un anno di eventi - Porto di Genova
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L a m i g r a z i o n e g r a f i c a Fabrizio Cecchet<br />
style nelle electric macaroni factories agli inizi<br />
‘900 non h<strong>anno</strong> mai conosciuto il sole del<br />
Me<strong>di</strong>terraneo, l’o<strong>di</strong>erno Salame <strong>di</strong> <strong>Genova</strong><br />
che occhieggia dalle vetrine newyorkesi con<br />
la sua accattivante tinta arancione semaforo,<br />
può ben ignorare l’esistenza del paesino <strong>di</strong><br />
Sant’Olcese; ma l’operazione è a doppio<br />
senso: <strong>un</strong> cammello, <strong>un</strong>a palma e <strong>un</strong>a donna<br />
velata ammiccano felici dalla scatola <strong>di</strong> couscous<br />
dei supermercati a rassicurare il nuovo<br />
immigrato sulla provenienza maghrebina e<br />
non veneta del prodotto.<br />
Andate e ritorni sperati, bisogno <strong>di</strong> certezze<br />
nella lontananza e nella <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> integrazione<br />
in <strong>un</strong> paese straniero; lo s<strong>anno</strong> bene<br />
le insegne in arabo delle macellerie che<br />
garantiscono l’adeguatezza delle carni e i pass<br />
dei rabbini sui prodotti kosher.<br />
La lontananza - almeno nella preoccupazione<br />
del cibo, f<strong>un</strong>zione primaria - non<br />
conosce intifada; il cibo rimane, nelle feste<br />
religiose <strong>di</strong> chi<strong>un</strong>que, in qualsiasi parte del<br />
mondo, elemento clanista, passaporto<br />
identitario-culturale per eccellenza, arbre<br />
magique all’odore <strong>di</strong> pecorino da portare sul<br />
treno per il Belgio, più della musica, più<br />
della lingua madre confinata spesso dopo <strong>un</strong><br />
paio <strong>di</strong> generazioni ai soli vocaboli che ne<br />
designer<strong>anno</strong> tipologia e cottura; la tra<strong>di</strong>zione<br />
orale tralascia il mito per il soffritto<br />
della nonna, l’Eneide <strong>di</strong>venta ricettario; ma<br />
non è forse per il cibo che in cinque milioni<br />
emigrarono verso gli Stati Uniti ?<br />
Solo la celebrazione della morte - altra, fina-<br />
le, f<strong>un</strong>zione primaria - può rappresentare <strong>un</strong><br />
confronto attraverso l’esportazione delle<br />
tipologie dei monumenti f<strong>un</strong>erari, almeno<br />
fino a quando i camposanti h<strong>anno</strong> avuto<br />
spazio a sufficienza.<br />
Al contrario dell’abbigliamento, il cibo vuole<br />
mantenere almeno per il suo lato più esteriore,<br />
il packaging app<strong>un</strong>to, quella identità<br />
culturale che si sta assottigliando ogni giorno<br />
<strong>di</strong> più: non sono ammesse contaminazioni<br />
(grafiche) per le confezioni <strong>di</strong> prodotti tipici<br />
(non per provenienza, ma nel nostro<br />
immaginario) che devono rispettare le ferree<br />
regole artistiche del supposto paese d’origine:<br />
militar-gotico per le birre, ideogrammi cinesi<br />
alfabetizzati per i rotoli primavera rumeni,<br />
rassicuranti corsivi materni nel me<strong>di</strong>terraneo,<br />
tecnologici helvetica per le aringhe<br />
marinate; e del resto chi andrebbe a mangiare<br />
in <strong>un</strong> ristorante cinese arredato all’Ikea<br />
e gestito da <strong>un</strong> romagnolo ?<br />
Grafica e com<strong>un</strong>icazione alimentare come<br />
vettori <strong>di</strong> viaggio/emigrazione immaginaria<br />
per portare sulla nostra tavola i sapori del<br />
mondo quin<strong>di</strong>, ma solo quelli, senza la<br />
scomo<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> accettarne appieno le culture e,<br />
tanto meno, gli abitanti.