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06.02.2013 Views

5.3 Italia settentrionale 5.3.1 La Neolitizzazione dell’Italia settentrionale: aspetti generali Il primo Neolitico dell’Italia settentrionale e, in particolare, quello dell’area padano-alpina è caratterizzato da un mosaico di culture che è stato accuratamente definito verso la fine degli anni Settanta e durante il decennio successivo da B. Bagolini e P. Biagi. Lo schema proposto dai due Autori resta sostanzialmente valido anche se le nuove scoperte e, soprattutto, una sistematica campagna di datazioni radiometriche, permettono oggi di definire meglio il quadro 210 . Carta di distribuzione dei siti del Neolitico antico dell’Italia settentrionale: 1.Arma dello Stefanin 2. Arma di Nasino 3. Caverna dell’Acqua o del Morto, Caverna della Fontana, Caverna della Mandurea, Caverna Pollera, Grotta S. Lucia, Arene Candide 4. Alba 5. Alessandria-Cristo 6. Riparo Vayes 7. Cazzago Brabbia 8. Isolino di Varese 9. Castelnuovo Sotto, Campegine, Calerno, S. Ilario 10. Fiorano, Chiozza, Rivaltella, Pescale, Albinea 11. Bellaria 12. Imola-podere Laguna, Ospedale Nuovo 13. Riolo Terme 14. Vho di Piadena e S. Lorenzo Guazzone 15. Torbiera Cascina 16. Fimon, Villa del Ferro 17. Le Basse di Valcalaona 18. Romagnano, Riparo Gaban, Doss Trento, Vela 19. Dos de la Forca 20. Villandro 21. Fagnigola. (da Bagolini 1980) 210 PESSINA 1998; IMPROTA & PESSINA 2000. 160

5.3 Italia settentrionale<br />

5.3.1 La Neolitizzazione dell’Italia settentrionale: aspetti generali<br />

Il primo <strong>Neolitico</strong> dell’Italia settentrionale e, in particolare, quello<br />

dell’area padano-alpina è caratterizzato da un mosaico di culture<br />

che è stato accuratamente definito verso la fine degli anni Settanta<br />

e durante il decennio successivo da B. Bagolini e P. Biagi.<br />

Lo schema proposto dai due Autori resta sostanzialmente valido<br />

anche se le nuove scoperte e, soprattutto, una sistematica campagna<br />

di datazioni radiometriche, permettono oggi di definire meglio<br />

il quadro 210 .<br />

Carta di distribuzione dei siti del <strong>Neolitico</strong> antico dell’Italia settentrionale:<br />

1.Arma dello Stefanin 2. Arma di Nasino 3. Caverna dell’Acqua o del Morto, Caverna<br />

della Fontana, Caverna della Mandurea, Caverna Pollera, Grotta S. Lucia,<br />

Arene Candide 4. Alba 5. Alessandria-Cristo 6. Riparo Vayes 7. Cazzago Brabbia<br />

8. Isolino di Varese 9. Castelnuovo Sotto, Campegine, Calerno, S. Ilario 10. Fiorano,<br />

Chiozza, Rivaltella, Pescale, Albinea 11. Bellaria 12. Imola-podere Laguna, Ospedale<br />

Nuovo 13. Riolo Terme 14. Vho di Piadena e S. Lorenzo Guazzone 15. Torbiera<br />

Cascina 16. Fimon, Villa del Ferro 17. Le Basse di Valcalaona 18. Romagnano, Riparo<br />

Gaban, Doss Trento, Vela 19. Dos de la Forca 20. Villandro 21. Fagnigola.<br />

(da Bagolini 1980)<br />

210 PESSINA 1998; IMPROTA & PESSINA 2000.<br />

160


Areale di distribuzione delle varie culture del <strong>Neolitico</strong> antico.<br />

(da Pessina)<br />

Come si può osservare nella carta, le coste tirrenica e adriatica<br />

sono interessate dalla diffusione della Ceramica Impressa. Nell’area<br />

costiera ligure nel corso della prima metà del VI millennio a.C. (in<br />

cronologia radiocarbonica calibrata) si afferma la cultura della Ceramica<br />

Impressa Ligure, mentre nella seconda metà del millennio<br />

lungo il versante adriatico (Abruzzo, Marche, Romagna) si possono<br />

riscontrare gli ultimi avamposti della Ceramica Impressa adriatica.<br />

Verso la fine del VI millennio l’area padano-alpina è invece interessata<br />

da un mosaico di culture differenti, accomunate dall’adozione<br />

di una ceramica a decorazione lineare: si tratta dei gruppi di Fiorano,<br />

del Vhò di Piadena, dell’Isolino di Varese, del Riparo Gaban, dei<br />

cosiddetti Gruppi Friulani (un tempo indicati come “cultura di Fagnigola”)<br />

e di quello di Vlaska (o dei “vasi a coppa”).<br />

Al contrario di quanto si è riscontrato per l’Italia meridionale, emerge<br />

come alla colonizzazione della pianura da parte di popolazioni<br />

già dotate di un’economia pienamente produttiva si debba<br />

essere affiancata una acculturazione del substrato mesolitico locale,<br />

evidente nella persistenza di alcuni elementi “arcaici” nelle industrie<br />

litiche (per esempio i microliti trapezoidali) e di forme di economia<br />

tradizionali, ancora basate su caccia e raccolta 211. Il ruolo<br />

del substrato mesolitico è stato in passato enfatizzato in quanto a<br />

esso si attribuiva il presunto ritardo nella neolitizzazione dell’area<br />

padano-alpina rispetto a quella dell’Italia meridionale; inoltre i pochi<br />

dati paleobotanici disponibili sembravano evidenziare una scar-<br />

211 A questo proposito, soprattutto per le aree più periferiche (come le valli alpine),<br />

si è talora parlato di una “ceramizzazione” del substrato mesolitico piuttosto<br />

che di una vera e propria neolitizzazione (BAGOLINI & PEDROTTI 1998).<br />

161


sa incidenza dell’economia agricola nei siti del primo <strong>Neolitico</strong> e si<br />

ipotizzava che l’introduzione delle diverse specie coltivate fosse stata<br />

progressiva e scaglionata nel tempo. D’altro canto, le datazioni<br />

disponibili sembravano indicare la presenza di uno iato tra l’ultimo<br />

Mesolitico e il primo <strong>Neolitico</strong>.<br />

Le datazioni assolute ottenute negli ultimi anni (a partire dagli<br />

anni Novanta) e la maggiore attenzione prestata ai dati paleobotanici<br />

hanno modificato in parte questo quadro: la neolitizzazione<br />

dell’Italia settentrionale deve infatti essere retrodatata di 3 o 4 secoli<br />

212 e si viene così a colmare la presunta cesura tra Mesolitico e <strong>Neolitico</strong><br />

213.<br />

La raccolta sistematica dei resti carpologici (cioè semi, frutti etc.)<br />

che ha caratterizzato gli scavi più recenti (come quelli dei siti di<br />

Sammardenchia, in Friuli, o di Lugo di Romagna) ha inoltre permesso<br />

di verificare che tutti i cereali (frumenti nudi, farro, farricello, orzo)<br />

furono introdotti contemporaneamente e rapidamente, dato che<br />

sembra indicare fenomeni di rapida diffusione piuttosto che di lenta<br />

acculturazione 214 .<br />

Come si vedrà in seguito, anche l’esistenza di una solida rete di<br />

traffici commerciali induce a ritenere che queste comunità padane<br />

fossero già pienamente neolitiche, piuttosto che in fase di acculturazione.<br />

Si esamineranno ora, sia pure per sommi capi, le caratteristiche<br />

dei diversi gruppi del primo <strong>Neolitico</strong> dell’Italia settentrionale.<br />

5.3.2 Le culture del <strong>Neolitico</strong> Antico<br />

La Ceramica Impressa Ligure e la Ceramica graffita<br />

La cultura della Ceramica Impressa ligure occupa un areale<br />

compreso tra Liguria e Piemonte (Alba, Alessandria-Cristo, Val di Susa),<br />

con sporadiche attestazioni nella Lombardia occidentale (Palude<br />

Brabbia). Fu definita per la prima volta negli anni Quaranta da<br />

L. Bernabò Brea, che si basò sui ritrovamenti effettuati in diverse<br />

grotte del Finalese (e in particolar modo nella caverna delle Arene<br />

212 Nell’Italia nordorientale tra 5.500÷5.300 a.C. (cal.) il <strong>Neolitico</strong> è già ben stabilito.<br />

Date particolarmente alte sono state ottenute per il sito friulano di Piancada<br />

(struttura 1 con faune già domestiche: 6751±108 BP) e per quello emiliano di<br />

Fiorano (pozzetto 2 6690±180 BP) (IMPROTA & PESSINA 1998).<br />

213 Le datazioni assolute ottenute per i siti tardo mesolitici non si discostano molto<br />

da quelle più alte ottenute per il primo <strong>Neolitico</strong>: nell’Appennino toscoemiliano<br />

si va infatti da 6960±130 (Passo della Comunella) a 6620±80 (Lama Lite<br />

II), mentre per il Bresciano (Fienile Rossino, Laghetti del Crestoso) e per la valle<br />

dell’Adige (Pradestel) si sono ottenute date comprese tra 6.870±50 e 6790±120<br />

(IMPROTA & PESSINA 1998).<br />

214 CASTELLETTI & ROTTOLI 1998; ROTTOLI 2000.<br />

162


Candide 215) e che vi riconobbe vari rapporti con l’ambiente del<br />

Cardiale provenzale.<br />

Le forme vascolari sono piuttosto semplici: predominano i recipienti<br />

d’impasto grossolano a corpo troncoconico o ovoide, con<br />

fondo piatto o a tacco, talora muniti di anse o di prese a linguetta<br />

e i fiaschi quadriansati a ventre sferoidale e collo cilindrico. Le decorazioni<br />

impresse sono generalmente disposte su tutta la superficie<br />

secondo sintassi ben organizzate e spesso sono ottenute imprimendo<br />

il margine dentellato della valva del Cardium sull’argilla ancora<br />

cruda.<br />

Tipologie ceramiche della Ceramica Impressa ligure (da Banchieri et al.)<br />

215 La grotta delle Arene Candide, ubicata presso Finale Ligure (SV), deve il suo<br />

nome alla duna di sabbia silicea bianca che si addossava al promontorio della<br />

Caprazzoppa. Gli scavi intrapresi all’interno della caverna negli anni ’40 da Luigi<br />

Bernabò Brea misero in luce un deposito della potenza di circa 8 metri, con<br />

un’importante stratigrafia che va dal Paleolitico Superiore sino all’età tardo antica.<br />

Gli scavi dei depositi di età olocenica furono poi ripresi nei primi anni ’70 da S.<br />

Tinè e R. Maggi e negli anni ’90 è iniziato un complesso lavoro di analisi e revisione<br />

dei dati disponibili. Lo studio della sequenza stratigrafica mostra come all’inizio<br />

dell’Olocene la grotta non fosse occupata, mentre la frequentazione si intensificò<br />

intorno a 7000 BP, con l’avvento di popolazioni agricole della Ceramica Impressa.<br />

