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allora si rese conto di essere riuscita a fuggire senza che il Grande Ariete la scoprisse. Entrò nella sua baracca tremando da capo a piedi, ma sulla soglia si fermò per guardarsi indietro convinta che il trucco di Wash fosse stato scoperto, che il Grande Ariete lo avesse ucciso, nel qual caso anche la sua sorte sarebbe stata segnata. Mary sapeva che ogni tentativo di difesa sarebbe stato vano in partenza, ma se fosse riuscita a coglierlo di sorpresa forse sarebbe stata capace di infliggergli qualche danno prima che il terribile potere distruttivo di cui disponeva incominciasse a fare effetto su di lei. Per riuscire nell'intento di lottare sino alle estreme conseguenze, avrebbe dovuto disporre di un'arma, ma dove, come poteva procurarsene una? La cucina!... Pur spaventata da morire, Mary ragionava in fretta. La cucina era a una trentina di passi soltanto dalla sua baracca, e lì, forse, avrebbe trovato qualcosa di utile. Mary s'avviò in punta di piedi e sbirciò dentro, prima d'entrare. La cucina era deserta e soltanto le fioche lampade azzurre gettavano un lieve bagliore all'interno. Dalla baracca accanto giungeva il russare del cuoco cinese. Mentre frugava frenetica, lo sguardo cadde sulla lama a sega d'un coltello per il pane lasciato sulla tavola. Mary avrebbe preferito una lama più solida, ma avrebbe dovuto frugare nei cassetti e non s'azzardava, non aveva tempo da perdere. Afferrato il coltello, tornò nella sua baracca e, col fiato in gola, richiuse la porta. Tremando ancora, si tolse le scarpe, si spogliò e, buttatasi sulla branda, si coprì sino al mento con le coperte. Per diversi minuti rimase lì, immobile, tendendo l'orecchio e con la mente che turbinava in preda alla disperazione, alla paura, avvilita dalla certezza che il tentativo di sabotare il razzo era fallito, convinta che con i suoi poteri arcani il Grande Ariete avesse già scoperto le vere intenzioni di Wash. Poi udì un rumore soffocato di passi e di voci nella caverna, ma non riuscì a carpire le parole; comprese soltanto che Wash e il Grande Ariete parlavano fra loro e non pareva che nessuno dei due fosse in collera. Mary provò un sollievo indicibile al pensiero che il trucco fosse riuscito, che Wash fosse ancora vivo. Gioia al pensiero di non essere rimasta sola ad affrontare il Grande Ariete, speranza rinata di poterla scampare ancora una volta, di non essere ancora la vittima predestinata. Wash entrò nella baracca accanto alla sua e richiuse l'uscio con un tonfo. Lo sentì aggirarsi oltre il tramezzo per un poco, poi tutto tacque. Mary sentiva il bisogno urgente di parlargli, di chiedere com'era andata fra lui e il
Grande Ariete; doveva fare tutto il possibile per convincerlo ad un altro tentativo per sabotare il razzo prima di giorno, ma capiva anche di dover frenare la propria impazienza, di non dover uscire dalla sua baracca finché il Grande Ariete era ancora in giro. E fu un bene. Mary giaceva supina, nel buio, con gli occhi chiusi, quando udì un lievissimo rumore e comprese che qualcuno aveva socchiuso la porta. Una specie di sesto senso le disse che si trattava del Grande Ariete e l'avvertì di restare perfettamente immobile, di non guardare, la convinse che era venuto a spiare per accertarsi se fosse nella sua baracca oppure no, se dormiva o se era desta. Mary ringraziava il Cielo per aver obbedito a Wash che le aveva detto di tornare invece di restarsene nascosta all'ingresso della grotta. Se il Grande Ariete non l'avesse trovata nella sua baracca, l'avrebbe cercata, e Mary era sicura che non sarebbe riuscita a mentire, a fingere se il Grande Ariete avesse fatto uso dei propri poteri per interrogarla. Il Grande Ariete varcò la soglia, fece un passo nella baracca e Mary si sentì il cuore come attanagliato nella stretta della paura. Lei era il membro inutile del gruppo e il Grande Ariete aveva un buon motivo per odiarla. Forse non era venuto soltanto per accertarsi se dormiva... Forse