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Vigneto friuli - Claudio Fabbro

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Nella risposta ai quesiti che la Corte ha formulato, crediamo di aver dimostrato che<br />

numerosissimi vini italiani di qualità vengono normalmente designati riportando in<br />

etichetta il nome della varietà di vite insieme all’area geografica di provenienza.<br />

Questo è, d’altra parte, uno dei due sistemi ufficiali di designazione dei vini che è<br />

stato previsto fin dagli inizi dalla stessa regolamentazione comunitaria.<br />

L’altro sistema di designazione dei vini, che fa riferimento alla sola regione<br />

geografica, riguarda, in Italia, vini particolari, come il Chianti o il Barolo, che non<br />

indicano nell’etichetta le varietà di vite utilizzate ma soltanto l’area di provenienza<br />

del vino (il vino Chianti, ad esempio, viene prodotto con tre varietà di vite diverse e il<br />

vino Barolo con una sola varietà di vite, che dà l’uva Nebbiolo, il cui vino diventa<br />

Barolo dopo quattro anni di invecchiamento).<br />

Quest’ultimo sistema, che si riferisce soltanto alla Regione geografica di<br />

provenienza, è il sistema primario generalmente applicato in Francia; ma in Italia, in<br />

Germania, in Spagna e in altri Paesi viene molto applicato anche il secondo sistema.<br />

E in base alla previsione degli esperti del settore dei vini, questo secondo sistema, che<br />

valorizza le varietà di vite, insieme alle zone geografiche di produzione, consentirà in<br />

futuro ai produttori europei di contrastare la concorrenza dei produttori degli Stati<br />

Uniti d’America, dell’Australia, del Sud Africa e del Cile che stanno invadendo i<br />

mercati europei con i loro vini designati, appunto, con il nome della varietà di vite<br />

abbinato a quello della zona di provenienza.<br />

Pensiamo alla varietà di vite Syrah, utilizzata dai produttori australiani e alle varietà<br />

Chardonnay e Cabernet molto usate negli Stati Uniti e in Cile.<br />

Ne consegue, pertanto, che le regole sull’omonimia debbono poter trovare<br />

applicazione in caso di contrasto tra due denominazioni uguali o simili usate per<br />

designare due vini diversi, non solo quando tali “denominazioni” consistono in due<br />

indicazioni geografiche fra loro confondibili, ma anche quando una di queste<br />

denominazioni sia composta da un elemento lessicale o da un riferimento geografico<br />

suscettibile di creare confusione con l’altra denominazione.<br />

In un’ipotesi siffatta, per poter applicare le regole sull’omonimia, occorre soltanto<br />

verificare se per lungo tempo entrambe le denominazioni siano state utilizzate sui<br />

mercati, correttamente e in buona fede, dai rispettivi titolari. E questo è esattamente<br />

avvenuto nella nostra fattispecie, dato che il Tocai friulano può vantare secoli di<br />

storia.<br />

Che d’altra parte non si debba far riferimento unicamente all’indicazione geografica<br />

di provenienza per poter applicare le regole sull’omonimia, lo si può agevolmente<br />

dedurre dal Regolamento del Consiglio n. 69212003, da noi commentato al punto 116<br />

della nostra memoria e ai punti 46-48 della nostra risposta ai quesiti della Corte.<br />

Tale regolamento, modificando il famoso Regolamento n. 2081/92 sulle<br />

denominazioni di origine e le indicazioni geografiche, ha aggiunto un nuovo art. 6<br />

che prevede l’applicazione delle regole sull’omonimia anche nei confronti di due<br />

denominazioni ritenute confondibili, perché uguali o simili, senza affatto richiedere<br />

che le stesse consistano in indicazioni geografiche. Ciò che importa è la loro<br />

confondibilità e il rimedio previsto è l’applicazione di correttivi per evitarla,<br />

attenuarla od eliminarla.

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