L’occupazione perdurò anche nelle fasi successive del <strong>Neolitico</strong>, riferibili alle culture<br />

dei Vasi a Bocca Quadrata (VBQ) e di Chassey-Lagozza. Durante la fase<br />

VBQ la grotta pare essere stata utilizzata come area funeraria (sono infatti state<br />

messe in luce varie tombe a cassetta litica con scheletro rannicchiato), ma le<br />

analisi dei sedimenti hanno evidenziato anche un suo utilizzo per la stabulazione<br />

animale.<br />

163


L’industria litica mostra una persistenza di elementi mesolitici (es.<br />

strumenti a ritocco erto, trapezi etc…) 216; sono documentate anche<br />

asce e anelloni-bracciali in pietra verde levigata, mentre appare<br />

rara l’ossidiana. Tra gli oggetti di adorno dominano quelli ricavati<br />

da conchiglie forate (in particolare la Columbella rustica).<br />

In Liguria sono attestati soprattutto siti in grotta (lungo la costa) o<br />

sotto riparo (in aree più interne) 217, mentre le attestazioni piemontesi<br />

e lombarde sono prevalentemente all’aperto e in aree prossime a<br />

corsi d’acqua o a bacini palustri.<br />

Tipologie ceramiche della Ceramica Graffita ligure (da Banchieri<br />

et al.)<br />

Per quanto concerne l’economia, i dati delle Arene Candide indicano<br />

che, accanto alla caccia alle specie selvatiche e alla rac-<br />

216 Risulta invece poco documentata la tecnica del microbulino (BAGOLINI &<br />

PEDROTTI 1998).<br />

217 È il caso, per esempio, dei siti rilevati da M. Leali Anfossi in Val Pennavaira<br />

tra gli anni ’50 e ’70. Tra questi si possono ricordare il riparo dell’Arma di Nasino,<br />

l’Arma dello Stefanin, la grotta del Pertusello. All’Arma di Nasino è stata messa in<br />

luce una stratigrafia che abbraccia vari millenni, dall’Epigravettiano all’età del<br />

Bronzo e i cui materiali neolitici si possono inquadrare nelle culture della Ceramica<br />

Impressa, dei Vasi a Bocca Quadrata e di Chassey. Allo Stefanin il deposito<br />

archeologico ha una potenza di 4 m ma i livelli di occupazione sono intercalati a<br />

spesse colate stalagmitiche. È interessante osservare come in questa grotta, ubicata<br />

in un restringimento della valle, il record faunistico sia dominato dallo stambecco<br />

sia nei livelli epigravettiani che in quelli neolitici. La pratica di<br />

un’economia ancora predatoria è, del resto, in sintonia con l’aspetto arcaico<br />

delle industrie litiche e con le datazioni radiocarboniche (6610±60 BP). Questi dati<br />

inducono a ritenere che le frequentazioni neolitiche dell’Arma di Nasino e dello<br />

Stefanin fossero coeve a quelle sauveterriane della Provenza o dell’Appennino<br />

settentrionale.<br />

164


colta dei molluschi marini, era già praticato l’allevamento (soprattutto<br />

quello degli ovicaprini), mentre più deboli risultano le tracce di<br />

economia agricola.<br />

L’importante sequenza stratigrafica fornita dai depositi della caverna<br />

delle Arene Candide, nel Finalese, mostra come gli strati caratterizzati<br />

da ceramiche con decorazioni a impressioni (della potenza<br />

di circa 50 cm) siano frapposti tra livelli preceramici e livelli<br />

con ceramiche graffite; le datazioni assolute disponibili per gli strati<br />

della Ceramica Impressa sono comprese tra 5980 e 5163 a.C. (in<br />

cronologia radiocarbonica calibrata).<br />

Le ceramiche graffite, ancora poco conosciute, sono datate alle<br />

Arene Candide tra 5470 e 4627 a.C.(cal.) e sono presenti anche<br />

nella stratigrafia della grotta Pollera con datazione 5130÷4800 BC<br />

cal.<br />

Gli impasti sono più vari (grossolani, medi, fini) e sono documentati<br />

vasi a piede, tazze, fiaschi con decorazioni a graffito (realizzate<br />

sulle pareti del recipiente a crudo o dopo la cottura) organizzate<br />

secondo sintassi geometriche.<br />

La Ceramica Impressa adriatico-romagnola<br />

Le ultimi propaggini settentrionali della corrente della Ceramica<br />

Impressa toccano le coste romagnole e penetrano verso l’interno<br />

sino all’Imolese 218 . Affioramenti antropici caratterizzati da elementi<br />

della cultura in oggetto sono infatti stati rinvenuti in diverse località<br />

del Riminese (Miramare, Misano Adriatico) e a Imola si sono scavati i<br />

resti di un abitato (purtroppo pesantemente compromesso dai lavori<br />

di escavazione per le fondamenta dell’Ospedale Nuovo) 219.<br />

Di notevole importanza è la scoperta di un esteso abitato a Faenza,<br />

presso la fornace Cappuccini: scavato a partire dalla fine<br />

degli anni Settanta, il villaggio è risultato dell’ampiezza di circa 15<br />

ettari ed è delimitato da un fossato che si è riempito nelle epoche<br />

successive, sino all’età del Rame. Alcuni carboni prelevati nella parte<br />

bassa del riempimento del fossato sono stati datati a 6329±60 BP<br />

(5289-5225 a. C. cal.).<br />

Sia all’interno che all’esterno dell’area recintata si sono scoperte<br />

cavità antropizzate, di varie dimensioni, interpretabili come resti delle<br />

capanne 220 .<br />

218 La segnalazione di ceramiche impresse associate a un’industria litica dai<br />

tratti piuttosto arcaici a Bazzarola, nel Reggiano (cioè in un’area più settentrionale<br />

e occidentale) non viene attualmente considerata significativa anche per<br />

l’esiguità dei manufatti raccolti.<br />

219 Sono state rinvenute impronte di pali allineati e buche di palo con inzeppature<br />

costituite da cocci ceramici. Pare che le capanne fossero di forma rettangolare.Un'<br />

area di terreno arrossato è stata interpretata come focolare. Resti di<br />

concotto piuttosto friabile, tuttavia senza impronte, potrebbero essere pertinenti<br />

all'intonaco (BAGOLINI & VON ELES 1978).<br />

220 BAGOLINI & BIAGI 1985; ANTONIAZZI et al. 1985; MASSI PASI & PRATI 1980; ANTONIAZZI et<br />

al. 1990<br />

165


Pianta parziale e sezione del fossato di Faenza-Fornace Cappuccini<br />

(da Antoniazzi et al.)<br />

Tra le forme ceramiche, decisamente affini a quelle marchigiane<br />

di Maddalena di Muccia e di Ripabianca di Monterado, si annoverano<br />

dolii, olle, bicchieri, vasi con accenno di carena, vasi a tulipano<br />

con fondo a tacco, scodelloni, fiaschi etc… Le decorazioni sono<br />

a impressioni disposte disordinatamente o a bande, o a incisioni lineari,<br />

talora molto fitte e formanti reticoli.<br />

L’industria litica è ricavata da selce rossa marchigiana e, a Faenza-fornace<br />

Cappuccini, il 10% dei reperti raccolti è in ossidiana. Sono<br />

spesso presenti elementi tipologici e litotecnici di tradizione mesolitica<br />

come le troncature e i microliti geometrici e i microbulini.<br />

Gli assemblages faunistici vedono in genere una prevalenza di<br />

animali selvatici, ma sono presenti anche suini e bovini.<br />

Come si vedrà in seguito, la mancata penetrazione della cultura<br />

della Ceramica Impressa nel cuore della pianura padana (pur in<br />

assenza di ostacoli fisici) 221 e la contiguità o sovrapposizione dei siti<br />

più settentrionali (Imola e Faenza) rispetto all’areale di diffusione<br />

della cultura di Fiorano hanno posto alcuni interrogativi; a questi si<br />

è cercato, negli ultimi anni, di fornire una risposta che tenesse conto<br />

delle nuove datazioni radiometriche disponibili e di vari aspetti culturali,<br />

legati in particolar modo allo sfruttamento delle materie pri-<br />

221 Si deve ricordare che, lungo l’opposta sponda adriatica, la corrente della<br />

Ceramica Impressa raggiunge anche territori più settentrionali come l’Istria e il<br />

Carso Triestino.<br />

166


me. Appare infatti estremamente significativo che, contrariamente<br />

alla cultura di Fiorano, che sfrutta l’ottima selce lessinica e che, invece,<br />

non sembra rientrare nel circuito commerciale dell’ossidiana,<br />

nei siti più settentrionali della Ceramica Impressa le fonti di selce<br />

sfruttate siano quelle locali, piuttosto scadenti, o quelle marchigiane<br />

e che l’ossidiana, come in tutti i siti della Ceramica Impressa,<br />

giochi ancora un ruolo determinante 222.<br />

Ceramiche da Faenza-fornace<br />

Cappuccini<br />

(da Antoniazzi et al.)<br />

La cultura di Fiorano<br />

La cultura di Fiorano (dal sito eponimo di Fiorano Modenese) è<br />

stata definita per la prima volta all’inizio degli anni Cinquanta da F.<br />

Malavolti. Lo studioso la riteneva localizzata solo in Emilia, tra il Reggiano<br />

e il Modenese, mentre più tardi L. Barfield riconobbe per primo<br />

come l’estensione di questa cultura andasse ben oltre i ristretti<br />

confini delle due province emiliane, per estendersi anche al Veneto<br />

meridionale. Sulla base delle scoperte degli ultimi vent’anni è possibile<br />

precisare meglio l’areale di diffusione della cultura che, oltre a<br />

parte dell’Emilia e al Veneto (area berico-euganea e lessinica),<br />

comprende anche la Romagna (siti di Riolo Terme e di Lugo di Romagna).<br />

Tra le fogge ceramiche più caratteristiche si possono citare le<br />

tazze e i boccali carenati, solitamente muniti di un’ansa a nastro<br />

222 IMPROTA & PESSINA 1998; PESSINA 1998; PESSINA 2000; BARFIELD 2000.<br />

167<br />

Ceramiche da Imola-Ospedale<br />

Nuovo<br />

(da Bagolini & von Eles.)


verticale con tubercolo apicale, grandi scodelle quadriansate con<br />

anse sopraelevate sopra l’orlo, fiaschi con quattro prese forate sotto<br />

l’orlo o con quattro anse sulla pancia (simili a quelli diffusi nella<br />

cultura di Ripoli). Molto caratteristiche sono anche le grandi giare<br />

cordonate in ceramica grossolana, sempre quadriansate, con cordoni<br />

verticali che scendono dall’orlo e con fondo convesso, elementi<br />

che trovano confronti nella sfera cardiale della Provenza. Sono<br />

inoltre presenti ceramiche figuline di importazione dall’Italia centrale<br />

o di imitazione locale.<br />

Ceramiche di Fiorano (da Banchieri et al.)<br />

168


Alcune ceramiche dal villaggio di Lugo di Romagna (RA)<br />

(da Degasperi et al.)<br />

Alcune sintassi decorative presenti sulle ceramiche<br />

tipo Fiorano<br />

(da Bagolini)<br />

169<br />

La decorazione della<br />

ceramica d’impasto medio<br />

e fine è solitamente<br />

incisa o a solcature con<br />

motivi lineari e punti impressi,<br />

organizzati secondo<br />

sintassi geometriche con<br />

motivi a linea spezzata o<br />

curvilinei, nei quali è possibile<br />

riconoscere lo schema<br />

definito a Notenkopf<br />

(nota musicale), presente<br />

anche nella Ceramica Lineare<br />

centroeuropea.<br />

Proprio questo elemento<br />

portò Radmilli a ipotizzare<br />

una filiazione della cultura<br />

di Fiorano dalla LBK europea,<br />

interpretazione che<br />

oggi viene generalmente<br />

scartata.


