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lungando la mano verso il telefono posato sulla scrivania, disse: «Avete ragione. Tutte quelle chiacchiere sui satanisti, sui poteri occulti m'avevano reso scettico. Comunque, capisco che non dobbiamo risparmiare nessuno sforzo per cercar di sventare la catastrofe che temete». Tacque per un istante, e subito dopo incominciò ad impartire istruzioni col solito tono burbero, poi chiamò a rapporto parecchi collaboratori. «Ci vorranno ore per far circolare quello schizzo» disse Verney. «Tanto vale che ci concediamo un po' di riposo. Personalmente preferirei non alloggiare troppo lontano dalla centrale organizzativa. Dove potremmo sistemarci per non perdere tempo se dovessimo tornare qui o partire per qualche località sperduta fra i monti?» «A Interlaken» replico prontamente Fratelli, prima ancora che Tauber potesse rispondere. «Dista cinquanta chilometri appena dal Jungfrau, e quella montagna è al centro della maggior catena alpina. Ci recheremo al Victoria-Jungfrau. Mi scusi...» Preso un telefono e formato il numero, chiamò l'albergo e poco dopo annunziò: «Il proprietario si scusa perché le stanze migliori sono tutte impegnate. Io, comunque, gli ho detto che ogni stanza può andare». Sapendo che le teste dure come Tauber vanno sino in fondo quando si mettono in moto, convinto perché lo vedeva deciso, Verney lo pregò di tenerlo informato al Victoria-Jungfrau, poi seguì Fratelli, che già s'avviava per uscire. Partiti da Berna, puntarono verso sud lungo la strada che, percorrendo una stretta vallata, va sino a Thun, all'estremità settentrionale del lago Thuner, poi piegarono verso levante sino a Interlaken, dove giunsero verso la mezzanotte. Nell'albergo, felicemente ignari che quella poteva essere l'ultima loro notte terrena, molti giovani avevano danzato sino a quell'ora. L'orchestra taceva da poco quando arrivarono, nell'atrio indugiavano ancora parecchie coppie di giovani che conversavano e ridevano consumando le ultime bevande prima di rincasare. Pochi soltanto notarono il gruppetto dei nuovi arrivati che un cameriere accompagnava nel ristorante, a un tavolo apparecchiato in un angolo illuminato. Cenando senza badare troppo a quel che veniva servito, continuarono a conversare a bassa voce di quel che più urgeva, chiedendosi quanto tempo avrebbe impiegato Lothar per adattare la testa atomica al razzo. Tutti si auguravano che il lavoro andasse per le lunghe, ma mettendo assieme un razzo di quella portata su un cocuzzolo di montagna, Lothar aveva dimo-
strato le sue capacità di organizzatore e di scienziato. E siccome era arrivato in Svizzera da quasi quarantott'ore, bisognava pensare che il lavoro fosse quasi completato. Tranne Fratelli, tutti erano stanchi morti. Andarono a dormire e a Barney parve d'aver spento la luce da un minuto soltanto quando Verney, già vestito, andò a scuoterlo forte per svegliarlo. «In piedi, giovanotto» disse il colonnello. «La sua idea di far stampare e far circolare il profilo di quel monte ha funzionato. Il capo della polizia locale ha appena comunicato che parecchi dei suoi ragazzi più svégli dell'alta Valle del Rodano sono pronti a giurare che il picco centrale del profilo tracciato da Otto è il Finsetraarhorn visto da sud-ovest.» Mentre Barney, balzato dal letto, incominciava a vestirsi, Verney continuava. «Un sergente di polizia di un villaggio ha riconosciuto la teleferica. Sembra che si tratti di un'opera finanziata negli anni trenta da un olandese pazzo, convinto che lassù ci fossero ricchi giacimenti minerari, e ha fatto costruire la teleferica per poterli sfruttare. A quelle quote si possono trovare minerali molto rari, ma quel filone non bastava per ripagare gli investimenti e la società fondata dall'olandese ha rimesso tutto ed è fallita, la teleferica è rimasta inattiva sino a qualche mese fa, sino a quando un avvocato