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Vigneto friuli - Claudio Fabbro

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IL TOCAI, SECONDO MARIO CROSTA<br />

Profondo conoscitore delle realtà Est europee ed in particolare del mondo agricolo<br />

ungherese, polacco e della Slovacchia, Mario Crosta è il corrispondente del<br />

periodico on-line “ Enotime” da anni attento osservatore della vicenda Tocai .<br />

Con Crosta mantengo da tempo una corrispondenza diretta o attraverso il sito<br />

www.natisone .it curato dal web master Aldo Toboga che ospita i miei scritti in “<br />

vini & vigneti “.<br />

Egli è un profondo estimatore del Tocai friulano , come il lettore potrà rendersene<br />

conto da alcune note che riprendo fra le tante curate dall’amico Mario.<br />

Tocai, Tokay e Tokaji, un tris d'assi da ricomporre (1)<br />

” Si pronunciano nello stesso modo, anche se sono scritti diversamente, ma sono tre<br />

vini che si trascinano da troppo tempo una discordia mal regolata fra i tre Stati in cui<br />

vengono prodotti.<br />

Il Tocai friulano e di Lison in Italia, il Tokay d’Alsace – Pinot Gris in Francia ed i<br />

vini Tokaji in Ungheria godono di splendida salute, sono infatti tra i migliori vini<br />

bianchi del mondo, prodotti con genialità e grande competenza da vigneti stupendi e<br />

tutelati dalle leggi vinicole più severe. Successi qualitativi notevoli, per tutti e tre,<br />

riconosciuti dagli intenditori di tutto il mondo. Non ci sono mai state gelosie fra i loro<br />

produttori per via di un’assonanza del nome. Chi sa produrre vini di tale livello<br />

impiega tutta la passione e tutte le energie ad estrarre dalla terra e dall’uva profumi e<br />

sapori in grado di incantare davvero, le diatribe non sono certo il pane quotidiano per<br />

chi mira alla qualità. Da qualche secolo si sono affinate delle differenti tecniche di<br />

coltivazione delle uve nonché delle peculiari tecnologie di cantina, quindi le<br />

caratteristiche organolettiche dei tre tipi di vino sono ben distinte ed assolutamente<br />

inconfondibili, perciò il consumatore attento non ha mai avuto problemi di<br />

identificazione, almeno fino a una ventina di anni fa, nonostante la contrapposizione<br />

dei blocchi e la guerra fredda.<br />

Ma quando il mercato americano, consumatore abituale di birra e di Bourbon, si è<br />

aperto improvvisamente al vino europeo e nei supermercati del Paese più ricco del<br />

mondo hanno cominciato ad essere poste in vendita le bottiglie, senza controetichette<br />

tradotte in inglese, disposte sugli scaffali per ordine alfabetico dall’ignoranza più<br />

assoluta in fatto di vini e senza consigli per l’abbinamento con i cibi, sono cominciati<br />

i problemi. Questo tipo di vendita, che lascia il consumatore in balia di se stesso, cioè<br />

ognuno si arrangi a comprare quello che riesce ad intuire come il prodotto adatto alle<br />

proprie aspettative, ha sempre fatto dei danni incalcolabili per ogni prodotto<br />

alimentare (invece i vestiti e gli indumenti intimi si possono almeno provare prima...)<br />

e con il vino è successa la stessa cosa. Negli Stati Uniti, inoltre, da sempre sono<br />

all’ordine del giorno le truffe, le menzogne ed i sotterfugi con le etichette alimentari,

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