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30.01.2013 Views

nevitabile ritardo. Ecco perché vi consiglierei di raggiungere la capitale. Io devo rimanere qui per coordinare il lavoro dei miei uomini, ma il comandante Fratelli è a vostra disposizione e a Berna vi farà trovare tutte le porte aperte.» Era un buon consiglio, e Verney e gli altri lo accettarono senza protestare. Pochi minuti dopo, risaliti in auto, partivano puntando su Berna. Costeggiarono per un buon tratto il lago Lemano, e nemmeno l'ansia che li tormentava poté impedire che ammirassero le bellezze del panorama: da una parte la distesa tortuosa del lago costellata di castelli e di ville i cui parchi e giardini scendevano sino alla riva; dall'altra il terreno saliva, dolcemente dapprima, poi via via sempre più ripido sino alla catena del Jura, fra pascoli popolati da mandrie di vacche dallo strano mantello brunastro, e fra frutteti, soprattutto di meli, di peri e di albicocchi in gran parte già fioriti. Ogni pochi chilometri attraversavano un villaggio, una cittadina ben ordinati, puliti, con tante aiuole fiorite nella piazza centrale. Quella pace, quella prosperità rendevano ancora più disumana la malvagità di Lothar che si proponeva di distruggere tutto quanto, di ridurre gli eventuali, pochi superstiti a vivere randagi, miserabili fra le macerie di quello che era stato un mondo incantato. A Losanna la strada saliva e raggiungeva una quota notevolmente più elevata. Da lassù, nell'ultima luce del tramonto, si scorgeva ancora la lunga distesa del lago costellato di luci e di ville. Poi la strada proseguiva tagliando una campagna più pianeggiante fra pascoli e frutteti. Raggiunsero Friburgo, l'antica città pittoresca, che era già buio e divorarono gli ultimi trentacinque chilometri a forte andatura; quando Fratelli andò a fermarsi davanti alla sede del Comando di Polizia, erano le ventidue. Martell aveva avvertito del loro arrivo, sicché appena scesero dall'auto furono accompagnati immediatamente non dal Capo della Polizia, che era assente perché infortunato, ma dal suo vice, Tauber, un tipo dall'aspetto solido. Tauber disse che non aveva notizie da comunicare sulle ricerche che stavano effettuando a tappeto. Quel pomeriggio il Ministro degli Interni lo aveva messo al corrente della minaccia alla pace mondiale e la polizìa elvetica stava facendo tutto il possibile per rintracciare le tre persone segnalate. Aggiunse che non era stato informato dell'esistenza o meno di prove in base alle quali si riteneva che un pazzo avesse introdotto una bomba atomica in Svizzera, né come fosse riuscito a contrabbandarla sin lì col pro-

posito di lanciarla da una grotta nascosta in qualche montagna, e quindi era ansioso di ascoltare da loro altri particolari di quella storia. Verney lo soddisfece immediatamente fornendogli un racconto dettagliato. Herr Tauber lo ascoltò senza fiatare, inarcando le folte sopracciglia brizzolate sin quasi a toccare la linea dei capelli ispidi che segnava la fronte bassa. Ma quando Verney tacque, sbottò quasi incollerito: «Ma colonnello, queste non sono prove! Non si possono nemmeno prendere per testimonianze; per un sentito dire tutt'al più. Insomma, tutta questa storia si baserebbe su un qualcosa di paragonabile alla predizione di una cartomante, di una veggente che l'ha vista nella sfera di cristallo!». «Non è la predizione di una gitana che il colonnello Henrik G. Washington ha rubato una bomba atomica» replicò prontamente Richter. «Questo è un fatto.» «Non lo metto in dubbio» brontolò il vicecapo della polizia. «Ma perché avrebbe dovuto portarla proprio in Svizzera? Se l'avesse portata in Russia, lo capirei. E se non ce l'avesse fatta a portarla in Russia, se l'avesse portata magari in Cecoslovacchia, nella Germania Orientale. Ma...» Era evidente che il corpulento, ostinato Herr Tauber non aveva afferrato bene le implicazioni che derivavano da quel che i suoi ospiti gli avevano detto accennando all'intenzione di Lothar, cioè di mettere in pericolo la pace mondiale. Perciò Verney lo interruppe per spiegare come meglio poteva la situazione. Tauber lo lasciò finire, poi, stringendosi nelle spalle, brontolò: «Sì, io credo che ci siano i farabutti, credo che al mondo esistano anche i pazzi. Ma ai maghi, alle fate non ci credo. È assurdo persino insinuare che possano esistere nella nostra epoca così scientifica. Non voglio essere scortese nei confronti del signor Khune, che lei colonnello ha portato qui, ma se vuole il mio parere, il signore è vittima di allucinazioni». «Invece noi siamo convinti che è completamente sano di mente» replicò freddamente Verney. «Di più, pensiamo, e ce lo auguriamo, che sia ancora in grado di localizzare quella grotta nella quale suo fratello si è nascosto, dalla quale si appresta a lanciare quel razzo.» «Se è così, vuol dire che è più bravo di me e di tutta la polizia elvetica. Dopo che il Ministro mi aveva fatto chiamare, questo pomeriggio, abbiamo studiato accuratamente tutte le mappe, tutte le carte geografiche, abbiamo rovistato fra gli elenchi di tutte le teleferiche. Purtroppo, per soddisfare le esigenze del turismo, che si è fortemente incrementato in questi ultimi anni, le teleferiche si sono moltiplicate. Alcune sono in funzione, altre

