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Pazzo di collera, Barney sibilò fra i denti: «E va bene, se vuoi così. Resta pure, se lo preferisci. Resta qui e ingoiati quel grosso porco d'un americano. Chi fa la puttana una volta, resta puttana per sempre. E adesso so perché sei diventata una di quelle». Mary lo fissò con occhi impietriti, a bocca aperta. Con voce atona, confusa, balbettò: «Cosa... cosa vuoi dire?». «Quello che ho detto» sbottò Barney. «Dico che non ti chiami Margot, ma Mary. E io so tutto di te e della vita che facevi prima di sposarti.» Mary comprese di colpo che Barney non bluffava. Se aveva detto «tutto», significava che sapeva tutto di lei. Aveva creduto, sin lì, d'essere lei a conoscere tutto di Barney, si era illusa che ignorasse il suo passato, e adesso scopriva d'essersi ingannata. Ma le carte erano in tavola, ormai, e non era più il caso di nasconderle. Con le mani sui fianchi, con gli occhi azzurri che lampeggiavano per la collera, decise di dargli quello che meritava e sbottò: «E sta bene! Sissignore, ho fatto la puttana, sissignore! Ma chi mi ha messo su quella strada? Chi mi ha messo incinta e mi ha piantata povera e pazza? Chi, dopo avermi presa con le lusinghe, se n'è andato bello e spensierato in America lasciando una ragazzina sola soletta, costretta a farsi prestare il denaro necessario per abortire illegalmente? Quel denaro che ho dovuto restituire prostituendomi per mesi e mesi dopo l'intervento! Chi ha sverginato la piccola Mary McCreedy e l'ha lasciata alle sei del mattino con la bella promessa: "Amore, ci si rivede presto" e invece senza un pensiero al mondo, senza chiedersi se l'avesse messa o no nei pasticci, senza un saluto, senza una parola se n'è andato negli Stati Uniti? Chi se non il gran gentiluomo irlandese Barney Sullivan? Chi se non il grande, schifoso mascalzone che adesso, per adescare più facilmente le povere ingenue, si vanta di possedere chissà quali beni nel Kenia e mentendo a muso duro si fa passare per un lord?». Barney la fissava ad occhi sgranati, come l'aveva fissato lei prima di quella sfuriata. Sin da quando l'aveva incontrata la prima volta in casa della Wardeel, aveva avuto la vaga sensazione d'averla vista in precedenza, ma non avrebbe saputo dire quando né dove. In quei cinque anni Mary era cambiata assai: la ragazzina modesta, quasi timida che aveva conosciuto si era trasformata in una donna raffinata, sicura di sé; il trucco, i capelli tinti di scuro avevano accentuato la differenza. Ma in quegli ultimi sette giorni Mary non aveva potuto farli trattare e ora, guardando meglio, Barney s'accorse che sotto il colore della bruna, rispuntavano i capelli chiari naturali.
Colpito dalla rivelazione, confuso di ritrovarsi di fronte la ragazzina da cabaret della quale si era invaghito per qualche settimana a Dublino, quando aveva ereditato il titolo e aveva deciso di lasciare l'Irlanda per sempre, Barney la guardava impietrito senza trovare parole adeguate per rispondere. Prima ancora che riuscisse a riprendersi da quella confusione, l'uscio si apri e sulla soglia apparve l'americano spropositato, che li fissò sorridendo, e disse: «Giovanotto, questo è il tuo giorno fortunato. È prerogativa del nostro Sommo Signore, il Grande Ariete, di poter consacrare gli iniziati quando vuole, usando per la consacrazione una goccia del suo sangue. Con ciò si elimina la necessità del sacrificio, e il nostro Eccelso Signore ha acconsentito ad ammettervi nella Fratellanza questa notte stessa. Ma venite, ora. Non abbiamo tempo da perdere. Le undici e mezzo sono passate da un pezzo e dobbiamo affrettarci se non vogliamo giungere tardi per partecipare all'Esbbah. Ancora confusi dopo lo scoppio imprevedibile di quella lite, nell'impossibilità di continuare a discutere per giungere ad un chiarimento, Mary e Barney dovettero seguirlo nel salotto. La porta era aperta. Usciti, trovarono il Grande Ariete già al volante dell'auto ferma davanti al cancello. Wash disse a Barney di salire accanto al Grande Ariete. Il giovanotto esitò solo un istante, ma poi si disse che era suo preciso dovere, dopo che l'aveva trovato, di