Merlot, sono tutti vini Doc, apprezzatissimi e acquistati dappertutto, imbottigliati e impreziositi da etichette prestigiose, pregevoli persino dal versante estetico. C'è stata, nel mondo dei vini, una vera rivoluzione copernicana. Uno dei grandi protagonisti di essa è certamente Pietro Pittaro . Il nostro enologo non è soltanto un produttore e un tecnico; è anche uno storico, un umanista, un poeta, un appassionato raccoglitore di ogni possibile oggetto che riguardi il vino. Di ogni vino conosce la storia, l'evoluzione verificatasi nel modo di produrlo, imbottigliarlo e smistare il prodotto in ogni mercato. La vastissima casa di Pietro Pittaro , un edificio di migliaia e migliaia di metri quadrati, è insieme un'abitazione, un museo del vino e una fabbrica di esso. Chi percorra la statale per Pordenone quasi non la nota, perché la costruzione è molto più vasta che alta. Il criterio architettonico che ha guidato la sua edificazione è stato quello di non turbare il paesaggio pianeggiante della Bassa friulana. L'accesso avviene attraverso un cancello metallico azionato da un congegno elettronico. Come

ogni altra cosa, è smisurato. Sembra concepito per il passaggio di navi, piuttosto che di automobili o di camion. Chi entra in casa è subito proiettato dentro uno sterminato museo del vino, il più grande esistente in Italia, e forse anche in Europa e nel mondo intero. Visitatori arrivano da lontano, con i pullman, per vederlo. Consiste in una infinità di bacheche illuminate, che su ripiani gialli, che vanno dal pavimento al soffitto, ospitano in un nitido ordine tutto ciò che nel mondo può essere messo in rapporto con il vino: bicchieri, coppe, tazze, bottiglie, boccali, misure, fiaschi, damigiane; di vetro, di cristallo, di maiolica, di coccio, di porcellana... C'è quello che si poteva trovare –prosegue SGORLON-nelle osterie rustiche della nostra infanzia, dei nostri padri e nonni; ciò che si poteva vedere nelle case dei borghesi, nelle vetrine eleganti dei ricchi, nelle cristallerie dei nobili, o dei palazzi principeschi, dalla Sicilia al Nord dell'Europa. C'è addirittura una bottiglia del '600. Per ogni oggetto, dal bicchiere al cavatappi, dalla bottiglia al boccale, si va dalle forme più comuni alle più bizzarre e ricercate”. Come sempre, sono le cose più singolari a impressionare maggiormente i visitatori. Le sagome più inconsuete e sorprendenti, gli ornamenti più impensati, le invenzioni più inaspettate, i disegni più ricercati, gli ornamenti più preziosi. La realtà delle migliaia di oggetti, raccolti con certosina pazienza, e certo con sacrificio finanziario non indifferente, con infinite ricognizioni nelle botteghe degli antiquari, nei mercati delle pulci di mezza Europa, persino nei bugigattoli dei robivecchi, nelle antiche osterie in liquidazione, nelle soffitte dei contadini, che qualche decennio fa erano disposti a barattare secchi di rame sbalzato, considerati fastidiosi vecchiumi, con altri di plastica; o oggetti in ferro battuto con sedie tubolari nichelate, di linea modernissima. Per radunare un museo di queste dimensioni e di questo livello, bisogna avere una mente sensibile a infinite conoscenze tradizionali, umanistiche, suggestive, storiche. I musei nascono solitamente attraverso tempi lunghissimi, alimentati da denaro pubblico, con custodi stipendiati; rappresentano lo sviluppo di un nucleo primitivo creato spesso secoli fa da qualche principe mecenate. Pittaro invece ha fatto tutto da solo. Possiede lo spirito, la cultura, la passione del collezionista. Così il suo singolare museo reca da cima a fondo il sigillo della sua personalità e del suo gusto. Pittaro non ha radunato soltanto un numero sconfinato di oggetti, in centinaia di metri di bacheche e scaffali. Ha ricostruito anche ambienti particolarmente interessanti e suggestivi per la sua cultura di friulano: l'antica osteria, l'antica cantina, l'officina per il fabbricante di botti o di turaccioli di sughero, l'ambiente con il torchio di legno, e tanti altri. A volte egli si concede di allontanarsi dal tema del vino per raccogliere negli spazi del suo museo altre cose: ad esempio una gondola veneziana, o un prezioso carretto siciliano, dipinto e scolpito in ogni suo centimetro quadrato, antichi carri agricoli, arcaiche macchine stampatrici, e tante altre cose. Tutto è legato da un ordine e una logica, perché ogni cosa possiede un riferimento più o meno vicino al vino e alle cose che lo riguardano. Dall'altra parte della statale, proprio di fronte alla casa di Pittaro , sorge la caserma delle Frecce Tricolori, i cui piloti sono tutti amici del famoso enologo, pilota e appassionato del volo anche lui. Pittaro è una sintesi straordinaria di modernità e di

