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mava, a imitarlo in tutto. Il fatto che Mary gli fosse stata tolta all'ultimo minuto era così doloroso che lo stordiva. Le ansie, i timori degli ultimi giorni gli avevano fatto capire che Mary era tutto per lui, che nessuna donna avrebbe potuto sostituirla nel suo cuore, ma si era quasi rassegnato all'idea di perderla, convinto che il Grande Ariete non l'avrebbe risparmiata dopo l'offesa ricevuta. E invece l'aveva risparmiata, e lui l'aveva vista ancora viva, illesa soltanto pochi minuti prima. Ed ora era morta, un povero corpo dilaniato, contorto, grottesco, rimbalzato di roccia in roccia, oppure sepolto nella neve. Il sergente che guidava la cordata aggirò uno sperone roccioso e giunse su un breve spiazzo dal quale si scorgeva la teleferica. Fermatosi di botto, urlò: «Eccola là! Dio sia benedetto! È un miracolo». Gli altri s'affrettarono a seguirlo e gli si fermarono accanto. Davanti a loro, a pochi passi soltanto, il triplice cavo della teleferica formava la catenaria fra due piloni. Quello più in basso, un robusto pilone a forma di T, distava appena sei, sette metri dal punto in cui si erano fermati. Alla sua base, dove la neve refolata dal vento era più alta, c'era Mary distesa bocconi, che con una mano si reggeva al pilone. Più che lanciarsi, Mary si era lasciata cadere, ruotando su un fianco mentre precipitava. Dapprima aveva urtato il cavo, che ne aveva rallentato la caduta, poi era finita sulla neve ed era rotolata, rimbalzando, rotolando ancora, finché era andata a fermarsi contro il cumulo di neve formatosi attorno al pilone circa venticinque metri più in basso della grotta. «Mary! Mary!» urlò Barney, con quanto fiato aveva. «Reggiti forte! Ce la fai? Stai bene?» Mary si volse un poco e gli rispose debolmente: «Ho un braccio rotto, e forse anche qualche costola. Ma continuate, salite. È per mezzogiorno! Mezzogiorno!». Barney non dovette guardare l'orologio. Così a un dipresso, a mezzogiorno dovevano mancare pochi minuti appena: un tempo troppo breve per pensare di poter raggiungere la grotta. E nessuno degli altri plotoni era in una posizione migliore. Il Grande Ariete aveva vinto. Avrebbe potuto lanciare il suo maledettissimo razzo e con quello avrebbe causato morte e distruzioni infinite, avrebbe piombato il mondo nella disperazione e nel dolore, ma per un certo tempo almeno la regione montuosa della Svizzera sarebbe rimasta incontaminata. E Mary giaceva là, a un passo dal precipizio che poteva ghermirla ancora. Bisognava salvarla a tutti i costi, e Barney si rivolse al ser-
gente: «Come possiamo fare per andare a prenderla? C'è qualche mezzo per tirarla su?». Il sergente scosse la testa. «Da qui non possiamo far nulla per lei. Prima dobbiamo raggiungere la grotta e da lassù faremo scendere uno dei nostri che dovrà legarla in modo che noi possiamo recuperarla.» «Ma ci vorrà un'altra mezz'ora, forse anche di più!» gridò Barney. «Il cumulo di neve sul quale si è fermata potrebbe sfaldarsi da un momento all'altro. E anche se non si sfaldasse, correrebbe il rischio di morire assiderata, e per giunta ha un braccio rotto. Non ce la farà a resistere a lungo reggendosi a quel pilone.» «Non c'è altra possibilità» rispose il sergente. «Guardi anche lei e s'accorgerà che possiamo raggiungerla soltanto da lassù. Anche se le gettassimo una corda e lei fosse in grado di legarsela alla vita, di reggersi, non ci sarebbe di nessun aiuto. Se il manto di neve cedesse, o se lei lasciasse la presa, scivolerebbe nel baratro e non avrebbe più scampo.» «C'è un mezzo» replicò Barney. «Presto, datemi una corda e legatela a quella che ho già. Salterò sul cavo e scivolerò sino al pilone, poi la raggiungerò.» Un coro di proteste si levò dai cinque militari, che lo presero per matto. Dissero che la distanza era troppa, che quello era un suicidio e che non sarebbe riuscito ad afferrarsi al cavo. E se avesse sbagliato la presa, la