stargli appiccicato alle costole più che poteva e cercar di avvertire Verney alla prima occasione che gli si fosse presentata. L'auto di Wash era pronta e stava, con Iziah accanto, davanti a quella del Grande Ariete. Jim portava la valigia di Mary, lasciata nel corridoio, e l'aggiunse alle altre ammucchiate sul sedile posteriore. Aiutata Mary a indossare il soprabito, Wash l'accompagnò all'auto dandole il braccio. Mary era tanto sconvolta che non pensò nemmeno per un istante all'invisibile barriera che per più giorni le aveva impedito d'uscire di casa; ma la presenza di Wash, che la accompagnava, bastò a vanificarla. Poi le aprì la portiera e Mary salì; il motore prese a ronzare e la grossa auto partì. Imboccando la strada, oltre il cancello, Wash le disse: «Sono ancora tutto sottosopra, amore. È stato un gran colpo di fortuna che il Grande Ariete sia venuto a casa mia questa sera, ed è una fortuna anche per te. Puoi dire d'averla scampata bella, questa volta. Il nostro Eccelso Signore ha un fratello che è un buono a nulla, e ogni tanto va a sorvegliarlo. Sabato della settimana scorsa, in un qualche posto giù nel Galles, ha visto quel Dottor Dee che confabulava con un nugolo di poliziotti della R.A.F. e con quel
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Pazzo di collera, Barney sibilò fra i denti: «E va bene, se vuoi così. Resta<br />
pure, se lo preferisci. Resta qui e ingoiati quel grosso porco d'un americano.<br />
Chi fa la puttana una volta, resta puttana per sempre. E adesso so<br />
perché sei diventata una di quelle».<br />
Mary lo fissò con occhi impietriti, a bocca aperta. Con voce atona, confusa,<br />
balbettò: «Cosa... cosa vuoi dire?».<br />
«Quello che ho detto» sbottò Barney. «Dico che non ti chiami Margot,<br />
ma Mary. E io so tutto di te e della vita che facevi prima di sposarti.»<br />
Mary comprese di colpo che Barney non bluffava. Se aveva detto «tutto»,<br />
significava che sapeva tutto di lei. Aveva creduto, sin lì, d'essere lei a<br />
conoscere tutto di Barney, si era illusa che ignorasse il suo passato, e adesso<br />
scopriva d'essersi ingannata. Ma le carte erano in tavola, ormai, e non<br />
era più il caso di nasconderle.<br />
Con le mani sui fianchi, con gli occhi azzurri che lampeggiavano per la<br />
collera, decise di dargli quello che meritava e sbottò: «E sta bene! Sissignore,<br />
ho fatto la puttana, sissignore! Ma chi mi ha messo su quella strada?<br />
Chi mi ha messo incinta e mi ha piantata povera e pazza? Chi, dopo avermi<br />
presa con le lusinghe, se n'è andato bello e spensierato in America lasciando<br />
una ragazzina sola soletta, costretta a farsi prestare il denaro necessario<br />
per abortire illegalmente? Quel denaro che ho dovuto restituire<br />
prostituendomi per mesi e mesi dopo l'intervento! Chi ha sverginato la piccola<br />
Mary McCreedy e l'ha lasciata alle sei del mattino con la bella promessa:<br />
"Amore, ci si rivede presto" e invece senza un pensiero al mondo,<br />
senza chiedersi se l'avesse messa o no nei pasticci, senza un saluto, senza<br />
una parola se n'è andato negli Stati Uniti? Chi se non il gran gentiluomo irlandese<br />
Barney Sullivan? Chi se non il grande, schifoso mascalzone che<br />
adesso, per adescare più facilmente le povere ingenue, si vanta di possedere<br />
chissà quali beni nel Kenia e mentendo a muso duro si fa passare per un<br />
lord?».<br />
Barney la fissava ad occhi sgranati, come l'aveva fissato lei prima di<br />
quella sfuriata. Sin da quando l'aveva incontrata la prima volta in casa della<br />
Wardeel, aveva avuto la vaga sensazione d'averla vista in precedenza,<br />
ma non avrebbe saputo dire quando né dove. In quei cinque anni Mary era<br />
cambiata assai: la ragazzina modesta, quasi timida che aveva conosciuto si<br />
era trasformata in una donna raffinata, sicura di sé; il trucco, i capelli tinti<br />
di scuro avevano accentuato la differenza. Ma in quegli ultimi sette giorni<br />
Mary non aveva potuto farli trattare e ora, guardando meglio, Barney s'accorse<br />
che sotto il colore della bruna, rispuntavano i capelli chiari naturali.