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Vigneto friuli - Claudio Fabbro

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stessi si sono dimostrati arrendevoli e disinformati. Fino al ’97, in regione c’è stato<br />

un atteggiamento rassegnato, anche perché, essendo il termine temporale del 2007<br />

ancora lontano, il problema appariva poco sentito. Nel ’99 si aprì anche il dibattito<br />

sul possibile nome alternativo, da quale emerse il termine ‘Friulano’ quale più<br />

accreditato a sostituire il Tocai”.<br />

Fu l’allora assessore regionale Giorgio Venier Romano a voler aprire il fronte della<br />

‘resistenza’, trovando una sponda a livello governativo non tanto nel ministro alle<br />

Politiche agricole, Alfonso Pecoraro Scanio, ma in quello degli Esteri, Lamberto<br />

Dini. Una difesa legale che continuò poi in maniera più marcata con l’attuale ministro<br />

Giovanni Alemanno.<br />

La latitanza politica italiana permise così di fare un regalo (non richiesto) agli<br />

ungheresi. I più soddisfatti sono però i francesi, certamente i più accaniti avversari<br />

del Tocai friulano per due ordini di motivi. Il primo risponde al motto “mal comune<br />

mezzo gaudio”, visto che anche i francesi sono stati costretti a rinunciare al proprio<br />

Tokay d’Alsazia divenuto Pinot Gris.<br />

La seconda motivazione è legata ai consistenti investimenti che le aziende d’Oltralpe<br />

hanno realizzato fin dall’inizio degli Anni ’90 in Ungheria, acquistando notevoli<br />

superfici a vigna e aggiornando il sistema produttivo magiaro. Per rendere<br />

remunerativi questi investimenti, uno degli obiettivi è far diventare proprio il Tokaji<br />

ungherese leader dei vini passiti europei.<br />

Anche per gli addetti ai lavori l’esito della causa alla Corte di giustizia è<br />

imperscrutabile.<br />

A Lussemburgo, a metà del dicembre scorso, ci ha pensato l’avvocato generale della<br />

Corte di giustizia, l’inglese Francis Jacobs, a dare una martellata sulle speranze<br />

friulane. Nelle sue conclusioni, infatti, afferma che è “legittimo il divieto dell’uso del<br />

nome Tocai imposto da un accordo del 1993 tra l’Ue e l’Ungheria”. Accordo che<br />

Jacobs ritiene, quindi, “valido”.<br />

Il ruolo dell’avvocato generale è quello di proporre ai giudici comunitari, in completa<br />

indipendenza, la soluzione che a suo parere deve essere data alla controversia.<br />

Jacobs accentra la sua riflessione sulla difesa delle indicazione geografiche<br />

sostenendo che “mentre Tokaj è un’indicazione geografica ungherese, Tocai non è<br />

un’indicazione geografica italiana, ma una varietà di uva e, come tale, non può<br />

godere della tutela accordata a queste indicazioni. Tutto ciò, in base all’accordo sulle<br />

denominazioni dei vini e all’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale<br />

attinenti al commercio”.<br />

L’accordo sulle denominazioni dei vini prevede che, in caso di indicazioni<br />

geografiche omonime o identiche, in generale si possa continuare a usare entrambe i<br />

nomi. Ma per Jacobs la denominazione italiana “è riconosciuta per una varietà di vite<br />

e non come indicazione geografica, poiché non possiede una particolare qualità,<br />

notorietà o caratteristica in questo senso”.<br />

“Anche qualora vi sia stata un’ingerenza nel diritto di proprietà - è la inclemente<br />

conclusione dell’avvocato generale - è stato rispettato il principio di proporzionalità,<br />

in quanto i viticoltori hanno beneficiato di un periodo transitorio di 13 anni per<br />

adeguarsi”.

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