Nuclei in selce dal villaggio<br />

di Lugo di Romagna<br />

(da Degasperi et al.)<br />

L’industria litica è in selce di ottima<br />

qualità, solitamente “alpina”, di provenienza<br />

lessinica. Tra gli elementi più caratteristici<br />

si possono citare i romboidi geometrici<br />

e i cosiddetti “bulini di Ripabianca”,<br />

che sono diffusi anche in altre<br />

culture del primo neolitico dell’Italia settentrionale.<br />

Abbondante anche<br />

l’industria in pietra verde levigata, rappresentata<br />

da asce e anelloni.<br />

Gli insediamenti sono localizzati nella fascia pedemonatana<br />

dell’Appennino reggiano e modenese, sulle pendici dei primi contrafforti<br />

appenninici (es. Riolo Terme), nei fondovalle dell’area lessinica<br />

(es. Lugo di Grezzana) o in piena pianura (solitamente presso<br />

corsi d’acqua o affioramenti delle acque di risorgiva).<br />

Nell’area periappenninica sono note soltanto strutture incerte: si<br />

tratta di chiazze di terreno antropico, spesso definite in letteratura<br />

come “fondi di capanna”, fosse o pozzetti-silos, lembi di focolari. I<br />

villaggi di pianura risultano invece meglio strutturati o comunque<br />

più facilmente leggibili.<br />

Eccezionale è stata la scoperta del villaggio di Lugo di Romagna<br />

(RA), sepolto e, dunque, preservato da 14 m di argille alluvionali. I<br />

lavori di cava della Fornace Gattelli hanno pesantemente compromesso<br />

gli strati archeologici, ma si è preservato un lembo del villaggio<br />

ancora in corso di scavo. Le ricerche, iniziate nel 1984, hanno<br />

portato alla luce i resti di un fossato e di una palizzata di recinzione<br />

e di alcune strutture interne.<br />

Oltre a rifiutaie e a buche interpretate come fosse di prelievo e di<br />

decantazione dell’argilla (clay pits), è stato possibile scavare una<br />

struttura abitativa molto ben conservata. Si tratta di una capanna<br />

di forma rettangolare, suddivisa in due ambienti, uno dei quali, probabilmente<br />

adibito a dispensa, conservava cumuli di granaglie<br />

carbonizzate durante l’incendio che pose fine alla vita dell’abitato.<br />

170<br />

Bulino di Ripabianca e romboide


Nell’ambiente più grande si sono invece rinvenuti un forno e un focolare<br />

223.<br />

223 DEGASPERI et al. 1998.<br />

Ricostruzione della recinzione del villaggio di Lugo.<br />

Sopra: la capanna. In giallo il battuto della pavimentazione,<br />

in rosso gli elementi strutturali in concotto, in<br />

grigio il forno e il focolare.<br />

(da Degasperi et al.)<br />

Durante lo scavo della canalina di<br />

fondazione della palizzata si sono rinvenute<br />

tracce di un probabile rito di<br />

fondazione del villaggio: si tratta di un<br />

boccale decorato rovesciato che copriva<br />

la zampa anteriore destra (in<br />

connessione anatomica) di un cane.<br />

171<br />

Il villaggio di<br />

Lugo di Romagna:<br />

l’area<br />

scavata dal<br />

1984.<br />

In rosso la canalina<br />

di fondazione della<br />

palizzata, in nero<br />

gli elementi lignei,<br />

in giallo l’argine, in<br />

azzurro il fossato, in<br />

grigio le buche e in<br />

arancio la capanna<br />

(da Degasperi et<br />

al.)<br />

Il probabile “rito di fondazione” della palizzata<br />

(da Degasperi et al.)


Al di là di questo indizio riscontrato a Lugo di Romagna, gli aspetti<br />

rituali della cultura di Fiorano sono poco conosciuti: il rituale funerario<br />

non è ben documentato e le figurine fittili muliebri rinvenute in<br />

alcuni siti emiliani (Chiozza, Albinea, Rivoltella) mostrano piuttosto<br />

contatti con la sfera culturale del Vhò.<br />

L’economia è pienamente agricola e basata sulla policeralicoltura<br />

(come dimostrano le migliaia di semi carbonizzati di frumento rinvenuti<br />

a Lugo) e si registra una preponderanza di animali domestici<br />

(bovini, suini, ovicaprini) rispetto alle specie selvatiche.<br />

La cultura materiale di Fiorano mostra numerose affinità con<br />

quella del gruppo del Vhò: esse sono così accentuate che in molti<br />

casi è difficile attribuire un complesso di manufatti all’una o all’altra<br />

cerchia. La cultura in esame mostra peraltro di avere intrattenuto<br />

contatti molto stretti anche con ambiti culturali non contigui.<br />

Influssi promananti dalla sfera di Fiorano sono infatti riconoscibili in<br />

vari gruppi culturali del Nord Italia (Vhò, Gaban, Gruppi Friulani,<br />

etc…) sotto forma di importazioni di ceramiche o di imitazioni locali<br />

“fioranoidi”. Alcuni elementi, come i bulini di Ripabianca o gli anelloni<br />

in pietra verde, hanno una diffusione molto ampia, “sovraculturale”,<br />

e, come si è detto, le giare cordonate a fondo convesso mostrano<br />

contatti con la sfera cardiale ligure e provenzale.<br />

Gli studi degli ultimi<br />

anni hanno dunque<br />

messo in evidenza come<br />

la cultura di Fiorano abbia<br />

giocato un ruolo di<br />

tramite tra i diversi ambiti<br />

culturali dell’area padano-alpina,probabilmente<br />

legato al traffico di<br />

materie prime come la<br />

selce.<br />

In particolar modo, si è<br />

potuto osservare come<br />

nel primo <strong>Neolitico</strong> la<br />

penisola fosse attraversata<br />

dalla circolazione (reciprocamente<br />

esclusiva)<br />

di due materie prime<br />

particolarmente significative:<br />

l’Italia peninsulare<br />

infatti integrava le risorse<br />

selcifere locali (o<br />

Fonti delle rocce silicee utilizzate nel primo<br />

<strong>Neolitico</strong> dell’Italia settentrionale.<br />

(da Ferrari & Mazzieri)<br />

172<br />

comunque più prossime)<br />

attingendo alle fonti di<br />

ossidiana tirreniche,<br />

mentre l’area padana


vedeva la circolazione di selce “alpina” (prelevata nelle formazioni<br />

giurassico-cretaciche dell’area lessinica), che andava a sostituire le<br />

molteplici fonti di approvvigionamento locali sfruttate nel Mesolitico<br />

224 .<br />

Alcuni elementi hanno indotto a pensare che il traffico della selce<br />

dei Lessini fosse gestito dalle comunità della cultura di Fiorano: le<br />

attestazioni di manufatti in selce “alpina” nei diversi contesti culturali<br />

dell’Italia settentrionale sono infatti sempre associate a ceramiche<br />

Fiorano di importazione o di imitazione (per esempio a Sammardenchia,<br />

in Friuli). Una preziosa conferma a questa ipotesi è giunta<br />

negli ultimi anni, grazie alla scoperta del villaggio di Lugo di Grezzana<br />

(VR), in un’area di fondovalle ai piedi dei Lessini. Si tratta di un sito<br />

che ha restituito una cultura materiale perfettamente inquadrabile<br />

nell’ambito di Fiorano e che, per la presenza di un vero e proprio<br />

atelier litico, deve essere interpretato come avamposto legato<br />

allo sfruttamento e allo smistamento della selce 225 .<br />

Le differenze nello sfruttamento delle risorse da parte delle genti<br />

di Fiorano e di quelle della Ceramica Impressa sono probabilmente<br />

legate a una sorta di “impermeabilità” tra queste due culture che<br />

risultano almeno in parte coeve. La recente campagna di analisi<br />

radiometriche promossa da A. Pessina e S. Improta ha infatti messo<br />

in evidenza come alcune datazioni disponibili per la cultura di Fiorano<br />

risultino sovrapporsi o addirittura anticipare quelle della Ceramica<br />

Impressa romagnola e marchigiana: tra le date più alte si<br />

possono citare quelle del pozzetto 2 di Fiorano (5697-5437 a.C. cal.),<br />

quelle di Lugo di Romagna (comprese tra 5594 e 5049 a.C. cal.) e<br />

quelle di Lugo di Grezzana (5520÷5343 a.C. cal.). Per quanto riguarda<br />

la Ceramica Impressa, il sito marchigiano di Maddalena di Muccia<br />

risulta datato tra 5572÷5436 a.C. (cal.), mentre più recenti sono<br />

quello di Ripabianca di Monterado (5272÷4946 a.C. cal.) e di Faenza-fornace<br />

Cappuccini (5289÷5225) 226.<br />

Alla luce di questi dati è dunque possibile comprendere i motivi<br />

della mancata penetrazione in area padana della Ceramica Impressa,<br />

che deve essere stata inibita o ostacolata proprio<br />

dall’affermarsi della cultura di Fiorano.<br />

Quest’ultima dimostra un notevole potenziale di espansione che,<br />

in una fase più avanzata, la porterà a spingersi verso sud (Riolo Terme)<br />

e a superare il crinale appenninico, verso la Toscana settentrionale.<br />

Oltre che in prossimità di valichi (es. a Sasso Marconi, nel<br />

Bolognese), testimonianze di aspetti fioranoidi recenti (abbinati an-<br />

224 Probabilmente questo mutamento negli schemi di approvvigionamento è<br />

legato a una diversa litotecnica: la scheggiatura a pressione, ben documentata<br />

in alcuni siti della cultura di Fiorano (es. Lugo di Grezzana), necessitava infatti di<br />

supporti litici di buona qualità. PESSINA 1998; PESSINA 2000; BARFIELD 2000; FERRARI &<br />

