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02.02.2013 Views

106 F u m e t t o : l i n g u a g g i o m i g r a n t e Ferruccio Giromini rendere sempre più accattivante il loro prodotto, specialmente nei confronti delle ondate successive di immigrati semianalfabeti. E’ così che Pulitzer, proprietario del “New York World”, ha l’intuizione di allegare al numero festivo del giornale un supplemento illustrato, contenente anche tavole umoristiche che vengono definite Sunday Funnies: piccoli divertimenti domenicali. E subito anche Hearst lo segue agguerrito sullo stesso terreno. Nel 1895 Richard Felton Outcault inizia a pubblicare sul “New York World” At the Circus in Hogan’s Alley, una serie di tavole umoristiche ambientata in un vicolo sporco ed affollato della città dei poveri. (Attenzione alla toponomastica: il “vicolo di Hogan” è chiaramente locato nella zona irlandese del grande agglomerato urbano). Ben presto tra i molteplici personaggi della serie s’impone uno strambo ragazzino: brutto, calvo, scalzo, con le orecchie a sventola, vestito solo di un’informe camicia da notte. Proprio su quel camicione (dal 1896 sgargiantemente giallo, in seguito ad un esperimento di stampa su una pionieristica rotativa a colori) appaiono scritti i saporosi commenti e messaggi che il monello, presumibilmente sordomuto, lancia ai suoi lettori. Più tardi, grazie all’inventiva del suo autore, arriveranno la suddivisione della tavola in più vignette e pure i testi racchiusi nei cosiddetti speech balloons, gonfi di fiato proprio come “palloncini”. E Yellow Kid, “il ragazzino giallo”, entra nella storia come capostipite ufficiale del fumetto nell’epoca della diffusione di massa. Alla fine del 1897, sul supplemento illustrato del “New York American Journal”, che il suo editore Hearst definisce senza modestia "uno splendore multicolore in confronto al quale l’arcobaleno sembra un tubo di piombo", appare The Katzenjammer Kids. L’oriundo tedesco Rudolph Dirks, ispiratosi ai bambini terribili Max und Moritz di Busch, vi racconta i feroci scherzi dei fratelli Hans e Fritz ai danni dei tronfi adulti che abitano con loro un’esotica isoletta. Lo spasso nasce dallo schema del tutto ripetitivo delle storielle (tiro birbone-danno-punizione finale) e più che mai dai dialoghi scritti in un inglese pesantemente storpiato alla germanica. La stessa denominazione Katzenjammer, letteralmente “lamento del gatto”, allude a un modo gergale di definire gli immigrati di fresca data in America, che durante la traversata dell’Atlantico avevano vomitato emettendo appunto suoni simili a gemiti felini. La storia dei pionieristici Katzenjammer Kids, prima serie a fumetti a riscuotere un successo di pubblico assolutamente strepitoso, fa scuola anche dal punto di vista legale, in un campo così vergine che le sue regole sono ancora tutte da inventare. Quando infatti nel 1913 il loro autore Rudolph Dirks, allettato da un ingaggio migliore, si trasferisce armi e bagagli al “World” di Pulitzer, il suo primo editore Hearst gli intenta subito causa; e a questo punto, con una sentenza salomonica che rimarrà esemplare, il titolo della serie Katzenjammer Kids rimane al primo editore, che la fa disegnare da un nuovo autore, Harold

56 Immagine tratta da “One Way”, cit. Knerr, anch’egli di fresca provenienza dalla Germania, mentre Dirks può portarsi dietro i suoi personaggi cambiandone però la denominazione in The Captain and the Kids. Le due serie proseguono parallelamente per decine di anni, ognuna col suo titolo ma con i medesimi simpatici interpreti di carta. La versione di Knerr si distingue per un disegno in genere più accurato, mentre quella di Dirks ha dalla sua una maggiore inventiva. Ma in entrambi i casi il capitano, i ragazzi, il professore, la grassa matrona, personaggi straordinariamente ricchi di possibilità comiche e perciò longevi, nelle loro (piccole) trasformazioni hanno saputo incarnare con enorme popolarità il prototipo del fumetto per famiglie. Tradotti in Italia, sul “Corriere dei Piccoli” vengono felicemente ribattezzati Bibì, Bibò e il Capitan Cocoricò (e la cicciona sempre col mattarello in mano è la mitica Tordella), ma nella traduzione in versetti ottonari perdono la gustosa caratterizzazione di immigrati mal parlanti la lingua della loro nuova “terra promessa”. In America, comunque, la concorrenza tra gli editori dei quotidiani fa bene al fumetto, rendendo i primi eroi di carta ricercati oggetti di controversie. In una situazione di liberismo sfrenato anche l’autore di Yellow Kid, il richiestissimo Outcault, cedendo ogni volta al miglior offerente passa da Pulitzer a Hearst, poi torna in casa Pulitzer e infine emigra sul “New York Herald” di James Gordon Bennett. Tante disavventure legali dimostrano in modo lampante almeno una cosa: in pochi anni, Emigrazione come Immagine ancora ai suoi primi passi, la paginona di giornale riempita di disegni buffi è già diventata un investimento particolarmente redditizio. In realtà i sempre più popolari fumetti, che piano piano slittano il nome da funnies a comics, si stanno rivelando un affare economico, perché rappresentano uno spettacolo a tutti gli effetti. I paginoni colorati dei supplementi domenicali, cinquant’anni abbondanti prima dell’avvento della televisione, e ad un prezzo più accessibile di quello del cinematografo, costituiscono uno splendido passatempo specialmente per i bambini, come appare logico. Ma non soltanto per loro. In pressoché 56 F u m e t t o : l i n g u a g g i o m i g r a n t e Ferruccio Giromini 107