aveva deciso che era venuto il momento di sbarazzarsi di lei. Mary stringeva ancora, sotto le coperte, il coltello che aveva preso in cucina poco prima e la stretta sul manico si fece istintivamente più forte. Se il Grande Ariete l'avesse soltanto sfiorata, avrebbe scostato di colpo le coperte e gli si sarebbe buttata addosso alla cieca... Dopo un'esitazione di pochi attimi, il Grande Ariete indietreggiò brontolando sottovoce alcune frasi incomprensibili, poi richiuse la porta. Madida di sudore, Mary rimase immobile, incapace di credere che se ne fosse andato davvero. Le parve che fosse trascorsa una vita prima che potesse raccogliere il coraggio per girare la testa quel tanto che bastava per gettare un'occhiata furtiva da sotto le ciglia abbassate, e allora soltanto poté tirare un profondo sospiro di sollievo vedendo, alla fioca luce delle lampade azzurre, che nella baracca non c'era nessuno. Ancora una volta Mary s'impose d'attendere con pazienza sino a quando le fosse sembrato ragionevole, ma nervosa com'era, ogni pochi minuti guardava l'orologio le cui lancette si muovevano con lentezza esasperante. Un minuto dopo l'altro trascorse un'ora buona in quell'attesa. Convintasi finalmente che la strada doveva essere libera, Mary scese dalla branda e si vestì alla meglio, poi andò ad aprire cautamente l'uscio. Nella grotta non
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Grande Ariete; doveva fare tutto il possibile per convincerlo ad un altro<br />
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il Grande Ariete era ancora in giro.<br />
E fu un bene.<br />
Mary giaceva supina, nel buio, con gli occhi chiusi, quando udì un lievissimo<br />
rumore e comprese che qualcuno aveva socchiuso la porta. Una<br />
specie di sesto senso le disse che si trattava del Grande Ariete e l'avvertì di<br />
restare perfettamente immobile, di non guardare, la convinse che era venuto<br />
a spiare per accertarsi se fosse nella sua baracca oppure no, se dormiva o<br />
se era desta. Mary ringraziava il Cielo per aver obbedito a Wash che le aveva<br />
detto di tornare invece di restarsene nascosta all'ingresso della grotta.<br />
Se il Grande Ariete non l'avesse trovata nella sua baracca, l'avrebbe cercata,<br />
e Mary era sicura che non sarebbe riuscita a mentire, a fingere se il<br />
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inutile del gruppo e il Grande Ariete aveva un buon motivo per odiarla.<br />
Forse non era venuto soltanto per accertarsi se dormiva... Forse aveva deciso<br />
che era venuto il momento di sbarazzarsi di lei. Mary stringeva ancora,<br />
sotto le coperte, il coltello che aveva preso in cucina poco prima e la<br />
stretta sul manico si fece istintivamente più forte. Se il Grande Ariete l'avesse<br />
soltanto sfiorata, avrebbe scostato di colpo le coperte e gli si sarebbe<br />
buttata addosso alla cieca...<br />
Dopo un'esitazione di pochi attimi, il Grande Ariete indietreggiò brontolando<br />
sottovoce alcune frasi incomprensibili, poi richiuse la porta.<br />
Madida di sudore, Mary rimase immobile, incapace di credere che se ne<br />
fosse andato davvero. Le parve che fosse trascorsa una vita prima che potesse<br />
raccogliere il coraggio per girare la testa quel tanto che bastava per<br />
gettare un'occhiata furtiva da sotto le ciglia abbassate, e allora soltanto poté<br />
tirare un profondo sospiro di sollievo vedendo, alla fioca luce delle lampade<br />
azzurre, che nella baracca non c'era nessuno.<br />
Ancora una volta Mary s'impose d'attendere con pazienza sino a quando<br />
le fosse sembrato ragionevole, ma nervosa com'era, ogni pochi minuti<br />
guardava l'orologio le cui lancette si muovevano con lentezza esasperante.<br />
Un minuto dopo l'altro trascorse un'ora buona in quell'attesa. Convintasi<br />
finalmente che la strada doveva essere libera, Mary scese dalla branda e si<br />
vestì alla meglio, poi andò ad aprire cautamente l'uscio. Nella grotta non