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30.01.2013 Views

credere d'aver a che fare con un pazzo che stesse dando la caccia ai fantasmi. Barney precedeva gli altri per indicare la strada, ma era tormentato dal pensiero angoscioso di trovare Mary uccisa e mutilata. Quando finalmente penetrarono nella chiesa, e i poliziotti accesero le torce, dovette fare uno sforzo per proseguire sino alla cappella. Non trovarono nessun cadavere, ma le sue paure si calmarono un poco soltanto quando ebbe raggiunto l'altare ed ebbe rovistato ben bene senza trovare tracce di sangue versato di recente. Solo allora incominciò a persuadersi che, chissà come, Mary fosse riuscita a sottrarsi alla vendetta del Grande Ariete, se non altro momentaneamente. Tuttavia escluse che potesse essere fuggita dopo aver mandato a monte la cerimonia, dopo quel gesto disperato. Ma il sollievo fu di breve durata, perché subito dopo incominciò a pensare che finché rimaneva nelle mani dei satanisti, Mary era in pericolo di vita. I poliziotti avevano da poco iniziato le ricerche e stavano esaminando incuriositi le grandi candele nere quando Barney convinse l'ispettore a lasciar perdere per tornare alle auto e correre ai Cedri con la speranza di trovarci il colonnello americano. Ci volle un altro quarto d'ora prima che le auto tornassero nel Cambridgeshire; attraversarono a pazza velocità Fulgoham e raggiunsero il luogo dove Barney aveva parcheggiato la sua auto un paio d'ore prima e lì si fermarono. Scesero, e l'ispettore ordinò subito ai suoi uomini di circondare la casa in modo che nessuno di quanti ci si trovavano potesse sfuggire alla cattura. Appena gli agenti raggiunsero i loro posti, assieme a Barney andò a suonare all'uscio della casa immersa nel sonno. Jim venne ad aprire e Barney gli disse: «Ti ricordi di me? Il tuo collega m'ha stordito per sbaglio e il colonnello per scusarsi mi ha invitato a cena. Sono tornato perché ho dimenticato di parlare con lui d'una cosa importante». Jim lo fissò con occhi imbambolati. «Ma il colonnello non c'è, signore. È uscito con lei, ma doveva andare in licenza e non penso che tornerà per almeno una quindicina di giorni. Non gliel'aveva detto?» Barney vedeva svanire ogni speranza residua di mettere le mani sul colonnello e di liberare Mary. «Dov'è andato?» domandò in fretta. «Non lo so, signore» fu la pronta risposta, che aveva tutti i crismi della sincerità. «Il colonnello non dice a noi domestici dove va a trascorrere i suoi periodi di licenza.»

«E sta bene!» sbottò Barney. «Forse riuscirò a scoprirlo perquisendo la casa.» A quel punto l'ispettore lo trasse in disparte e gli sussurrò: «Impossibile. Non abbiamo un mandato di perquisizione». «All'inferno il mandato!» esclamò Barney. «Lei resti fuori, se vuole, ma io entro!» Poi, fissando il negro con occhi che pareva volessero incenerirlo, intimò: «Va' a prendere la mia pistola!... Di corsa! Mi troverai nel salotto». Visto che Barney era accompagnato da un ispettore di polizia e che nel frattempo altri poliziotti si erano avvicinati uscendo dall'ombra degli alberi del giardino, Jim non si fece pregare. Entrato, Barney andò subito al telefono e chiamò il suo ufficio di Londra; all'agente di guardia disse di svegliare immediatamente il suo capo e di informarlo che Sullivan aveva incontrato Lothar Khune in una casa nei pressi di Fulgoham, nel Cambridgeshire, in compagnia di Mary Morden e di un colonnello dell'aviazione americana in Inghilterra. Disse che il colonnello, un certo Henrik George Washington, era il proprietario della casa e che era stato lui a rapire Mary Morden; disse che i due erano fuggiti portandosi via Mary, ma era convinto che in quel momento stessero puntando su Londra. Finito di telefonare, si versò un bicchierino di whisky e suonò il campanello. Jim apparve subito, recando la sua piccola automatica. Presala, Barney se l'infilò in tasca e incominciò a sottoporlo a un fuoco di fila di domande, ma il negro non era in grado di fornire indizi utili per rintracciare il suo padrone. Allora Barney fece chiamare gli altri due domestici, ma il loro interrogatorio si rivelò inutile come l'interrogatorio di Jim. Barney si mise a frugare frettolosamente la casa. La vista di quelle lenzuola di satin nero suscitò in lui un misto di schifo e di repulsione, una furia di gelosia omicida, ma con uno sforzo si contenne e si mise a frugare nei mobili e nei cassetti. Ma né lì, né nelle altre stanze, trovò il minimo indizio capace di collegare il colonnello ai satanisti e alle loro attività. Inoltre, si capiva che i suoi domestici di colore lo consideravano un padrone bizzarro e nervoso, ma anche generoso, allegro e normale. Raggiunto l'ispettore, che per tutto il tempo della perquisizione era rimasto fuori, Barney gli disse di tenere la casa sotto stretta sorveglianza nel caso assai remoto che il colonnello, o forse lo stesso Lothar, tornassero a farsi vivi. Quindi, montato nella sua auto, seguì quelle della polizia che tornavano a Cambridge. Appena in città, l'ispettore lo accompagnò in un albergo e Barney, convinto di non poter fare altro per quella notte, decise