MAZZIERI 1998.<br />

225 PEDROTTI et al. 2000; MOSER 2000.<br />

226 IMPROTA & PESSINA 1998.<br />

173


cora una volta alla circolazione di selce alpina) si sono infatti rinvenuti<br />

nel sito di Casa Querciolaia, nel Livornese 227.<br />

L’espansione di Fiorano, nella sua fase più recente, stabilisce anche<br />

una serie di rapporti con l’area adriatica, evidenti nella circolazione<br />

di ceramiche figuline di importazione o di imitazione (per esempio<br />

al Pescale, nel Modenese, e a Riolo Terme, nel Ravennate).<br />

Alla luce degli studi più recenti appare da scartare l’ipotesi di<br />

una genesi alloctona della cultura di Fiorano, in precedenza postulata<br />

da alcuni Autori (tra cui Radmilli). Essa sembra invece essere un<br />

“prodotto tutto italiano e fortemente originale” 228 la cui genesi resta<br />

peraltro ignota.<br />

Il gruppo del Vhò<br />

La cultura del Vhò (località del comune di Piadena, in provincia<br />

di Cremona) è stata definita durante gli anni Settanta da B. Bagolini<br />

e P. Biagi.<br />

Inizialmente si riteneva che il suo areale di diffusione comprendesse<br />

solo il Basso Cremonese e parte del Mantovano, mentre le<br />

recenti scoperte indicano una estensione maggiore, che comprende<br />

anche il Bresciano, il Pavese e la Val Trebbia (Emilia occidentale).<br />

Sono documentati siti all’aperto<br />

in pianura o nei fondovalle appenninici<br />

e, in generale, si può osservare<br />

una predilezione per le culminazioni<br />

morfologiche in prossimità di<br />

alvei fluviali o di paludi.<br />

Nonostante l’estensione di alcuni<br />

scavi (es. quelli di Vhò-Campo Ceresole)le<br />

strutture d’abitato sono<br />

molto poco conosciute, anche a<br />

causa del precario stato di conservazione,<br />

che preserva soltanto le<br />

parti basali delle strutture “negative”<br />

(cioè sottoescavate): pozzetti e<br />

fosse di varia morfologia e, probabilmente<br />

di diversa funzione. Alcune,<br />

di forma irregolare, potrebbero<br />

Esempio di pozzetto<br />

(da Bagolini & Biagi)<br />

essere state sfruttate per prelevare<br />

e decantare l’argilla (clay pits); altre,<br />

di aspetto stretto e allungato,<br />

sono state confrontate con i cosiddetti tan pits della LBK centroeuropea,<br />

destinati alla lavorazione delle pelli.<br />

227 Sito datato 6040±50 bp. Iacopini & Grifoni Cremonesi 2000.<br />

228 PESSINA 1998.<br />

174


L’economia è di tipo misto: la cerealicoltura e l’allevamento di<br />

bovini, suini e caprovini sono infatti integrati dalla caccia (a cervi,<br />

cinghiali, buoi primigeni, caprioli, castori), dalla raccolta dei molluschi<br />

d’acqua dolce e dalla pesca, cioè da attività di tradizione mesolitica.<br />

A un presunto substrato mesolitico sono riconducibili anche alcuni<br />

aspetti dell’industria litica che, accanto a strumenti simili a quelli<br />

di Fiorano (es. bulini di Ripabianca), presenta elementi come trapezi<br />

a piquant-trièdre di foggia particolarmente arcaica.<br />

Risulta ben documentata anche la pietra levigata e, in particolare,<br />

le pietre verdi sono utilizzate per la produzione di asce e anelloni.<br />

Anche il repertorio ceramico presenta molte affinità con quello<br />

della cultura di Fiorano, sia dal punto di vista tettonico che da quello<br />

decorativo. Tra le fogge più caratteristiche si possono citare i vasi<br />

con fondo a tacco (nn. 19-21) o con peduccio (nn. 24-28), le tazze<br />

carenate con ansa a nastro e bugnette sulla carena (nn. 22, 23), le<br />

scodelle a calotta con anse a nastro (n. 30), i vasi troncoconici<br />

biansati con decorazione a impronte digitali e bugnette, i vasi a fiasco<br />

(n. 31), e i recipienti di impasto grossolano cordonati. Le decorazioni<br />

sono per lo più incise o a solcature, più raramente graffite, e<br />

sono organizzate in sintassi schematiche ottenute mediante linee<br />

appaiate o impressioni “a chicco di grano”.<br />

Ceramiche del gruppo del Vhò<br />

(da Banchieri et al.)<br />

175


La sepoltura di Casalmoro e la statuetta fittile bicefala<br />

di Vhò-Campo Ceresole<br />

(da Bagolini & Pedrotti)<br />

176<br />

Per quanto riguarda<br />

la sfera funeraria<br />

si segnalano i resti di<br />

una sepoltura a inumazione<br />

con corredo<br />

di romboidi litici a<br />

Casalmoro (MN),<br />

mentre l’aspetto rituale<br />

più significativo è<br />

dato dalla diffusione<br />

di figurine fittili muliebri,<br />

talvolta bicefale,<br />

con decorazioni geometriche<br />

incise o<br />

dipinte. Queste sta-<br />

tuette in terracotta mostrano contatti con l’area balcanica, in particolare<br />

con le culture di Starčevo e di Körös e, dal Vhò, raggiungono<br />

anche alcuni siti della cultura di Fiorano e quello piemontese di<br />

Alba (facies omonima). Dal sito di Travo-Casa Gazza<br />

(nell’Appennino piacentino) provengono vasetti a “pipa” che trovano<br />

confronti nella sfera del Cardiale provenzale e in quella dei<br />

primi Vasi a Bocca Quadrata liguri.<br />

Contatti con<br />

l’area occidentale<br />

sono del resto<br />

indiziati anche<br />

dalla diffusione<br />

di manufatti<br />

in pietra<br />

verde: le metaofioliti<br />

HP (cioè<br />

High Pressure o<br />

ad alta pressio-<br />

Mappa dell’area di provenienza di eclogiti, giade e altre<br />

metamorfici di HP (in verde scuro le masse affioranti)<br />

e localizzazione di alcuni dei siti ove sono stati rinvenuti<br />

manufatti in “pietra verde”.<br />

(da D’Amico)<br />

ne), sotto forma<br />

di giade ed eclogitisolitamente<br />

impiegate per<br />

la confezioni di<br />

strumenti da ta-<br />

glio (asce) e di elementi di adorno (anelloni-bracciali) in virtù della<br />

loro robustezza e del loro carattere estetico, erano recuperate da<br />

fonti delle Alpi occidentali, tra Piemonte e Liguria. Proprio nei siti<br />

piemontesi di Alba e di Brignano Frascata e in quello pavese di Rivanazzano<br />

si sono scoperti ateliers di lavorazione di questi materiali.<br />

Il traffico delle “pietre verdi” (che proseguirà anche successivamente,<br />

nell’età del Bronzo) o, meglio, dei prodotti in pietra verde segui-


va direttrici fluviali e raggiungeva anche aree molto lontane. Non si<br />

può escludere che proprio la cultura del Vhò, per la sua posizione<br />

strategica a cerniera tra l’area occidentale e quella orientale, avesse<br />

un ruolo determinante nel veicolare tali prodotti 229 .<br />

Le datazioni assolute disponibili per vari siti del Vhò sono comprese<br />

tra 5247 e 4460 a. C. (cal.) 230.<br />

Il gruppo dell’Isolino<br />

La scoperta dell'abitato dell'Isolino Virginia, nel Lago di Varese, risale<br />

alle esplorazioni della seconda metà del XIX secolo, che, seguendo<br />

l’eco delle scoperte degli insediamenti palafitticoli dei laghi<br />

svizzeri, andavano alla ricerca di strutture analoghe in quelli del<br />

Nord Italia. Il riconoscimento dell’aspetto peculiare della cultura<br />

materiale dell’Isolino è invece più recente e si deve a B. Bagolini<br />

che lo definì negli anni Ottanta.<br />

Si tratta di un gruppo culturale di durata piuttosto lunga, dislocato<br />

tra le Prealpi varesine e il Canton Ticino, che sembra essere slegato<br />

dalle culture del primo <strong>Neolitico</strong> padano e genericamente affine<br />

al gruppo atesino del Gaban. Questo relativo isolamento fu forse<br />

responsabile anche dell’attardamento di questo aspetto allorché<br />

altre aree dell’Italia settentrionale furono interessate dalla diffusione<br />

della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. Come si vedrà, anche<br />

quest’ultima, dopo essere apparsa tardivamente, manterrà in<br />

quest’area aspetti del tutto peculiari, secondo una tendenza che<br />

perdurerà anche nella successiva cultura della Lagozza.<br />

Le ceramiche dell’Isolino comprendono, oltre alle caratteristiche<br />

coppe svasate su alto piede cavo (definite anche come “vasi a<br />

fruttiera” nn. 7-9), vasi con profilo sinuoso e labbro estroflesso (nn. 1-<br />

4) o a profilo carenato (n. 5), giare con cordoni plastici digitati o<br />

decorati a tacche e fiaschi quadriansati. Le decorazioni sono ottenute<br />

mediante sottili incisioni organizzate secondo sintassi scalariformi,<br />

ad angoli, triangoli, zig-zag, denti di lupo etc. Tra le decorazioni<br />

plastiche si annoverano anche bugne e prese a linguetta e lobi<br />

sopraelevati.<br />

Si tratta, in generale, di elementi che trovano confronto con le<br />

ceramiche del Vhò e con quelle del Gaban, mentre non sembrano<br />

esserci contatti con la sfera di Fiorano.<br />

Anche la litotecnica appare diversa rispetto a quella di altri<br />

gruppi padani e, accanto alla selce, è documentato anche l’uso di<br />

ossidiana e di cristallo di rocca. Quest’ultimo è attestato soprattutto<br />

nel Canton Ticino (es. a Castel Grande), dove gli insediamenti preferivano<br />

le alture, al contrario di quelli varesini che invece erano lacustri<br />

o perilacustri e hanno restituito tavolati e palizzate lignee.<br />

229 PESSINA 2000; D’AMICO 1998; D’AMICO 2000.<br />

230 Solo una data dal pozzetto XVIII del Vhò rientra in una forbice più ampia:<br />

5585÷4602 a.C. cal.<br />

177


Proprio questa scelta insediativa sembra aver favorito il persistere<br />

di un’economia tradizionale, basata prevalentemente sulla caccia,<br />

la pesca e la raccolta di tartarughe, mentre l’allevamento di bovini<br />

e ovicaprini pare aver avuto un minore rilievo.<br />

Fogge ceramiche del gruppo dell’Isolino<br />

(da Banchieri et al.)<br />

Il gruppo del Gaban<br />

Nei primi anni Settanta i ritrovamenti di associazioni litiche costituite<br />

da bulini di Ripabianca e romboidi e quelli di ceramiche con decorazioni<br />

a Notenkopf che si andavano susseguendo in alcuni siti<br />

del Trentino (come quello di Romagnano Loc III), portarono alcuni<br />

Autori (tra cui B. Bagolini, R. Perini e A. Broglio) a postulare l’esistenza<br />

di una facies locale trentina di tipo Fiorano.<br />

Successivamente, verso la fine dello stesso decennio, Bagolini e<br />

Biagi riconobbero che si trattava piuttosto di un diverso gruppo culturale<br />

(con generiche somiglianze rispetto a quello di Fiorano), peculiare<br />

dell’area alpina e collocabile tra la fine del VI millennio e<br />

l’inizio del V.<br />

I siti noti in Trentino sono costituiti da ripari sotto roccia nei fondovalle<br />

e da abitati che sfruttano i conoidi di deiezione, mentre in Alto<br />

Adige sono dislocati su terrazzamenti che si affacciano sulla valle.<br />

Le stratigrafie disponibili (tra cui quella del riparo Gaban, che dà<br />

nome alla cultura) mostrano da un lato un notevole spessore crono-<br />

178


logico, suscettibile di scansioni interne, dall’altro indicano una continuità<br />

rispetto al Mesolitico Castelnoviano231.<br />

Nella fase più antica è presente un’industria litica che, accanto a<br />

bulini di Ripabianca, romboidi, grattatoi, becchi e lame, presenta<br />

elementi di aspetto arcaico (es. microliti trapezoidali con o senza<br />

piquant-trièdre, che si discostano dalla tipologia litica di Fiorano e<br />

che hanno contribuito a espungere i siti trentini da quella sfera culturale);<br />

a questa industria si associano ceramiche decorate a impressioni<br />

(n.25) e recipienti in ceramica fine lucida di colore nero o<br />

camoscio, con decorazioni graffite o incise con motivi a Notenkopf,<br />

a zig-zag etc.<br />

Recipienti ceramici del gruppo del Gaban (da Banchieri et al.)<br />

Tra le fogge più caratteristiche, che presentano affinità con quelle<br />

dei gruppi padani di Fiorano e del Vhò oltre che con quello<br />

dell’Isolino, si segnalano tipi a peduccio con decorazione incisa verticale<br />