posito di lanciarla da una grotta nascosta in qualche montagna, e quindi era<br />

ansioso di ascoltare da loro altri particolari di quella storia.<br />

Verney lo soddisfece immediatamente fornendogli un racconto dettagliato.<br />

Herr Tauber lo ascoltò senza fiatare, inarcando le folte sopracciglia<br />

brizzolate sin quasi a toccare la linea dei capelli ispidi che segnava la fronte<br />

bassa. Ma quando Verney tacque, sbottò quasi incollerito: «Ma colonnello,<br />

queste non sono prove! Non si possono nemmeno prendere per testimonianze;<br />

per un sentito dire tutt'al più. Insomma, tutta questa storia si baserebbe<br />

su un qualcosa di paragonabile alla predizione di una cartomante,<br />

di una veggente che l'ha vista nella sfera di cristallo!».<br />

«Non è la predizione di una gitana che il colonnello Henrik G. Washington<br />

ha rubato una bomba atomica» replicò prontamente Richter. «Questo<br />

è un fatto.»<br />

«Non lo metto in dubbio» brontolò il vicecapo della polizia. «Ma perché<br />

avrebbe dovuto portarla proprio in Svizzera? Se l'avesse portata in Russia,<br />

lo capirei. E se non ce l'avesse fatta a portarla in Russia, se l'avesse portata<br />

magari in Cecoslovacchia, nella Germania Orientale. Ma...»<br />

Era evidente che il corpulento, ostinato Herr Tauber non aveva afferrato<br />

bene le implicazioni che derivavano da quel che i suoi ospiti gli avevano<br />

detto accennando all'intenzione di Lothar, cioè di mettere in pericolo la pace<br />

mondiale. Perciò Verney lo interruppe per spiegare come meglio poteva<br />

la situazione.<br />

Tauber lo lasciò finire, poi, stringendosi nelle spalle, brontolò: «Sì, io<br />

credo che ci siano i farabutti, credo che al mondo esistano anche i pazzi.<br />

Ma ai maghi, alle fate non ci credo. È assurdo persino insinuare che possano<br />

esistere nella nostra epoca così scientifica. Non voglio essere scortese<br />

nei confronti del signor Khune, che lei colonnello ha portato qui, ma se<br />

vuole il mio parere, il signore è vittima di allucinazioni».<br />

«Invece noi siamo convinti che è completamente sano di mente» replicò<br />

freddamente Verney. «Di più, pensiamo, e ce lo auguriamo, che sia ancora<br />

in grado di localizzare quella grotta nella quale suo fratello si è nascosto,<br />

dalla quale si appresta a lanciare quel razzo.»<br />

«Se è così, vuol dire che è più bravo di me e di tutta la polizia elvetica.<br />

Dopo che il Ministro mi aveva fatto chiamare, questo pomeriggio, abbiamo<br />

studiato accuratamente tutte le mappe, tutte le carte geografiche, abbiamo<br />

rovistato fra gli elenchi di tutte le teleferiche. Purtroppo, per soddisfare<br />

le esigenze del turismo, che si è fortemente incrementato in questi ultimi<br />

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