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30.01.2013 Views

lato si vedevano diverse costruzioni di legno, basse, allineate contro la parete rocciosa della caverna che curvava, sicché non se ne vedeva la fine. Quando scesero, una folata di vento gelido e di nevischio li investì con tanta forza che Mary stentò a mantenersi in piedi. Presala per un braccio, Wash la fece affrettare e la tirò al riparo dentro la grotta. Addentratisi di pochi passi, sin dove il vento non arrivava, trovarono una temperatura relativamente mite, ma Mary non avrebbe saputo dire se dipendesse da un qualche invisibile sistema di riscaldamento, o se la temperatura fosse resa sopportabile grazie ai poteri satanici del Grande Ariete. Intanto Lothar faceva strada nella galleria ora in discesa. Oltrepassarono una specie di capanna e dall'uscio spalancato scorsero un cinese, un cuoco, che stava lavorando davanti a una grande stufa. La baracca che seguiva la cucina era la mensa, ma era così stretta che la tavola era stata incernierata alla parete e c'era una panca soltanto, sufficiente per sei persone appena; fra la tavola e la porta, a ridosso della parete in fondo, c'era una scansia che conteneva parecchie bottiglie. «Se desiderate qualcosa per scaldarvi...» disse il padrone di casa, indicando la scansia. «Vi porteranno subito da mangiare. Io ho imparato a fare a meno di queste cose per lunghi periodi di tempo. Avrete anche bisogno di riposare, ma non potrete dormire assieme. Fino a quando rimarrete qui, ve lo proibisco perché provocherebbe sul piano animale vibrazioni che disturberebbero il vincolo trascendentale che ho creato.» Lungi dal contrariarla, Mary si sentì sollevata da quella disposizione e Wash se la prese con filosofia, osservando con lei, dopo che Lothar se n'era andato: «Per me, preferisco rimanere un semplice mago. Che gusto c'è a diventare il Potentissimo se ciò significa trascorrere la maggior parte della tua esistenza su un piano astrale talmente elevato che del tuo corpo non sai più cosa fartene? Ma non te la prendere, amore. Non resteremo qui più di trentasei ore. Al massimo non più tardi di martedì sera saremo comodamente installati nella cara, vecchia Mosca e allora vedrai che troverò ben io il modo migliore per soddisfare i nostri appetiti». Presa una bottiglia e due bicchieri bassi e larghi, in uno versò tre dita di bourbon per lei e l'altro, per sé, lo riempì sin quasi a tre quarti; imprecando perché non c'era ghiaccio, li annacquò un poco per rinfrescarli. Mary, che era ancora gelata, bevve un lungo sorso e rabbrividì quando il liquore quasi schietto scese bruciando giù nello stomaco. La reazione improvvisa le diede il coraggio necessario per formulare la domanda che covava dentro sin da quando erano arrivati. «Perché ci siamo

fermati qui?» Wash sorrise. «Hai visto la grossa cassa che c'era nella carlinga dell'aereo, in coda? Ecco, quella è la spiegazione. Si tratta di una testata nucleare.» Comprendendo subito che Wash doveva averla rubata per un qualche progetto criminoso che lei ignorava, Mary lo fissò per qualche istante, costernata, prima di chiedere: «Ma perché? Cosa vuoi fare con quella roba?». Wash trangugiò una buona metà del contenuto del suo bicchiere e, posatolo, spiegò: «Visto che sei una ragazza intelligente, pensavo che avresti capito, specie dopo quello che ti ho spiegato alcuni giorni fa». «Ma tu... Tu non puoi pensare davvero di farla esplodere qui in Svizzera.» «Ma sì, cara! Ma sì! È proprio quello che ci proponiamo di fare. La botta gliela farà fare nei pantaloni a tutti i popoli delle nazioni occidentali, e quei popoli costringeranno i loro governi a scendere a patti con l'Unione Sovietica. Metteranno al bando le armi nucleari e la Russia comunista avrà mano libera nella sua politica di espansione mondiale senza dover temere che lo Zio Sam le metta i bastoni nucleari tra le ruote. Quanto a noi, ci faranno eroi dell'Unione Sovietica.» Mary sapeva che discutere, implorare sarebbe stato inutile. Sapeva che se anche fosse riuscita a persuadere Wash, i suoi sforzi non avrebbero approdato a nulla. Capiva che, rubando la bomba, Wash aveva agito soltanto come longa manu del Grande Ariete, e quest'ultimo non si sarebbe lasciato distogliere dai suoi propositi malvagi. Anzi, avendo ottenuto quello che voleva, poteva anche rimangiarsi la promessa fatta a Wash di attendere ancora prima di maledirla. Parlando sottovoce, ansiosa, Mary rivelò i dubbi che la tormentavano, ma Wash le disse che non doveva preoccuparsi così, perché il Grande Ariete aveva ancora bisogno di lui per raggiungere Mosca. Venne il cuoco cinese, che apparecchiò per tre sulla tavola stretta. Subito dopo venne l'ungherese col quale scambiarono sorrisi e inchini, ma trovandoselo fra i piedi consumarono in silenzio un pranzo semplice, ma buono: pesce di lago ai ferri, carne di vitello al sugo di funghi e formaggio svizzero. Finito di mangiare, Mirkoss si alzò e, fatto cenno che lo seguissero, li condusse in due piccole baracche separate in ognuna delle quali c'era soltanto una branda. I bagagli di Wash erano ammucchiati in quella adiacente la mensa, la valigia di Mary in quella attigua. Sorridendo, ringraziarono