(n. 22), forme globose con spalle e ventre decorati a zig-zag<br />

incisi orizzontali (n. 15), tazze troncoconiche con cordoni plastici<br />

decorati a tacche e fondo a tacco (n. 24), boccali carenati a lungo<br />

collo decorato a triangoli riempiti a tratteggio e, talora, doppia<br />

bugna sulla carena. Si hanno poi forme globose monoansate con<br />

collo cilindrico e scodelle troncoconiche a fondo piano, caratterizzate<br />

da una superficie lucida decorata a graffito con motivi “a scaletta”.<br />

231 Questa continuità è documentata solo nei ripari lungo la valle dell’Adige,<br />

mentre in quella dell’Isarco sono attestati siti all’aperto di nuova colonizzazione,<br />

dislocati lungo terrazzi (PEDROTTI 1998).<br />

179


Decorazioni geometriche, zoomorfe e antropomorfe caratterizzano<br />

anche i numerosi “oggetti d’arte” che al Gaban erano ben<br />

diffusi già nel Mesolitico: si tratta di manufatti ricavati da placchette<br />

ossee, denti animali, ciottoli e, in un caso, da un femore umano (interpretato<br />

come strumento musicale).<br />

Continua inoltre l’uso di ornamenti ricavati da conchiglie marine,<br />

vertebre di pesce e canini atrofici di cervo.<br />

Boccale ceramico, rFigura antropomorfa su ciottolo e diafisi di femore umano<br />

con decorazione incisa .<br />

(da Pedrotti)<br />

Alla tradizione mesolitica rimanda anche l’economia, che appare<br />

ancora predominata da attività di tipo predatorio: caccia e raccolta<br />

si orientano verso un ampio spettro di risorse: cervi, daini, caprioli,<br />

cinghiali, stambecchi, camosci ma anche orsi bruni, lupi, buoi<br />

primigeni, lepri, tassi, castori, ghiri, scoiattoli, tartarughe. Sono inoltre<br />

documentate la pesca, la raccolta di molluschi d’acqua dolce e<br />

l’uccellagione. Solo nei livelli più recenti del Riparo Gaban compaiono<br />

resti di animali domestici: caprovini e, forse, bovini.<br />

La presenza di stambecchi tra le faune di alcuni siti (Riparo Gaban<br />

e Mezzocorona Borgonuovo) è considerata un indizio del perdurare<br />

della frequentazione temporanea di aree in quota, finalizzata<br />

appunto alla caccia.<br />

Tracce di economia produttiva sono state riscontrate solo nei siti<br />

all’aperto come Villandro, Aica di Fiè, La Vela. A Isera la torbiera ha<br />

preservato resti di cereali (Hordeum) datati tra 5520 e 5340 a.C.<br />

(cal.) ai quali non sono tuttavia associati resti culturali. Si tratta di un<br />

dato molto importante, che consentirebbe di anticipare alla metà<br />

del VI millennio la comparsa dell’agricoltura in Trentino, che un<br />

tempo si riteneva tardiva.<br />

Secondo A. Pedrotti la neolitizzazione del Trentino sarebbe legata<br />

alla penetrazione di piccole comunità già dotate di<br />

un’economia agropastorale che, in forma molto graduale, indussero<br />

l’acculturazione delle genti locali la cui economia e le cui strate-<br />

180


gie insediative (occupazione dei ripari sottoroccia) erano ancora di<br />

tipo mesolitico 232.<br />

L’avvenuta “conversione” all’agricoltura della<br />

comunità residente al Riparo Gaban sarebbe in<br />

particolar modo indiziata dalla statuetta femminile<br />

ricavata da una placchetta d’osso, i cui genitali<br />

sono sormontati da un motivo fitomorfo:<br />

questa iconografia è stata interpretata da J. Guilaine<br />

come rappresentazione della rinascita e<br />

della crescita del mondo vegetale attraverso la<br />

Terra Madre, personificata nella statuetta il cui<br />

carattere rituale è sottolineato dalla spalmatura<br />

in ocra delle parti inferiori233.<br />

Figurina femminile in osso dal Riparo Gaban<br />

(da Pedrotti)<br />

I “gruppi friulani” e quello dei “vasi a coppa”<br />

La Neolitizzazione del Friuli-Venezia Giulia risulta essere stata piuttosto<br />

precoce e intorno alla metà del VI millennio a.C. (cal.) le comunità<br />

locali avevano già adottato un’economia pienamente<br />

produttiva.<br />

Sotto l’etichetta di “Gruppi Friulani” si riuniscono il “gruppo di Fagnigola”<br />

e la “facies di Sammardenchia”, rispettivamente caratterizzati<br />

in base alla presenza o all’assenza del bulino di Ripabianca.<br />

Questi gruppi si estendono nell’area delle risorgive, nell’alta pianura<br />

e sulle colline moreniche; mentre il gruppo di Fagnigola risulta<br />

localizzabile soprattutto nell’area occidentale, quello di Sammardenchia<br />

ha un’estensione centro-orientale. L’area del Carso Triestino<br />

è invece interessata dalla cultura di Vlaska o dei “Vasi a Coppa”.<br />

Purtroppo i siti all’aperto conservano solo le strutture sottoescavate<br />

(pozzetti, fosse, strutture di combustione) mentre non si hanno<br />

dati riguardo le abitazioni.<br />

La cultura materiale del gruppo di Fagnigola (con datazioni<br />

comprese tra 5565 e 4403 a.C. cal.) presenta varie affinità con la<br />

sfera di Fiorano: sono infatti presenti tazze carenate con decorazioni<br />

incise, anse con tubercolo apicale e ceramiche figuline 234. Anche<br />

l’industria litica mostra lo stesso tipo di influsso, essendo caratterizza-<br />

232 PEDROTTI 1998.<br />

233 GUILAINE 1998.<br />

234 Sono documentati anche recipienti di impasto grossolano, con fondo a<br />

tacco, che mostrano influssi della Ceramica Impressa medio-adriatica e che trovano<br />

confronto in particolare con le ceramiche di Ripabianca di Monterado<br />

(PESSINA et al. 1998).<br />

181


ta, tra l’altro, da bulini di Ripabianca, microbulini, romboidi oltre che<br />

da bracciali-anelloni in pietra levigata.<br />

L’economia si basava su un’agricoltura e un allevamento ben<br />

sviluppati, integrati dalla raccolta di nocciole.<br />

La facies di Sammardenchia (datata intorno a 5570-4461 a.C.<br />

cal.) prende nome dall’omonimo sito, in comune di Pozzuolo del<br />

Friuli, ubicato su una fertile altura di origine tettonica, nell’area centrale<br />

della regione. Gli scavi, tuttora in corso, hanno messo in luce<br />

una superficie dell’estensione di oltre 600 ettari entro la quale sono<br />

state esplorate più di 150 strutture sottoescavate 235: pozzetti cilindrici<br />

del diametro di circa un metro, talora foderati di intonaco (probabilmente<br />

utilizzati come silos e poi reimpiegati come discariche),<br />

fosse dalla forma irregolare, strutture di combustione, buche di palo<br />

etc… Una grande fossa del diametro di 4 m e della profondità di 2<br />

m era stata usata dapprima come cisterna per l’acqua e successivamente<br />

come rifiutaia. Naturalmente la notevole ampiezza<br />

dell’area insediata e il gran numero di strutture “secondarie” inducono<br />

a pensare che esse non siano coeve, ma, piuttosto, che siano<br />

state escavate in momenti successivi. A riprova di questa ipotesi si<br />

possono citare anche la datazioni radiometriche che dimostrano la<br />

lunga durata dell’occupazione nell’area (oltre 800 anni).<br />

Sulla base di questi elementi e dell’analisi della cultura materiale<br />

si sta cercando di definire meglio la cronologia interna del sito e di<br />

verificare la possibilità di enucleare una suddivisione in fasi.<br />

In particolar modo, allo stato attuale delle ricerche sembra possibile<br />

delineare una serie di influssi esterni scaglionati nel tempo:<br />

come si è visto anche per Fagnigola, i manufatti recuperata nelle<br />

strutture più antiche mostrano infatti rapporti con la sfera di Fiorano<br />

e, in generale, con le culture dell’area padana 236 . A poco a poco,<br />

tuttavia, si affiancano influssi orientali, promananti dall’area dalmata<br />

(cultura di Dànilo), che risulteranno predominanti in seguito, allorché<br />

la cultura di Fiorano entrerà in declino, sostituita dai primi aspetti<br />

della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.<br />

Le ceramiche di Sammardenchia comprendono varie fogge vascolari:<br />

tazze e scodelle carenate o sagomate, fiaschetti pluriansati<br />

con collo cilindrico, scodelle con orlo a tesa, scodelloni con ansa<br />

impostata sull’orlo, bicchieri, vasi a fruttiera su piede cavo, grandi<br />

fiaschi a collo troncoconico, recipienti con fondo a tacco, vasi a<br />

pipa, cucchiai, rondelle forate etc. Particolarmente ricco è il repertorio<br />

decorativo: sono documentate sia ceramiche incise (talora<br />

con inserzione di pasta rossa nei solchi) che dipinte (in colore rosso<br />

o bruno) e i motivi sono organizzati in sintassi lineari, angolari, a reti-<br />

235 Sulla base delle ricerche di superficie condotte nell’area pare tuttavia che<br />

vi siano ancora migliaia di pozzetti analoghi da esplorare (PESSINA et al. 1998).<br />

236 Sono infatti presenti recipienti di forma carenata con decorazione a Notenkopf,<br />

fiaschi pluriansati, scodelloni con ansa impostata sull’orlo (PESSINA et al.<br />

1998).<br />

182


colo, a spina di pesce ma anche in motivi “dinamici” come quelli a<br />

C schiacciata e quelli meandro-spiralici che trovano confronto nella<br />

cultura dalmata di Danilo.<br />

Forme ceramiche dei Gruppi Friulani (da Banchieri et al)<br />

L’ industria litica è fortemente laminare e comprende anche microbulini<br />

e romboidi (che perdurano anche nelle fasi più recenti)<br />

mentre risultano assenti i bulini di Ripabianca e i trapezi. Particolarmente<br />

abbondante l’industria in pietra verde levigata (di provenienza<br />

per lo più occidentale), che comprende asce, ascescalpello,<br />

scalpelli, bracciali-anelloni e pendenti. La presenza di una<br />

estesa rete di traffici è documentata anche dalla circolazione di ossidiana<br />

eoliana e carpatica, oltre che di selce alpina.<br />

Anche gli oggetti di culto presentano legami con culture esterne:<br />

in particolare il sito di Sammardenchia ha restituito varie figurine fittili<br />

muliebri, idoletti in terracotta e un particolare tipo di recipiente, indicato<br />

come rhyton o “vaso a quattro gambe”, che alcuni Autori<br />

mettono in relazione con i traffici di sale. Si tratta in generale di elementi<br />

che rimandano all’Adriatico orientale e all’area balcanica<br />

e anche la tipologia delle veneri in terracotta si discosta da quelle<br />

del Vhò e di Fiorano.<br />

183


Nell’area del Carso sono stati segnalati vari frammenti ceramici<br />

con decorazione a impressioni e i recenti scavi alla grotta<br />

dell’Edera 237 hanno messo in evidenza livelli ancora mesolitici (datati<br />

intorno al 5600 a.C. cal.) nei quali compaiono le prime ceramiche.<br />

Non si può escludere che la neolitizzazione di quest’area abbia risentito<br />

degli influssi della Ceramica Impressa dell’Adriatico orientale<br />

ma, in ogni caso, è solo con la facies dei Vasi a Coppa che l’area<br />

può dirsi pienamente neolitizzata. Questa cultura, nota anche con il<br />

nome di gruppo di Vlaska è diffusa nell’area del Carso Triestin ed è<br />

stata definita per la prima volta da L. Barfield all’inizio degli anni Settanta.<br />