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Immagine tratta da “One Way”, cit.<br />

Knerr, anch’egli <strong>di</strong> fresca provenienza dalla<br />

Germania, mentre Dirks può portarsi <strong>di</strong>etro i<br />

suoi personaggi cambiandone però la<br />

denominazione in The Captain and the Kids.<br />

Le due serie proseguono parallelamente per<br />

decine <strong>di</strong> anni, ogn<strong>un</strong>a col suo titolo ma con i<br />

medesimi simpatici interpreti <strong>di</strong> carta. La<br />

versione <strong>di</strong> Knerr si <strong>di</strong>stingue per <strong>un</strong> <strong>di</strong>segno<br />

in genere più accurato, mentre quella <strong>di</strong> Dirks<br />

ha dalla sua <strong>un</strong>a maggiore inventiva. Ma in<br />

entrambi i casi il capitano, i ragazzi, il<br />

professore, la grassa matrona, personaggi<br />

straor<strong>di</strong>nariamente ricchi <strong>di</strong> possibilità<br />

comiche e perciò longevi, nelle loro (piccole)<br />

trasformazioni h<strong>anno</strong> saputo incarnare con<br />

enorme popolarità il prototipo del fumetto per<br />

famiglie. Tradotti in Italia, sul “Corriere dei<br />

Piccoli” vengono felicemente ribattezzati Bibì,<br />

Bibò e il Capitan Cocoricò (e la cicciona sempre<br />

col mattarello in mano è la mitica Tordella),<br />

ma nella traduzione in versetti ottonari<br />

perdono la gustosa caratterizzazione <strong>di</strong><br />

immigrati mal parlanti la lingua della loro<br />

nuova “terra promessa”.<br />

In America, com<strong>un</strong>que, la concorrenza tra gli<br />

e<strong>di</strong>tori dei quoti<strong>di</strong>ani fa bene al fumetto,<br />

rendendo i primi eroi <strong>di</strong> carta ricercati oggetti<br />

<strong>di</strong> controversie. In <strong>un</strong>a situazione <strong>di</strong> liberismo<br />

sfrenato anche l’autore <strong>di</strong> Yellow Kid, il<br />

richiestissimo Outcault, cedendo ogni volta al<br />

miglior offerente passa da Pulitzer a Hearst,<br />

poi torna in casa Pulitzer e infine emigra sul<br />

“New York Herald” <strong>di</strong> James Gordon Bennett.<br />

Tante <strong>di</strong>savventure legali <strong>di</strong>mostrano in modo<br />

lampante almeno <strong>un</strong>a cosa: in pochi anni,<br />

Emigrazione come Immagine<br />

ancora ai suoi primi passi, la paginona <strong>di</strong><br />

giornale riempita <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni buffi è già<br />

<strong>di</strong>ventata <strong>un</strong> investimento particolarmente<br />

red<strong>di</strong>tizio. In realtà i sempre più popolari<br />

fumetti, che piano piano slittano il nome da<br />

f<strong>un</strong>nies a comics, si st<strong>anno</strong> rivelando <strong>un</strong> affare<br />

economico, perché rappresentano <strong>un</strong>o<br />

spettacolo a tutti gli effetti.<br />

I paginoni colorati dei supplementi<br />

domenicali, cinquant’anni abbondanti prima<br />

dell’avvento della televisione, e ad <strong>un</strong> prezzo<br />

più accessibile <strong>di</strong> quello del cinematografo,<br />

costituiscono <strong>un</strong>o splen<strong>di</strong>do passatempo<br />

specialmente per i bambini, come appare<br />

logico. Ma non soltanto per loro. In pressoché<br />

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