corda non sarebbe bastata per salvarlo, ma si sarebbe sfracellato contro la roccia dello strapiombo sottostante. Fremente di collera, da quell'irlandese che era, Barney riuscì a zittirli e li indusse a fare come voleva. Legatolo finalmente, gli svizzeri si fecero da parte il più possibile per offrirgli tutta la rincorsa che consentiva lo spiazzo ristretto. In quell'istante s'udì uno sparo, uno solo, isolato, ma nessuno ci fece caso: tutti gli occhi erano fissi su Barney che, dopo un respiro profondo, presa la rincorsa si lanciò nel baratro. Urtò il cavo più vicino con il corpo, con le mani aperte proiettate in avanti. Il cavo, dapprima flesso sotto il peso improvviso, tornò a tendersi come la corda d'un arco. Barney si rannicchiò per non lasciare la presa, ma si capovolse e per un pelo non precipitò. Finalmente riuscì ad afferrarsi con le mani protette dai guanti e strinse la presa. Dal sergente e dai suoi uomini proruppe spontaneo un evviva, poi rimasero a guardarlo con il fiato sospeso mentre, una bracciata dopo l'altra, s'avvicinava al pilone. Barney avanzava, ma doveva stringere i denti per non mollare la presa
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mava, a imitarlo in tutto.<br />
Il fatto che Mary gli fosse stata tolta all'ultimo minuto era così doloroso<br />
che lo stordiva. Le ansie, i timori degli ultimi giorni gli avevano fatto capire<br />
che Mary era tutto per lui, che nessuna donna avrebbe potuto sostituirla<br />
nel suo cuore, ma si era quasi rassegnato all'idea di perderla, convinto che<br />
il Grande Ariete non l'avrebbe risparmiata dopo l'offesa ricevuta. E invece<br />
l'aveva risparmiata, e lui l'aveva vista ancora viva, illesa soltanto pochi<br />
minuti prima. Ed ora era morta, un povero corpo dilaniato, contorto, grottesco,<br />
rimbalzato di roccia in roccia, oppure sepolto nella neve.<br />
Il sergente che guidava la cordata aggirò uno sperone roccioso e giunse<br />
su un breve spiazzo dal quale si scorgeva la teleferica. Fermatosi di botto,<br />
urlò: «Eccola là! Dio sia benedetto! È un miracolo».<br />
Gli altri s'affrettarono a seguirlo e gli si fermarono accanto. Davanti a loro,<br />
a pochi passi soltanto, il triplice cavo della teleferica formava la catenaria<br />
fra due piloni. Quello più in basso, un robusto pilone a forma di T, distava<br />
appena sei, sette metri dal punto in cui si erano fermati. Alla sua base,<br />
dove la neve refolata dal vento era più alta, c'era Mary distesa bocconi,<br />
che con una mano si reggeva al pilone.<br />
Più che lanciarsi, Mary si era lasciata cadere, ruotando su un fianco<br />
mentre precipitava. Dapprima aveva urtato il cavo, che ne aveva rallentato<br />
la caduta, poi era finita sulla neve ed era rotolata, rimbalzando, rotolando<br />
ancora, finché era andata a fermarsi contro il cumulo di neve formatosi attorno<br />
al pilone circa venticinque metri più in basso della grotta.<br />
«Mary! Mary!» urlò Barney, con quanto fiato aveva. «Reggiti forte! Ce<br />
la fai? Stai bene?»<br />
Mary si volse un poco e gli rispose debolmente: «Ho un braccio rotto, e<br />
forse anche qualche costola. Ma continuate, salite. È per mezzogiorno!<br />
Mezzogiorno!».<br />
Barney non dovette guardare l'orologio. Così a un dipresso, a mezzogiorno<br />
dovevano mancare pochi minuti appena: un tempo troppo breve per<br />
pensare di poter raggiungere la grotta. E nessuno degli altri plotoni era in<br />
una posizione migliore.<br />
Il Grande Ariete aveva vinto. Avrebbe potuto lanciare il suo maledettissimo<br />
razzo e con quello avrebbe causato morte e distruzioni infinite, avrebbe<br />
piombato il mondo nella disperazione e nel dolore, ma per un certo<br />
tempo almeno la regione montuosa della Svizzera sarebbe rimasta incontaminata.<br />
E Mary giaceva là, a un passo dal precipizio che poteva ghermirla<br />
ancora. Bisognava salvarla a tutti i costi, e Barney si rivolse al ser-