Le fogge più caratteristiche sono i recipienti a corpo ovoide su<br />

piede (nn. 16-20) a cui si affiancano recipienti carenati (n. 23) e vasi<br />

a quattro gambe (o rhyta n. 26). La decorazione è spesso organizzata<br />

in motivi angolari penduli impostati sotto l’orlo.<br />

Anche in questo caso è possibile evidenziale legami con la sfera<br />

di Danilo, ma, nonostante la maggiore vicinanza geografica, essi<br />

paiono più deboli e più tardivi (seconda metà del VI millennio a.C.)<br />

rispetto a quelli osservati a Sammardenchia.<br />

Ceramiche del gruppo dei Vasi a Coppa (da Banchieri et al.)<br />

237 BIAGI et al. 1993.<br />

184


5.3.3 Il <strong>Neolitico</strong> Medio e la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata<br />

All’inizio del V millennio il mosaico di culture che aveva caratterizzato<br />

il primo <strong>Neolitico</strong> padano-alpino viene sostituito (quasi ovunque)<br />

da un vaso insieme culturale unitario (diffuso dalla Liguria al<br />

Veneto) durante il quale scompaiono del tutto gli ultimi elementi di<br />

tradizione mesolitica.<br />

Questo gruppo culturale fortemente omogeneo prende nome<br />

dai tipici recipienti a imboccatura quadrata che lo caratterizzano e<br />

la sua posizione cronologica è stata compresa già nel 1946 dal Bernabò<br />

Brea che, scavando alle Arene Candide, osservò come i livelli<br />

del Vaso a Bocca Quadrata fossero interposti tra quelli della Ceramica<br />

Impressa e quelli della cultura della Lagozza (<strong>Neolitico</strong> recente).<br />

Come si è detto, si tratta di una cultura caratterizzata da una forte<br />

omogeneità stilistica ma anche da una estrema versatilità: essa si<br />

afferma in un areale molto vasto (e dunque anche molto variegato<br />

dal punto di vista degli ecosistemi) sviluppando notevoli doti di adattamento<br />

e si protrae per un lungo lasso di tempo, che copre circa<br />

un millennio (dalla fine del VI millennio a.C. alla fine del V).<br />

Nel 1969, basandosi sui suoi scavi a Rivoli Veronese e su un generale<br />

riesame di tutti i dati allora disponibili per l’Italia settentrionale,<br />

Lawrence Barfield ha per la prima volta proposto una scansione interna<br />

in tre fasi, che prendono nome da alcuni siti ben conosciuti<br />

(Finale Ligure, Quinzano, Rivoli e Castelnuovo in Veneto, Chiozza in<br />

Emilia):<br />

• fase arcaica o di Finale-Quinzano<br />

• fase intermedia o di Rivoli-Chiozza<br />

• fase recente o di Rivoli-Castelnuovo<br />

Dieci anni dopo (1979), Bagolini, Barbacovi e Biagi hanno preferito<br />

adottare una differente suddivisione, basata sui caratteri stilistici<br />

delle decorazioni ceramiche:<br />

• stile geometrico-lineare<br />

• stile meandro-spiralico<br />

• stile a incisioni e impressioni<br />

Queste diverse suddivisioni sono in realtà parallele tra loro e in letteratura<br />

spesso convivono o si alternano, a volte semplificate con le<br />

sigle VBQ 1, VBQ 2 e VBQ 3.<br />

Uno dei problemi più dibattuti è quello relativo alle origini di questa<br />

cultura. In virtù dei suoi innegabili contatti con ambiti culturali<br />

europei, la Laviosa Zambotti, di orientamento diffusionista, ipotizzava<br />

una sua derivazione dall’area danubiana della cultura di Tisza.<br />

Nel 1980 B. Bagolini notava come in area padano-alpina non si potesse<br />

osservare un significativo apporto da parte delle precedenti<br />

185


tradizioni culturali del <strong>Neolitico</strong> antico 238. La cultura dei VBQ sembrava<br />

infatti sovrapporsi alle facies precedenti in modo brusco e la<br />

frequente ricorrenza di armi nei corredi funerari lasciava pensare<br />

che la colonizzazione non fosse stata del tutto pacifica.<br />

In anni più recenti lo stesso Autore ha peraltro mostrato di propendere<br />

per un’autoctonia di questa cultura e, basandosi anche<br />

sui nuovi dati dell’Emilia Romagna (Rivaltella 239, Faenza-Fornace<br />

Cappuccini) e del Trentino (Moletta Patone), ha ipotizzato che la<br />

sua formazione sia avvenuta proprio in Italia settentrionale, con diversi<br />

apporti da parte delle tradizioni neolitiche locali 240. Il cambiamento<br />

non sarebbe dunque frutto di invasioni ma, piuttosto, risulterebbe<br />

correlabile anche cronologicamente a una serie di trasformazioni<br />

che si verificano in tutta l’Europa sudorientale.<br />

Gli elementi formativi di questa cultura sono riconoscibili solo in<br />

Liguria, dove i primi Vasi a Bocca Quadrata sono decorati con motivi<br />

graffiti già presenti nelle tarde manifestazioni locali della Ceramica<br />

Impressa. Da quest’area i VBQ si sarebbero poi diffusi a tutta<br />

l’area padano-alpina, sino al Veneto e al Trentino e, in un momento<br />

successivo, alla Romagna e al Friuli. Si può osservare come in queste<br />

regioni i primi aspetti VBQ si vadano a sovrapporre, anche fisicamente,<br />

alle precedenti culture del primo <strong>Neolitico</strong>, riutilizzandone<br />

alcune sedi in prossimità di corsi d’acqua, laghi e paludi.<br />

VBQ 1: stile geometrico-lineare = facies di Finale-Quinzano<br />

Come si è detto, la fase di formazione (riconoscibile solo in Liguria)<br />

è caratterizzata da ceramiche con decorazioni graffite in stile<br />

geometrico-lineare che riprendono motivi già presenti nel primo<br />

<strong>Neolitico</strong> locale. Anche le industrie litiche risultano fortemente conservative<br />

e mantengono le predilezione per il ritocco erto, tipica del<br />

<strong>Neolitico</strong> antico.<br />

Lo stile geometrico-lineare (o facies di Finale-Quinzano) appare<br />

verso la fine del VI millennio e continua sino alla metà del V. Si tratta<br />

di una fase ben documentata nelle grotte liguri ma anche in Piemonte,<br />

Lombardia, Veneto occidentale, Trentino ed Emilia, con una<br />

estrema varietà di soluzioni insediative: dalle occupazioni di grotte e<br />

ripari sottoroccia, a villaggi all’aperto in pianura, su terrazzi di media<br />

altitudine o in zone di bassura prossime a laghi o paludi. Nel sito vicentino<br />

di Fimon-Molino Casarotto il villaggio era costituito da capanne<br />

di forma ovale, impiantate sulla sponda di un piccolo bacino<br />

lacustre oggi prosciugato. L’area era stata preparata con una<br />

bonifica costituita da una serie di pali conficcati nel limo lacustre e<br />

da una pavimentazione ad assito ligneo regolare.<br />

238 BAGOLINI 1980, pp. 125-126.<br />

239 A Rivaltella lo stile geometrico-lineare dei VBQ è documentato in una fase<br />

piuttosto precoce, che si colloca intorno a 5198÷4837 a.C. cal.<br />

240 BAGOLINI 1998, p. 235.<br />

186


Le ceramiche di questo periodo sono prevalentemente decorate<br />

a graffito (ma persistono anche incisioni e impressioni) con motivi<br />

geometrico-lineari organizzati in bande di scalette, reticoli, triangoli,<br />

losanghe etc…<br />

Tra i recipienti di impasto fine si annoverano coppe svasate a<br />

peduccio, vasi a bocca quadrata con lungo collo, scodelle a lobi<br />

sopraelevati, fiaschi biansati; tra quelli grossolani sono documentati<br />

vasi a bocca quadrata situliformi.<br />

Sono presenti anche vari manufatti in terracotta, tra cui “pipette”,<br />

pintaderas e figurine muliebri con testa cilindrica.<br />

Tipologia dei VBQ 1 (da Banchieri et al.)<br />

187


Tipologia dei VBQ 1 (da Banchieri et al.)<br />

L’industria litica sfrutta generalmente la selce alpina (di provenienza<br />

atesina o lessinica) ma sono docuementati, sia pur raramente,<br />

anche il cristallo di rocca e l’ossidiana ed è abbondante anche<br />

lo strumentario in pietra levigata.<br />

Nella fase arcaica sopravvivono elementi litotecnici della tradizione<br />

precedente, come l’uso del ritocco erto e della tecnica del<br />

microbulino, ma si affermano poi caratteri tipici della cultura dei<br />

VBQ come la forte presenza di strumenti fogliacei a ritocco piatto:<br />

punte fogliacee, punte di freccia peduncolate a ritocco invadente,<br />

punte di freccia a base semplice.<br />

188


VBQ 2: stile meandro-spiralico = facies di Rivoli-Chiozza<br />

Verso la metà del V millennio si colloca il periodo di massima fioritura<br />

della cultura dei VBQ, ben documentata in Liguria, nell’Emilia<br />

centrale e in Romagna, nella Lombardia orientale, nel Veronese e<br />

in Trentino.<br />

Areale di diffusione della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. In verde i siti del<br />