in tutti i Paesi e a cariche di natura enologica di ogni tipo e di ogni livello. Citerò<br />

soltanto la più prestigiosa: dal 1996 al '99 fu Presidente della "Unione Internazionale<br />

degli Enologi". In altri termini fu ( ed è , n.d.A.) un'autorità mondiale in campo<br />

enologico !<br />

Il vino lo produce, lo tiene a invecchiare nelle antiche botti di rovere di Schiavonia o<br />

nei silos di acciaio inossidabile. Lo imbottiglia e lo spedisce in ogni regione del<br />

mondo. Ma il vino è anche argomento delle sue scritture di specialista. Come<br />

giornalista dirige le riviste Un vigneto chiamato Friuli e L'Enotecnico ( oggi<br />

ribattezzato L’Enologo , n.d.A.) È anche autore di vari libri sul vino : “L'uva e il<br />

vino” (dedicato ai vini delle Tre Venezie), “Note teoriche sulla degustazione dei vini”<br />

, “Uomini e cantine del vigneto Friuli” , ecc.<br />

È autore anche di molte schede enologiche di vario tipo, spesso tradotte in numerose<br />

lingue, persino in giapponese. È consultato per tavole rotonde, radiofoniche e<br />

televisive a tutti i livelli.<br />

Per quanto riguarda il vino, il Friuli è molto cambiato negli ultimi decenni. Un tempo,<br />

quello della Grande Emigrazione, ogni famiglia contadina produceva qualche<br />

ettolitro di vino per uso domestico, nella pergola dell'orto o della braida dietro casa.<br />

Le uve erano quelle da cui si spreme il cosiddetto fragolino, ossia nate da vitigni che<br />

non richiedevano cure speciali e resistevano alle malattie. Gli uomini lavoravano<br />

lontano e le donne, che dovevano badare alle mille incombenze familiari, non<br />

avevano certo molto tempo da dedicare alle viti. Ma neppure gli uomini rimasti a<br />

casa, a coltivare i loro campi, prendevano veramente sul serio le viti. Al massimo<br />

provvedevano a difenderle dai ladruncoli, spruzzandole con liquame attinto dal pozzo<br />

nero.<br />

Oggi invece il Friuli è noto in tutto il mondo per i suoi vini, e i bianchi in modo<br />

particolare. Il Tocai, il Sauvignon, il Verduzzo, il Ramandolo, il Picolit, il Pinot<br />

grigio, lo Chardonnay, il Riesling; ma anche i neri, il Cabernet, il Refosco, il Merlot,<br />

sono tutti vini Doc, apprezzatissimi e acquistati dappertutto, imbottigliati e<br />

impreziositi da etichette prestigiose, pregevoli persino dal versante estetico. C'è stata,<br />

nel mondo dei vini, una vera rivoluzione copernicana. Uno dei grandi protagonisti di<br />

essa è certamente Pietro Pittaro .<br />

Il nostro enologo non è soltanto un produttore e un tecnico; è anche uno storico, un<br />

umanista, un poeta, un appassionato raccoglitore di ogni possibile oggetto che<br />

riguardi il vino. Di ogni vino conosce la storia, l'evoluzione verificatasi nel modo di<br />

produrlo, imbottigliarlo e smistare il prodotto in ogni mercato.<br />

La vastissima casa di Pietro Pittaro , un edificio di migliaia e migliaia di metri<br />

quadrati, è insieme un'abitazione, un museo del vino e una fabbrica di esso. Chi<br />

percorra la statale per Pordenone quasi non la nota, perché la costruzione è molto più<br />

vasta che alta. Il criterio architettonico che ha guidato la sua edificazione è stato<br />

quello di non turbare il paesaggio pianeggiante della Bassa friulana. L'accesso<br />

avviene attraverso un cancello metallico azionato da un congegno elettronico. Come

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