di Zurigo, che agiva in nome di un ungherése, l'ha acquistata per pochi spiccioli col pretesto di voler costruire lassù un piccolo ristorante che doveva essere una specie d'attrazione per i turisti.» Dopo una toeletta sommaria con quel che aveva potuto fornire l'albergo a quell'ora, si ritrovarono tutti e cinque nell'atrio poco dopo le sei del mattino. Il capo della polizia di Interlaken, un tipo slanciato e tutto nervi, abbronzato, sulla quarantina, aveva già ordinato caffè e brödchen per tutti. Consumata in fretta la colazione, si alzarono e lo seguirono fuori. Due auto con poliziotti al volante erano pronte e in attesa ce n'erano altre quattro cariche di agenti. Seguivano Jodelweiss, il capo della polizia locale, che puntava deciso verso la prima auto e intanto spiegava senza fermarsi. «Disgraziatamente, il posto è all'estremo di quella che noi chiamiamo la Grande Barriera. Lo si raggiunge valicando il Grimsel Pass, che normalmente è chiuso per tre settimane ancora. Quest'anno la primavera è stata assai precoce, e io spero che si riesca a valicarlo, altrimenti saremo costretti a fare una lunga deviazione verso nord attraverso i passi alpini di Susten e di Oberalt, e non è detto che anche quelli siano aperti. Se fossero chiusi, non resterebbe che tentare da sud, attraversando Saanen, Aigle, Martigny-Ville, Sion e Brig, il che comporterebbe un viaggio di duecento-
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sforzo per cercar di sventare la catastrofe che temete».<br />
Tacque per un istante, e subito dopo incominciò ad impartire istruzioni<br />
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«Ci vorranno ore per far circolare quello schizzo» disse Verney. «Tanto<br />
vale che ci concediamo un po' di riposo. Personalmente preferirei non alloggiare<br />
troppo lontano dalla centrale organizzativa. Dove potremmo sistemarci<br />
per non perdere tempo se dovessimo tornare qui o partire per<br />
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«A Interlaken» replico prontamente Fratelli, prima ancora che Tauber<br />
potesse rispondere. «Dista cinquanta chilometri appena dal Jungfrau, e<br />
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Victoria-Jungfrau. Mi scusi...»<br />
Preso un telefono e formato il numero, chiamò l'albergo e poco dopo annunziò:<br />
«Il proprietario si scusa perché le stanze migliori sono tutte impegnate.<br />
Io, comunque, gli ho detto che ogni stanza può andare».<br />
Sapendo che le teste dure come Tauber vanno sino in fondo quando si<br />
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informato al Victoria-Jungfrau, poi seguì Fratelli, che già s'avviava<br />
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Partiti da Berna, puntarono verso sud lungo la strada che, percorrendo<br />
una stretta vallata, va sino a Thun, all'estremità settentrionale del lago<br />
Thuner, poi piegarono verso levante sino a Interlaken, dove giunsero verso<br />
la mezzanotte.<br />
Nell'albergo, felicemente ignari che quella poteva essere l'ultima loro<br />
notte terrena, molti giovani avevano danzato sino a quell'ora. L'orchestra<br />
taceva da poco quando arrivarono, nell'atrio indugiavano ancora parecchie<br />
coppie di giovani che conversavano e ridevano consumando le ultime bevande<br />
prima di rincasare. Pochi soltanto notarono il gruppetto dei nuovi arrivati<br />
che un cameriere accompagnava nel ristorante, a un tavolo apparecchiato<br />
in un angolo illuminato.<br />
Cenando senza badare troppo a quel che veniva servito, continuarono a<br />
conversare a bassa voce di quel che più urgeva, chiedendosi quanto tempo<br />
avrebbe impiegato Lothar per adattare la testa atomica al razzo. Tutti si<br />
auguravano che il lavoro andasse per le lunghe, ma mettendo assieme un<br />
razzo di quella portata su un cocuzzolo di montagna, Lothar aveva dimo-