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30.01.2013 Views

Era quasi l'una. Chiamato l'albergatore, Verney gli chiese se poteva servirli in una saletta privata per continuare la conversazione senza correre il rischio d'essere uditi. Non era la prima volta che Verney capitava lì per essere lasciato in pace, e il proprietario non ebbe difficoltà ad accontentarlo. Pranzarono bene e continuarono a discutere dei loro problemi, ma non raggiunsero migliori risultati di quelli ottenuti sin lì. Siccome Barney era stanco e lo si vedeva, il suo superiore gli disse di rincasare per prendersi un meritato riposo. Lui, Otto e l'americano promisero di mantenersi costantemente informati nel caso che ci fossero state novità. In ogni caso, si sarebbero ritrovati tutti quanti nell'ufficio di Verney la mattina dopo alle nove. Il lunedì mattina Verney si recò in ufficio prima dell'ora fissata per l'appuntamento, ma trovò Otto che già lo attendeva. Senza perdersi in preamboli, lo scienziato annunziò: «Sono in Svizzera. Ne sono sicuro». Il volto affilato di Verney s'illuminò tutto di nuova speranza. «Immagino che siano scesi al rifugio di Lothar per rifornirsi e che a quest'ora saranno ripartiti per la Russia. Se lei non si è ingannato, forse siamo ancora in tempo per catturarli. Ma cos'è che la rende cosi sicuro che si trovino in Svizzera?» «Non potrei giurarlo, ovviamente. Comunque, ho trascorso numerose vacanze in Svizzera e adesso che ho potuto vedere altri particolari della località, sono convinto che non possono essere altro che lì. Ieri sera ho potuto raggiungere Lothar un'altra volta. Era in compagnia del grosso americano, sulla piattaforma davanti all'ingresso della grotta e guardavano giù nella valle. Il panorama, il paesaggio erano quelli che ho visto un'infinità di volte soltanto in Svizzera.» Preso un righello posato sulla scrivania, Verney andò alla grande carta geografica appesa alla parete dietro la sua poltrona, sulla quale erano appuntate parecchie spille di colore diverso, il cui significato era noto soltanto a lui e al suo aiutante. Usando il righello come unità di misura, si accertò delle distanze e disse: «Potrebbe darsi. Da Cambridge all'estrema punta meridionale della Norvegia o alla Svizzera, la distanza è all'incirca la stessa: circa novecento chilometri. Il loro aereo ha un'autonomia di circa milletrecento chilometri e quindi potevano puntare verso nord-est per centocinquanta, duecento chilometri e poi cambiare rotta e puntare verso sud-sudovest, sorvolare il Belgio e raggiungere la Svizzera senza dover atterrare per rifornirsi. E siccome avevamo messo in allarme i sistemi di avvista-

mento radar che sono disposti lungo la Cortina di ferro, poteva benissimo restare fuori dalla loro portata. Ma ha qualche idea di quel che stanno facendo in quella grotta?». «Ieri sera no, non ne avevo la minima idea, ma adesso ce l'ho» rispose Otto, rattristandosi di colpo. «Mi ero destato verso le sette, e sono riuscito a dare un'altra occhiata attorno alla grotta. Così ho scoperto che si tratta di un lungo tunnel a gomito e che anche l'altro ingresso s'affaccia su una spianata che non si può vedere dalla valle perché nascosta da una sporgenza della montagna. Su questa specie di piattaforma Lothar ha sistemato un razzo. C'è tutta una quantità di macchinari e...» «Cosa? Un razzo!» «Esattamente. Avendo denaro sufficiente, poteva procurarsi facilmente il materiale, ordinare le singole parti con le relative istruzioni, e metterle assieme da solo. Ovviamente, il razzo sarebbe stato inutile se non fosse riuscito a procurarsi il propellente adatto e una testata bellica, e noi sappiamo che se li è procurati. In ogni caso, dall'altra parte della caverna c'è un razzo lungo otto metri e ammucchiati lì accanto ci sono i fusti che contengono il mio carburante. E come piattaforma di lancio non potrebbe trovare base più solida della roccia sottostante.» «Dio benedetto!» esclamò Verney. «Cosa sta dicendo? Forse che Lothar intende lanciare il razzo?» «Non mi sembra che ci siano molti dubbi sui suoi propositi. Verso le sette di stamattina Lothar, il colonnello Washington e un altro, un tipo tarchiato, lavoravano di gran lena per adattare l'involucro protettivo della testata atomica al razzo al quale deve fare da ogiva.» In quell'istante annunziarono il colonnello Richter e Verney lo fece entrare subito. L'americano ascoltò in silenzio il racconto di Verney, e quando questi tacque, rimase in silenzio, riflettendo, limitandosi a biascicare qualcosa ogni tanto, poi disse: «Be', direi che possiamo ringraziare il Signore, visto che né il carburante, né la testata nucleare sono finiti nelle mani dei russi, e incomincio a credere che non ci finiranno mai». «Ma...» protestò Verney. «Lo so, lo so!» lo interruppe l'americano. «Invece di esserci fatti menare per il naso da un agente nemico, ci ritroviamo un pazzo per le mani. Lo so che c'è poco da stare allegri al pensiero di ciò che può combinare con quella roba, ma con un po' di fortuna possiamo sperare di scoprirlo e di fermarlo prima che sia troppo tardi, altrimenti tanto peggio per chissà quanti svizzeri, poveracci.»