VBQ 1 e 2, in rosso quelli del VBQ 3.<br />

(rielaborato da Bagolini & Pedrotti)<br />

Sono ancora attestate le occupazioni in grotta o in ripari rocciosi,<br />

villaggi all’aperto in pianura, su conoidi di deiezione, terrazzi fluviali<br />

o rialzi morfologici in posizione difensiva (es. Rocca di Rivoli, Pescale<br />

etc…).<br />

Lo stile decorativo delle ceramiche è caratterizzato ora da motivi<br />

dinamici, meandro-spiralici, di probabile derivazione orientale, che<br />

si affermano solo più tardi nelle zone più occidentali (per esempio in<br />

Liguria). Tra i motivi più diffusi si possono citare serpentine, meandri,<br />

spirali, festoni etc. inizialmente realizzati con la tecnica del graffito,<br />

che viene però progressivamente sostituita da quella a incisioni ed<br />

excisioni 241 .<br />

I recipienti ceramici comprendono ora anche forme aperte, come<br />

gli scodelloni a bocca quadrata con decorazioni a “filo spinato”.<br />

Sono presenti anche coperchi con motivi triangolari excisi, ollette<br />

con motivi meandriformi risparmiati in barre excise, scodelle emisferiche,<br />

vasi profondi, boccali a profilo ovoide, grandi vasi a profilo<br />

convesso. Le anse sono per lo più del tipo a nastro, talora canaliculate<br />

e sempre impostate sul ventre.<br />

241 La tecnica del graffito sopravvive peraltro in aree periferiche, come quella<br />

del Trentino, dove è ben documentata nel sito de La Vela.<br />

189


Persistono le figure femminili in terracotta con testa cilindrica e<br />

compaiono le pintaderas a rullo.<br />

Tipologia dei VBQ 2 (da Banchieri et al.)<br />

Per quanto riguarda l’industria litica, continuano i tipi che si erano<br />

affermati nella fase precedente ma diminuiscono le punte a base<br />

semplice, a favore di quelle bifacciali amigdalari (talora a base<br />

leggermente concava) e di quelle ogivali fogliacee.<br />

Nell’ambito perialpino si delinea un’area fortemente conservativa,<br />

tra Varese e il Canton Ticino, nella quale la sopravvivenza della<br />

tradizione locale del primo <strong>Neolitico</strong> (gruppo dell’Isolino) aveva inibito<br />

la diffusione dei primi aspetti dei VBQ. Intorno alla metà del V<br />

millennio, tuttavia, si può osservare come su questo persistente substrato<br />

locale si innestino elementi della cultura VBQ (pintaderas,<br />

190


scodelle a bocca quadrata etc.) che danno vita a una facies locale<br />

autonoma, definita da Bagolini “facies VBQ dell’Isolino”. In questo<br />

ambito persistono le decorazioni incise organizzate in motivi tipici<br />

del precedente gruppo dell’Isolino e anche nella litotecnica si<br />

può osservare la predilezione per il ritocco erto e la scarsa diffusione<br />

di quello piatto.<br />

Nell’area prealpina della Lombardia occidentale, dunque,<br />

l’adozione dei Vasi a Bocca Quadrata avviene per lenta acculturazione<br />

dei substrati indigeni dell’Isolino e proprio in quest’area, successivamente,<br />

si affermerà la cultura della Lagozza, la cui diffusione<br />

coinciderà con la rifuzione dell’areale della cultura dei VBQ.<br />

La fase Rivoli-Chiozza vede fiorire numerose connessioni interculturali:<br />

i motivi meandro-spiralici sono infatti correlabili a quelli delle<br />

culture transadriatiche di Danilo e di Hvar e, in generale, si può osservare<br />

una circolazione di beni su lunghe distanze. Nella necropoli<br />

de La Vela di Trento è infatti presente un vasetto della cultura meridionale<br />

di Serra d’Alto 242 e, a loro volta, elementi VBQ sono presenti<br />

in contesti meridionali (per esempio al Castellaro Vecchio di Lipari).<br />

Anche le pintaderas di questo periodo mostrano contatti con la sfera<br />

di Serra d’Alto, oltre che con l’area egeo-anatolica. Dall’area<br />

adriatica e danubiana provengono conchiglie di Spondylus destinate<br />

alla confezione di ornamenti e dall’area transalpina provengono<br />

le asce in pietra levigata tipo Schuhleistenkeil. Elementi meandro-spiralici<br />

sono documentati, oltre che nei Balcani, anche in<br />

Germania meridionale, Svizzera, Austria, Francia, Sardegna, a Lipari<br />

e nella Penisola Iberica.<br />

Come si è già osservato in precedenza, la cultura dei Vasi a Bocca<br />

Quadrata mostra un forte potenziale di espansione (soprattutto<br />

nella fase caratterizzata dallo stile meandro-spiralico) e notevoli<br />

capacità di adattamento a territori diversi, caratterizzati da differenti<br />

ecosistemi. Questo ampio spettro di habitat occupati ha dato<br />

luogo a diverse strategie insediative (occupazioni in grotta, in ripari<br />

rocciosi, all’aperto, in pianura, in sponde periliacustri, su rilievi morfologici<br />

o in aree montane a quote superiori ai 1000 metri) a cui corrispondono<br />

anche differenti strategie economiche.<br />

Nei siti costieri della Liguria, per esempio, prevalgono attività venatorie,<br />

di pesca e di raccolta dei molluschi, nell’alta pianura emiliana<br />

la caccia è ancora praticata intensamente; ancora più arti-<br />

242 La predilezione per oggetti di provenienza “esotica” (che evidentemente<br />

conferiva un “valore aggiunto” ai beni di prestigio indicatori del rango) è ben<br />

documentata soprattutto nei contesti funerari.<br />

191


colate sono le risorse alimentari sfruttate nei siti perilacustri 243, mentre<br />

i villaggi del Trentino mostrano un’economia pienamente produttiva,<br />

basata su agricoltura (cereali e leguminose) e pastorizia 244 .<br />

Si è visto anche come siano documentati traffici a vasto raggio<br />

che coinvolgono, per esempio, ossidiana delle Eolie, sale della costa<br />

dalmata, conchiglie dell’area danubiana e ceramiche<br />

dall’Italia meridionale.<br />

Secondo un’ipotesi formulata da Bagolini già nel 1980, è molto<br />

probabile che nell’ambito della cultura dei VBQ si debba collocare<br />

la formazione di un patrimonio di greggi e armenti: questo avrebbe<br />

da un lato contribuito al successo della cultura, favorendone la<br />

mobilità e la capacità di adattamento, dall’altro ne avrebbe stimolato<br />

la bellicosità e avrebbe indotto l’insorgere di gerarchie tribali di<br />

allevatori/pastori-guerrieri, indiziato anche dai corredi funerari.<br />

Oltre alle tombe delle Arene Candide, i sepolcreti più importanti<br />

di questo periodo sono quelli di Chiozza in Emilia), Quinzano (in Veneto),<br />

La Vela (in Trentino). Il rituale funerario appare omogeneo e<br />

fortemente codificato: viene infatti costantemente praticata la sepoltura<br />

a inumazione, con orientamento NW-SE. Il defunto (a volte<br />

cosparso di ocra) è generalmente deposto in posizione fetale o rattratta,<br />

con cranio rivolto a nord e sguardo indirizzato a est. Nella<br />

necropoli de La Vela si conoscono tre tipologie sepolcrali:<br />

• a fossa semplice<br />

• a fossa delimitata da pietre<br />

• a cista litica interrata, costituita da faldoni di roccia calcarea<br />

locale<br />

In alcuni casi le tombe presentavano dei segnacoli esterni e a<br />

Chiozza si sono riconosciute aree quadrangolari (talora delimitate<br />

da pietre), piene di materiali combusti interpretabili come resti di<br />

banchetti funebri o di offerte sacrificali.<br />

Con la relativa omogeneità del rituale contrasta la grande varietà<br />

dei corredi che sembrano indicare l’esistenza di gerarchie sociali.<br />

Sono presenti parure di vario tipo, con pendenti ed elementi di collana<br />

o braccialetti di varia tipologia e ricavati da materiali diversi:<br />

denti umani, di felini, di volpe, di cane, piccoli cilindretti ossei, metatarsi<br />

di lepre forati alle epifisi, conchiglie di gasteropodi forate (Columbella<br />

e Cerethium), conchiglie tubolari di Dentalium fossile, valve<br />

di lamellibranchi (Cardium) con umbone forato, cilindretti e rondelle<br />

di Spondylus o di steatite. Oltre agli oggetti di ornamento sono<br />

243 La raccolta di frutti spontanei si orienta prevalentemente su nocciole (probabilmente<br />

sfruttate come fonti di grassi vegetali), corniole, viti, castagne<br />

d’acqua etc.<br />

244 Tra le specie domestiche vi è infatti una prevalenza di ovicaprini. Bagolini<br />

ha acutamente osservato come l’accentuazione della componente pastorale<br />

nell’economia dei VBQ3 possa essere letta come risposta alla situazione di generale<br />

instabilità, che avrebbe messo più facilmente a rischio le risorse agricole<br />

(BAGOLINI 1980).<br />

192


presenti strumenti in pietra levigata, osso e selce (soprattutto punte<br />

di freccia), nonché recipienti ceramici (talora miniaturistici o di importazione<br />

e forse specificamente prodotti a scopo funerario).<br />

Alla sfera rituale sono riconducibili anche le numerose pintaderas<br />

e le già citate figurine femminili in terracotta, di tipologia ben codificata:<br />

possono presentare una testa rotonda o cilindrica ed essere<br />

in posizione stante o seduta, con le braccia ripiegate sul petto.<br />

5.3.4 Il <strong>Neolitico</strong> Recente<br />

VBQ 3: stile a incisioni e impressioni = facies di Rivoli-Castelnuovo<br />

Tra la fine del V millennio e l’inizio del IV nell’area occidentale (Liguria,<br />

pianura padana occidentale, Emilia) inizia ad affermarsi il<br />

gruppo Chassey-Lagozza, che, nella sua espansione, sospinge verso<br />

oriente la cultura dei VBQ che entrerà progressivamente in crisi, anche<br />

per la pressione dei gruppi adriatico-peninsulari di Diana e del<br />

tardo Ripoli (che penetreranno nelle regioni costiere orientali) e per<br />

le infiltrazioni capillari di quelli transalpini.<br />

L’ultima fase di questa cultura risulta infatti diffusa solo nella Lombardia<br />

orientale (Cremonese e Mantovano), in Veneto, Trentino e<br />

Friuli e, a riprova della generale instabilità politica, si può osservare<br />

una predilezione per le sedi collinari, più facilmente difendibili. Rispetto<br />

a quello meandro-spiralico, questo aspetto risulta molto più<br />

provinciale, essendosi tra l’altro interrotti i tradizionali rapporti con<br />

l’area adriatica e balcanica. Le ceramiche sono decorate con<br />

motivi geometrico lineari incisi o impressi (raramente excisi o a Furchensctich):<br />

zig-zag, triangoli, punti, impressioni a tacche o a<br />

“chicco di grano”, pastiglie, cordoni impressi.<br />

Tra i recipienti più caratteristici si possono citare i vasi a quattro<br />

beccucci con decorazioni incise a spina di pesce, triangoli contrapposti,<br />

punti impressi sotto l’orlo. Si hanno ollette e fiaschi con<br />

piccole anse sul ventre (a volte subcutanee o a bobina), scodelloni,<br />

vasi a profilo sinuoso o ovoide e grandi recipienti in ceramica grossolana,<br />

decorati da cordoni plastici digitati. Le figurine fittili femminili<br />

hanno ora i capelli sciolti sulle spalle e le braccia raccolte al petto,<br />

e le pintaderas possono essere del tipo a faccia rettangolare o a<br />

rullo. Compaiono ora oggetti legati alla tessitura come fusaiole piatte<br />

e pesi da telaio reniformi, che mostrano contatti con la sfera<br />

Chassey-Lagozza 245.<br />

L’industria litica vede aumentare le punte fogliacee amigdalari,<br />

che talora raggiungono notevoli dimensioni; sono presenti anche<br />

punte allungate, grattatoi a ventaglio. Compaiono strumenti a ritocco<br />

sommario e si assiste a una ripresa del ritocco erto, caratteri-<br />

245 I contatti con la sfera culturale di Chassey-Lagozza, sottoforma di manufatti<br />

di importazione o di imitazione, costituiscono uno dei motivi conduttori della fase<br />