lato si vedevano diverse costruzioni di legno, basse, allineate contro la parete<br />

rocciosa della caverna che curvava, sicché non se ne vedeva la fine.<br />

Quando scesero, una folata di vento gelido e di nevischio li investì con<br />

tanta forza che Mary stentò a mantenersi in piedi. Presala per un braccio,<br />

Wash la fece affrettare e la tirò al riparo dentro la grotta. Addentratisi di<br />

pochi passi, sin dove il vento non arrivava, trovarono una temperatura relativamente<br />

mite, ma Mary non avrebbe saputo dire se dipendesse da un<br />

qualche invisibile sistema di riscaldamento, o se la temperatura fosse resa<br />

sopportabile grazie ai poteri satanici del Grande Ariete.<br />

Intanto Lothar faceva strada nella galleria ora in discesa. Oltrepassarono<br />

una specie di capanna e dall'uscio spalancato scorsero un cinese, un cuoco,<br />

che stava lavorando davanti a una grande stufa. La baracca che seguiva la<br />

cucina era la mensa, ma era così stretta che la tavola era stata incernierata<br />

alla parete e c'era una panca soltanto, sufficiente per sei persone appena;<br />

fra la tavola e la porta, a ridosso della parete in fondo, c'era una scansia<br />

che conteneva parecchie bottiglie.<br />

«Se desiderate qualcosa per scaldarvi...» disse il padrone di casa, indicando<br />

la scansia. «Vi porteranno subito da mangiare. Io ho imparato a fare<br />

a meno di queste cose per lunghi periodi di tempo. Avrete anche bisogno<br />

di riposare, ma non potrete dormire assieme. Fino a quando rimarrete qui,<br />

ve lo proibisco perché provocherebbe sul piano animale vibrazioni che disturberebbero<br />

il vincolo trascendentale che ho creato.»<br />

Lungi dal contrariarla, Mary si sentì sollevata da quella disposizione e<br />

Wash se la prese con filosofia, osservando con lei, dopo che Lothar se n'era<br />

andato: «Per me, preferisco rimanere un semplice mago. Che gusto c'è a<br />

diventare il Potentissimo se ciò significa trascorrere la maggior parte della<br />

tua esistenza su un piano astrale talmente elevato che del tuo corpo non sai<br />

più cosa fartene? Ma non te la prendere, amore. Non resteremo qui più di<br />

trentasei ore. Al massimo non più tardi di martedì sera saremo comodamente<br />

installati nella cara, vecchia Mosca e allora vedrai che troverò ben<br />

io il modo migliore per soddisfare i nostri appetiti».<br />

Presa una bottiglia e due bicchieri bassi e larghi, in uno versò tre dita di<br />

bourbon per lei e l'altro, per sé, lo riempì sin quasi a tre quarti; imprecando<br />

perché non c'era ghiaccio, li annacquò un poco per rinfrescarli.<br />

Mary, che era ancora gelata, bevve un lungo sorso e rabbrividì quando il<br />

liquore quasi schietto scese bruciando giù nello stomaco.<br />

La reazione improvvisa le diede il coraggio necessario per formulare la<br />

domanda che covava dentro sin da quando erano arrivati. «Perché ci siamo

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