«E sta bene!» sbottò Barney. «Forse riuscirò a scoprirlo perquisendo la<br />

casa.»<br />

A quel punto l'ispettore lo trasse in disparte e gli sussurrò: «Impossibile.<br />

Non abbiamo un mandato di perquisizione».<br />

«All'inferno il mandato!» esclamò Barney. «Lei resti fuori, se vuole, ma<br />

io entro!» Poi, fissando il negro con occhi che pareva volessero incenerirlo,<br />

intimò: «Va' a prendere la mia pistola!... Di corsa! Mi troverai nel salotto».<br />

Visto che Barney era accompagnato da un ispettore di polizia e che nel<br />

frattempo altri poliziotti si erano avvicinati uscendo dall'ombra degli alberi<br />

del giardino, Jim non si fece pregare. Entrato, Barney andò subito al telefono<br />

e chiamò il suo ufficio di Londra; all'agente di guardia disse di svegliare<br />

immediatamente il suo capo e di informarlo che Sullivan aveva incontrato<br />

Lothar Khune in una casa nei pressi di Fulgoham, nel Cambridgeshire,<br />

in compagnia di Mary Morden e di un colonnello dell'aviazione americana<br />

in Inghilterra. Disse che il colonnello, un certo Henrik George<br />

Washington, era il proprietario della casa e che era stato lui a rapire Mary<br />

Morden; disse che i due erano fuggiti portandosi via Mary, ma era convinto<br />

che in quel momento stessero puntando su Londra.<br />

Finito di telefonare, si versò un bicchierino di whisky e suonò il campanello.<br />

Jim apparve subito, recando la sua piccola automatica. Presala, Barney<br />

se l'infilò in tasca e incominciò a sottoporlo a un fuoco di fila di domande,<br />

ma il negro non era in grado di fornire indizi utili per rintracciare il<br />

suo padrone. Allora Barney fece chiamare gli altri due domestici, ma il loro<br />

interrogatorio si rivelò inutile come l'interrogatorio di Jim.<br />

Barney si mise a frugare frettolosamente la casa. La vista di quelle lenzuola<br />

di satin nero suscitò in lui un misto di schifo e di repulsione, una furia<br />

di gelosia omicida, ma con uno sforzo si contenne e si mise a frugare<br />

nei mobili e nei cassetti. Ma né lì, né nelle altre stanze, trovò il minimo indizio<br />

capace di collegare il colonnello ai satanisti e alle loro attività. Inoltre,<br />

si capiva che i suoi domestici di colore lo consideravano un padrone<br />

bizzarro e nervoso, ma anche generoso, allegro e normale.<br />

Raggiunto l'ispettore, che per tutto il tempo della perquisizione era rimasto<br />

fuori, Barney gli disse di tenere la casa sotto stretta sorveglianza nel<br />

caso assai remoto che il colonnello, o forse lo stesso Lothar, tornassero a<br />

farsi vivi. Quindi, montato nella sua auto, seguì quelle della polizia che<br />

tornavano a Cambridge. Appena in città, l'ispettore lo accompagnò in un<br />

albergo e Barney, convinto di non poter fare altro per quella notte, decise

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