tarda dei VBQ e indicano la rapida espansione di questa cultura, a spese di quella<br />

dei Vasi a Bocca Quadrata.<br />

193


stico, per esempio, delle cuspidi a tranciante trasversale (che, insieme<br />

alle punte fogliacee bifacciali a losanga, sono probabilmente<br />

frutto di rapporti con la cultura di Chassey-Lagozza). Compaiono<br />

ora anche i primi elementi in rame (per es. a Rivoli, Bocca Lorenza,<br />

Palù di Livenza).<br />

Tipologia dei VBQ 3 (da Banchieri et al.)<br />

In un momento probabilmente iniziale di questa fase nell’area<br />

berico-euganea (e, in particolare, nelle zone umide del Vicentino)<br />

si delinea una facies autonoma, nota solo per recuperi di superficie<br />

194


e già riconosciuta nel 1979 da Bagolini, Barbacovi e Biagi come<br />

“facies de Le Basse di Valcalaona” (ora indicata generalmente<br />

come “facies berico-euganea”).<br />

Si tratta di un aspetto locale che, accanto allo stile a incisioni e<br />

impressioni, vede affacciarsi motivi decorativi a incisioni fini che riprendono<br />

forme e sintassi decorative della ceramica dipinta tipo<br />

Ripoli (per esempio, rettangoli campiti a tratteggi obliqui e delimitati<br />

da punti impressi). Tra le fogge più significative (a volte realizzate<br />

con impasti pseudo-figulini e sulle quali compaiono tracce di colore<br />

rosso) si possono citare i fiaschi globosi a collo cilindrico con anse<br />

subcutanee, vasi a bocca quadrata con becucci prominenti, varie<br />

forme globose e coperchi con ingubbiatura color camoscio.<br />

La cultura di Chassey-Lagozza<br />

Come si è visto, dopo l’acme raggiunto con la diffusione dello stile<br />

meandro-spiralico, la compagine unitaria della cultura dei VBQ si<br />

sfalda in seguito a una serie di pressioni concomitanti, tra cui predominano<br />

sicuramente quelle di matrice occidentale, legate alla<br />

diffusione della cultura francese di Chassey. Questi influssi, dopo<br />

aver attraversato le Alpi e la Liguria, si estenderanno sempre più a<br />

oriente, incalzando gli ultimi portatori dei VBQ e dando origine a<br />

una serie di aspetti “misti”. Come si è visto, solo in poche regioni sopravvive<br />

il VBQ3, che si arricchisce di elementi derivanti dal <strong>Neolitico</strong><br />

recente transalpino.<br />

Quella di Chassey è una cultura sviluppatasi nel Midi francese nei<br />

primi secoli del V millennio a.C. (cal.) che, verso la metà del millennio,<br />

avanza rapidamente verso est soppiantando i VBQ liguri; di qui<br />

si estende progressivamente all’area padana occidentale (dove<br />

entra in contatto con la cultura della Lagozza) e, quindi, penetra in<br />

Emilia e Veneto emanando i suoi influssi anche nella penisola.<br />

Le ceramiche chasseane presentano un impasto fine e superfici<br />

lucidate: sono documentate forme globose a imboccatura ristretta<br />

o a collo, anse tubolari con perforazione verticale, spesso multiple<br />

(e denominate in questo caso “a cartucciera” o “a flauto di Pan”),<br />

scodelle a calotta con prese a bugnetta e perforazione orizzontale,<br />

tazze a parete distinta o carenate. Le decorazioni sono graffite e si<br />

dispongono in sintassi geometriche simili a quelle comparse nelle<br />

grotte liguri tra la Ceramica Impressa e i VBQ.<br />

Le industrie litiche sono caratterizzate dalla prevalenza del ritocco<br />

erto e da strumenti specifici come i trancianti trasversali e le punte<br />

di freccia a losanga con ritocco piatto coprente.<br />

Si è soliti distinguere due fasi: nella prima prevalgono gli elementi<br />

dello Chassey francese mentre la seconda vede affermarsi i tratti<br />

padani della Lagozza (tranne che in Liguria, che resta caratterizzata<br />

in senso Chasseano e in Emilia, dove le due facies coesistono).<br />

Il concetto di “cultura della Lagozza” (che prende nome<br />

dall’omonima località nel comune di Besnate, presso Varese, dove<br />

195


è stato portato alla luce un insediamento palafitticolo) è stato introdotto<br />

per la prima volta nella letteratura archeologica da P. Laviosa<br />

Zambotti nel 1939. Nei suoi scavi alle Arene Candide (condotti<br />

nel decennio compreso tra il 1946 e il 1956) L. Bernabò Brea individuò<br />

un orizzonte stilistico che definì “Chassey-Lagozza” che si sovrapponeva<br />

ai livelli caratterizzati da VBQ con decorazioni meandro-spiraliche.<br />

Anche le ceramiche lagozziane (per lo più inornate) sono caratterizzate<br />

da impasto fine e superfici lucide, di colore bruno o nerastro.<br />

Le forme vascolari hanno per lo più un fondo piano-convesso o<br />

ombelicato e si annoverano vasi globosi con prese a linguetta e<br />

perforazione verticale, scodelle a calotta o carenate, recipienti in<br />

ceramica grossolana di forma troncoconica con elementi plastici.<br />

Anche in questo caso sono presenti vari tipi di prese e bugnette,<br />

con perforazioni orizzontali o verticali, talora sottocutanee, e anse<br />

tubolari a perforazione verticale singole, appaiate o in serie (“a<br />

flauto di Pan”). Tra i manufatti in terracotta si diffondono i pesi da<br />

telaio reniformi e le fusaiole piatte che documentano la pratica della<br />

tessitura. Le rare decorazioni compaiono solo su piatti, coperchi e<br />

fusaiole e si dispongono radialmente (talora a ventaglio) in sintassi<br />

geometrico-lineari (bande riempite di punti, reticolati, linee spezzate,<br />

impressioni a “chicco di grano” o a cannuccia, zig zag etc.)<br />

L’industria litica è ricavata da selce prealpina e, più raramente,<br />

da ossidiana 246: dominano manufatti a ritocco erto e si segnalano<br />

trancianti trasversali, triangoli e trapezi foliati, punte bifacciali a losanga,<br />

elementi di falcetto a ritocco piatto.<br />

Gli abitati prediligono ora le aree umide, lacustri o perilacustri ,<br />

che comportano l’apprestamento di opere di bonifica (tavolati lignei,<br />

acciottolati, fosse di drenaggio etc.). Sono documentati anche<br />

villaggi perifluviali (Spilamberto), così come occupazioni di<br />

colline, alture o versanti 247 . L’economia ha un carattere misto e<br />

comprende la raccolta di prodotti spontanei (mele, pere, nocciole,<br />

corniole), la caccia, l’allevamento (bovini, suini, capre) e la coltivazione<br />

di cereali (Triticum dicoccum, Triticum monococcum, orzo) e<br />

di lenticchie oltre a quella del lino, finalizzata a ricavare fibre tessili<br />

248.<br />

246 Al Monte Covolo (BS) è presente ossidiana del Monte Arci.<br />

247 Solo in Liguria prosegue l’occupazione di ripari e di grotte costiere.<br />

248 In alcuni siti (es. Lagozza, Palù di Livenza) insieme al lino è coltivato anche il<br />

papavero da oppio (Papaver somnifer). Si tratta di specie documentate generalmente<br />

solo nei siti più tardi con l’eccezione del papavero del villaggio de La<br />

Marmotta, che risale al <strong>Neolitico</strong> Antico. Non è un caso che le attestazioni siano<br />

tutte in area umida: i semi di lino e papavero sono infatti delicati e di dimensioni<br />

molto ridotte e risultano meglio preservati in ambienti umidi (ROTTOLI 2000).<br />

196


Tipologia delle ceramiche Chassey-Lagozza<br />

(da Banchieri et al.)<br />

197


La progressiva avanzata verso oriente (che si colloca nella prima<br />

metà del IV millennio) trova riscontro anche nei dati stratigrafici disponibili:<br />

mentre in Liguria la cultura di Chassey-Lagozza si afferma<br />

precocemente, subito dopo la diffusione dei VBQ meandro-spiralici,<br />

nella Lombardia occidentale essa si sovrappone alla facies Protolagozza<br />

249. Avanzando verso oriente si osservano delle facies “miste”:<br />

a Monte Covolo (BS) e a Gazzo Veronese in contesti Chassey-<br />

Lagozza persistono elementi VBQ, mentre a Rivoli, Castelnuovo di<br />

Teolo e Cornuda le proporzioni si invertono e vedono una dominanza<br />

di tratti VBQ con sporadici elementi Chassey-Lagozza.<br />

L’Italia settentrionale nel <strong>Neolitico</strong> Recente (da Bagolini e Pedrotti)<br />

Sulle ragioni di tale avanzata e del successo di questa cultura rispetto<br />

a quella in declino dei VBQ sono ancora aperti molti interrogativi.<br />

La spinta al movimento etnico da occidente verso oriente<br />

potrebbe essere stata di natura economica, legata alla volontà di<br />

affermare un controllo sui traffici di pietra verde delle Alpi occidentali<br />

(e, probabilmente, anche su quello dell’ossidiana tirrenica) oltre<br />

che sulle vie fluviali dell’area padana.<br />

249 Questa facies è stata definita da P. Guerreschi a metà degli anni Settanta<br />

in base alla stratigrafia verticale dell’Isolino di Varese nella quale ha identificato<br />

tre facies locali: la prima, denominata appunto “Protolagozza” mostra<br />

un’associazione di elementi della facies dei VBQ dell’Isolino con elementi chasseani<br />

(vasi globosi, tazze e scodelle carenate, scodelloni, piatti con orlo a tesa e<br />

coperchi decorati, vasi troncoconici, anse “a flauto di Pan”); segue poi una fase<br />

denominata “Lagozza classica”, in cui scompaiono gli elementi del VBQ e si rarefanno<br />

anche alcuni di quelli chasseani (per esempio le forme decorate, i piatti a<br />

tesa, i coperchi e le anse “a flauto di Pan”) e, in chiusura, si ha una facies “Sublagozza”,<br />

ancora poco conosciuta.<br />

198


In effetti, dopo l’affermazione dello chasseano, l’area emiliana<br />

appare tagliata fuori dalla circolazione di selce prealpina, sulla<br />

quale poteva contare già nel <strong>Neolitico</strong> antico. Naturalmente non si<br />

può escludere che il controllo delle fonti di approvvigionamento sia<br />

stata una conseguenza piuttosto che uno dei motivi che condussero<br />

la cultura di Chassey-Lagozza al successo.<br />

Il potenziale di espansione di questa cultura si spinge sino alla<br />

Romagna, dove essa entra in contatto con facies Diana e tardo Ripoli.<br />

Anche in area tirrenica si creano delle facies miste (come quella<br />

di San Rossore, presso Pisa), con elementi Lagozza e Diana associati.<br />

In generale con la diffusione della cultura di Chassey-Lagozza si<br />

interrompe l’afflusso di novità da oriente e, in particolare, si estinguono<br />

i contatti con l’area balcanica, già entrata nell’età del Rame,<br />

fenomeno questo che contribuisce al ritardo con cui questa<br />

nuova tecnologia e il nuovo sistema economico a essa correlato si<br />

affermeranno nella penisola italiana.<br />

199

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