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02.02.2013 Views

84 I l c i n e m a i t a l i a n o e l ’ e m i g r a z i o n e Renato Venturelli italiana comincia a liberalizzarsi, si lascia alle spalle il periodo della guerra fredda, entra nella fase del boom economico e della politica di centrosinistra. Un secondo motivo, a mio parere, è molto più banalmente interno al cinema: il sistema produttivo che fino agli anni Cinquanta ruotava prevalentemente attorno alle riprese in studio, inizia in modo sempre più massiccio a rivolgersi all’esterno, andando a cercare anche all'estero set capaci di attrarre l’attenzione del pubblico in chiave spettacolare. In questo modo, le produzioni cominciano a recarsi sempre più spesso in paesi stranieri e a incontrare quindi facilmente anche testimonianze della presenza italiana all'estero o ad usare comunque tale presenza come spunto narrativo. Un terzo motivo può essere dovuto al fatto che la crescita economica, sociale e politica dell'Italia permetteva di affrontare l’argomento con un nuovo spirito e una nuova ottica: e questo, secondo me, ha delle conseguenze interessanti anche sul piano drammaturgico, perché innesca una serie di situazioni molto più articolate. In questo periodo, tra l’altro, viene affrontato in modo più diretto ed esplicito anche il tema dell'emigrazione interna: ad esempio, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti è del 1960, mentre Mafioso di Alberto Lattuada è uno dei primi film che nel '62 ci parla già di ritorni, in quanto riguarda un siciliano emigrato a Milano che torna in Sicilia e si sente in buona parte ormai estraneo a quelle che sono le sue radici. Per quanto riguarda il nostro discorso, però, è proprio a partire dal 1959 che comincia ad uscire una serie di film importanti, pronti tra l’altro a cogliere tempestivamente i più recenti flussi migratori. Si parte così con I magliari (1959) che testimonia l'emigrazione in Germania, iniziata come fenomeno di massa proprio attorno alla metà degli anni Cinquanta. Subito dopo abbiamo un film molto bello come La ragazza in vetrina di Luciano Emmer che ebbe a sua volta parecchi guai con la censura. Ricorderete che l'emigrazione in Belgio era stata oggetto di forti tensioni politiche fin dagli accordi governativi del periodo immediatamente post-bellico, e che poi, dopo la tragedia Marcinelle, il problema delle condizioni di vita e di lavoro dei minatori italiani in Belgio era esploso con particolare violenza. Il film, a dire il vero, si occupa in modo più particolare della vita dei lavoratori italiani in Olanda, anche perché in questo modo può portare alla massima tensione due problemi contemporanei dell’emigrazione nel Nord Europa: quello delle condizioni discriminate di vita e di lavoro; e quello dell’improvviso contatto con società più libere ed evolute sul piano del costume (lo snodo narrativo della vicenda riguarda appunto il rapporto con una delle "ragazze in vetrina" di Amsterdam). Gli ostacoli incontrati furono però tali che Emmer abbandonò da quel momento il cinema per oltre trent’anni: e non tutti i problemi con la censura erano dovuti alla scabrosità del rapporto con la prostituta (in realtà trattato con delicatezza), ma riguardavano lo stesso tema dell’emigrazione. Basti pensare che, in quello stesso periodo, un

46 47 46 47 Coloni italiani in Sudamerica [Archivio CISEI, Genova] Buenos Aires, Argentina, mensa per emigranti [Archivio Centro Studi Emigrazione, Roma] Emigrazione come Immagine I l c i n e m a i t a l i a n o e l ’ e m i g r a z i o n e Renato Venturelli regista belga, Paul Meyer, realizzò su incarico governativo un film sugli italiani in Belgio (Già vola il fiore magro, 1960) che venne rifiutato dalla committenza per il modo critico e poco rassicurante in cui affrontava l’argomento: il regista fu tra l’altro condannato a rimborsare di tasca propria le spese di produzione e ha poi impiegato decenni per poter “riscattare” il film. Un esempio lampante di come il tema dell’emigrazione fosse all’epoca particolarmente rischioso non solo per l’Italia, ma anche per i paesi che si trovavano ad ospitare gli italiani. E’ proprio a questo punto, però, che inizia la stagione più ricca di film dal nostro punto di vista: una stagione che arriva fino alla metà degli anni Settanta e si nutre in molti casi degli umori della commedia all’italiana, giunta proprio in quel periodo al suo momento di massimo fulgore. In questo periodo, Alberto Sordi diventa un vero e proprio simbolo di un’italianità che si espande all’estero, certamente con alterne fortune, ma anche secondo un’ottica ormai nuova, dove convivono senso di inferiorità e di superiorità tipiche del genere. Ecco così Sordi recarsi in Svezia (Il diavolo, 1962, diretto da quel Gian Luigi Polidoro che nel 1961 aveva già realizzato Le svedesi: Rodolfo Sonego sostiene che improvvisò il copione recandosi direttamente sul posto con la troupe), in Inghilterra (Fumo di Londra, 1966), negli Stati Uniti (Un italiano in America, 1967; Anastasia mio fratello, 1973), in Africa (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, 85