Era quasi l'una. Chiamato l'albergatore, Verney gli chiese se poteva servirli<br />

in una saletta privata per continuare la conversazione senza correre il<br />

rischio d'essere uditi. Non era la prima volta che Verney capitava lì per essere<br />

lasciato in pace, e il proprietario non ebbe difficoltà ad accontentarlo.<br />

Pranzarono bene e continuarono a discutere dei loro problemi, ma non<br />

raggiunsero migliori risultati di quelli ottenuti sin lì. Siccome Barney era<br />

stanco e lo si vedeva, il suo superiore gli disse di rincasare per prendersi<br />

un meritato riposo. Lui, Otto e l'americano promisero di mantenersi costantemente<br />

informati nel caso che ci fossero state novità. In ogni caso, si<br />

sarebbero ritrovati tutti quanti nell'ufficio di Verney la mattina dopo alle<br />

nove.<br />

Il lunedì mattina Verney si recò in ufficio prima dell'ora fissata per l'appuntamento,<br />

ma trovò Otto che già lo attendeva. Senza perdersi in preamboli,<br />

lo scienziato annunziò: «Sono in Svizzera. Ne sono sicuro».<br />

Il volto affilato di Verney s'illuminò tutto di nuova speranza. «Immagino<br />

che siano scesi al rifugio di Lothar per rifornirsi e che a quest'ora saranno<br />

ripartiti per la Russia. Se lei non si è ingannato, forse siamo ancora in tempo<br />

per catturarli. Ma cos'è che la rende cosi sicuro che si trovino in Svizzera?»<br />

«Non potrei giurarlo, ovviamente. Comunque, ho trascorso numerose<br />

vacanze in Svizzera e adesso che ho potuto vedere altri particolari della località,<br />

sono convinto che non possono essere altro che lì. Ieri sera ho potuto<br />

raggiungere Lothar un'altra volta. Era in compagnia del grosso americano,<br />

sulla piattaforma davanti all'ingresso della grotta e guardavano giù nella<br />

valle. Il panorama, il paesaggio erano quelli che ho visto un'infinità di<br />

volte soltanto in Svizzera.»<br />

Preso un righello posato sulla scrivania, Verney andò alla grande carta<br />

geografica appesa alla parete dietro la sua poltrona, sulla quale erano appuntate<br />

parecchie spille di colore diverso, il cui significato era noto soltanto<br />

a lui e al suo aiutante. Usando il righello come unità di misura, si accertò<br />

delle distanze e disse: «Potrebbe darsi. Da Cambridge all'estrema punta<br />

meridionale della Norvegia o alla Svizzera, la distanza è all'incirca la stessa:<br />

circa novecento chilometri. Il loro aereo ha un'autonomia di circa milletrecento<br />

chilometri e quindi potevano puntare verso nord-est per centocinquanta,<br />

duecento chilometri e poi cambiare rotta e puntare verso sud-sudovest,<br />

sorvolare il Belgio e raggiungere la Svizzera senza dover atterrare<br />

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