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italiana comincia a liberalizzarsi, si lascia alle<br />

spalle il periodo della guerra fredda, entra nella<br />

fase del boom economico e della politica <strong>di</strong><br />

centrosinistra. Un secondo motivo, a mio<br />

parere, è molto più banalmente interno al<br />

cinema: il sistema produttivo che fino agli anni<br />

Cinquanta ruotava prevalentemente attorno<br />

alle riprese in stu<strong>di</strong>o, inizia in modo sempre più<br />

massiccio a rivolgersi all’esterno, andando a<br />

cercare anche all'estero set capaci <strong>di</strong> attrarre<br />

l’attenzione del pubblico in chiave spettacolare.<br />

In questo modo, le produzioni cominciano a<br />

recarsi sempre più spesso in paesi stranieri e a<br />

incontrare quin<strong>di</strong> facilmente anche<br />

testimonianze della presenza italiana all'estero o<br />

ad usare com<strong>un</strong>que tale presenza come sp<strong>un</strong>to<br />

narrativo. Un terzo motivo può essere dovuto<br />

al fatto che la crescita economica, sociale e<br />

politica dell'Italia permetteva <strong>di</strong> affrontare<br />

l’argomento con <strong>un</strong> nuovo spirito e <strong>un</strong>a nuova<br />

ottica: e questo, secondo me, ha delle<br />

conseguenze interessanti anche sul piano<br />

drammaturgico, perché innesca <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong><br />

situazioni molto più articolate.<br />

In questo periodo, tra l’altro, viene affrontato<br />

in modo più <strong>di</strong>retto ed esplicito anche il tema<br />

dell'emigrazione interna: ad esempio, Rocco e i<br />

suoi fratelli <strong>di</strong> Luchino Visconti è del 1960,<br />

mentre Mafioso <strong>di</strong> Alberto Lattuada è <strong>un</strong>o dei<br />

primi film che nel '62 ci parla già <strong>di</strong> ritorni, in<br />

quanto riguarda <strong>un</strong> siciliano emigrato a Milano<br />

che torna in Sicilia e si sente in buona parte<br />

ormai estraneo a quelle che sono le sue ra<strong>di</strong>ci.<br />

Per quanto riguarda il nostro <strong>di</strong>scorso, però, è<br />

proprio a partire dal 1959 che comincia ad<br />

uscire <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong> film importanti, pronti tra<br />

l’altro a cogliere tempestivamente i più recenti<br />

flussi migratori. Si parte così con I magliari<br />

(1959) che testimonia l'emigrazione in<br />

Germania, iniziata come fenomeno <strong>di</strong> massa<br />

proprio attorno alla metà degli anni<br />

Cinquanta. Subito dopo abbiamo <strong>un</strong> film<br />

molto bello come La ragazza in vetrina <strong>di</strong><br />

Luciano Emmer che ebbe a sua volta parecchi<br />

guai con la censura. Ricorderete che<br />

l'emigrazione in Belgio era stata oggetto <strong>di</strong> forti<br />

tensioni politiche fin dagli accor<strong>di</strong> governativi<br />

del periodo imme<strong>di</strong>atamente post-bellico, e<br />

che poi, dopo la trage<strong>di</strong>a Marcinelle, il<br />

problema delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> lavoro dei<br />

minatori italiani in Belgio era esploso con<br />

particolare violenza. Il film, a <strong>di</strong>re il vero, si<br />

occupa in modo più particolare della vita dei<br />

lavoratori italiani in Olanda, anche perché in<br />

questo modo può portare alla massima<br />

tensione due problemi contemporanei<br />

dell’emigrazione nel Nord Europa: quello delle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>scriminate <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> lavoro; e<br />

quello dell’improvviso contatto con società più<br />

libere ed evolute sul piano del costume (lo<br />

snodo narrativo della vicenda riguarda app<strong>un</strong>to<br />

il rapporto con <strong>un</strong>a delle "ragazze in vetrina" <strong>di</strong><br />

Amsterdam). Gli ostacoli incontrati furono<br />

però tali che Emmer abbandonò da quel<br />

momento il cinema per oltre trent’anni: e non<br />

tutti i problemi con la censura erano dovuti alla<br />

scabrosità del rapporto con la prostituta (in<br />

realtà trattato con delicatezza), ma<br />

riguardavano lo stesso tema dell’emigrazione.<br />

Basti pensare che, in quello stesso periodo, <strong>un</strong>

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