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30.01.2013 Views

senza fare alcun passo avanti. Più tardi, cenando con Sir Charles, ripeterono il racconto e sulle prime lo scienziato li ascoltò con scetticismo non dissimulato. Ma Forsby aveva portato con sé una copia del diario di Otto e, dopo averla letta, Sir Charles dovette arrendersi di fronte all'evidenza e accettare l'idea dello strano vincolo telepatico, psichico che legava i due gemelli. Verso le dieci e mezzo passarono da Otto. Da lui seppero che per un'ora aveva tentato d'entrare in contatto con Lothar, ma senza riuscirci. Smesso l'inutile tentativo, era andato a cenare nella mensa, ma aveva ritentato subito dopo, e anche la seconda prova era andata a vuoto. Forsby installò il registratore nella stanza da letto dello scienziato, poi andarono a coricarsi. Il lunedì mattina il nastro non aveva registrato nulla, ma Otto riferì d'essersi destato verso le sei e mezzo dopo un sogno che ricordava perfettamente. Nel sogno, aveva visto Lothar salire su un aereo attorno al quale stava un certo numero d'uomini in uniforme, e lui era sicuro che fossero americani. Inoltre, qualcosa gli diceva che l'aeroporto era una delle numerose basi che gli americani occupavano nell'Inghilterra orientale. Verney telefonò subito al Ministero dell'Aviazione e pregò il responsabile dei Servizi di Sicurezza di mettersi in contatto col suo parigrado americano per chiedergli di condurre un'inchiesta approfondita. Convinto ormai che Otto potesse aiutarli a rintracciare Lothar, Verney decise di portarlo con sé a Londra, per essere informato senza ritardi di eventuali, future visioni. Otto diede disposizioni al suo collaboratore perché portasse avanti gli esperimenti in sua assenza, poi Forsby portò tutti quanti all'aeroporto, dove li attendeva l'aereo, pronto per decollare. A Farnborough trovarono ad attenderli l'auto di Verney. Il colonnello lasciò Otto in un piccolo albergo di Chelsea e, accompagnato Barney a casa, andò diritto filato in ufficio. A dispetto di tutte le preoccupazioni di quel fine settimana, Barney aveva pensato spesso a Mary, e non era riuscito a cancellare il timore che se la fosse presa a male per quell'appuntamento mancato all'ultimo minuto. La prima cosa che fece, appena entrato in casa, fu quella di telefonarle. Siccome era l'ora di pranzo, pensava che Mary fosse in casa. Poi, non ottenendo risposta, cercò di consolarsi pensando che fosse impegnata da qualche parte per il suo lavoro di modella. Venne la sera, e Barney pensò di comprare un mazzo di rose e di portargliele, ma poi desistette pensando che, con quel dono, avrebbe suscitato

l'impressione di volersi far perdonare chissà quale scappatella durante il fine settimana e giunse in Cromwell Street verso le sette e mezzo a mani vuote. Per strada aveva inventato la storiella d'un milionario che si era interessato al suo progetto di viaggi turistici nel Kenia ed aveva insistito per discuterlo con lui durante quel fine settimana. Armato del suo sorriso più seducente, Barney suonò il campanello sull'entrata, ma con suo disappunto nessuno rispose. Mary, evidentemente, era uscita. Sperando che fosse solo un ritardo, rimase a bighellonare nei paraggi per circa un'ora, ma Mary non si fece vedere e Barney ne concluse che se l'era presa e aveva rinunciato all'invito d'uscire con lui. Cercando di consolarsi come poteva col dirsi che era stanco, e tanto meglio se gli si offriva l'occasione di coricarsi per tempo, cenò tutto solo in un piccolo ristorante di Gloucester Road, poi tornò a casa. Ma gli ci volle parecchio prima di coricarsi e durante la veglia forzata, ripensando a quegli ultimi giorni, comprese quanto Mary gli fosse mancata. Barney incominciava a rendersi conto, e non se lo nascondeva, che in quei quindici giorni si era innamorato. La mattina dopo le telefonò alle otto. Non avendo ottenuto risposta, ritentò verso le otto e mezzo, ma con lo stesso risultato. Immaginò che fosse stata costretta ad uscire di buon'ora per prendere il treno, per recarsi a qualche impegno di lavoro chissà dove, ma quella spiegazione semplicistica non lo convinceva: Mary aveva poche conoscenze a Londra; forse immaginava che a telefonarle era lui e, ancora irritata, evitava dispettosamente di rispondere. Convinto che fosse quella la spiegazione più logica, Barney decise di lasciarla cuocere nel proprio brodo per le prossime trentasei ore. Messosi temporaneamente il cuore in pace sul conto di Mary, passò in ufficio. Da Verney seppe subito che tutti i tentativi di rintracciare Lothar erano abortiti: le ricerche ordinate dal Comando delle Forze Aeree Americane in Inghilterra non avevano dato esito alcuno; gli sforzi di Otto, che aveva cercato di localizzarlo sul piano astrale, avevano prodotto soltanto una forte impressione che Lothar avesse attraversato il mare e che si fosse rifugiato da qualche parte sul continente. Verney aveva chiesto la collaborazione dell'Interpol, ma con le migliaia d'aerei che solcavano i cieli dell'Europa ogni giorno, decollando o atterrando in innumerevoli aeroporti, senza una descrizione precisa di quello ricercato, c'era ben poco da sperare anche da quella direzione.

l'impressione di volersi far perdonare chissà quale scappatella durante il fine<br />

settimana e giunse in Cromwell Street verso le sette e mezzo a mani<br />

vuote. Per strada aveva inventato la storiella d'un milionario che si era interessato<br />

al suo progetto di viaggi turistici nel Kenia ed aveva insistito per<br />

discuterlo con lui durante quel fine settimana.<br />

Armato del suo sorriso più seducente, Barney suonò il campanello sull'entrata,<br />

ma con suo disappunto nessuno rispose. Mary, evidentemente,<br />

era uscita. Sperando che fosse solo un ritardo, rimase a bighellonare nei<br />

paraggi per circa un'ora, ma Mary non si fece vedere e Barney ne concluse<br />

che se l'era presa e aveva rinunciato all'invito d'uscire con lui.<br />

Cercando di consolarsi come poteva col dirsi che era stanco, e tanto meglio<br />

se gli si offriva l'occasione di coricarsi per tempo, cenò tutto solo in<br />

un piccolo ristorante di Gloucester Road, poi tornò a casa. Ma gli ci volle<br />

parecchio prima di coricarsi e durante la veglia forzata, ripensando a quegli<br />

ultimi giorni, comprese quanto Mary gli fosse mancata. Barney incominciava<br />

a rendersi conto, e non se lo nascondeva, che in quei quindici<br />

giorni si era innamorato.<br />

La mattina dopo le telefonò alle otto. Non avendo ottenuto risposta, ritentò<br />

verso le otto e mezzo, ma con lo stesso risultato. Immaginò che fosse<br />

stata costretta ad uscire di buon'ora per prendere il treno, per recarsi a<br />

qualche impegno di lavoro chissà dove, ma quella spiegazione semplicistica<br />

non lo convinceva: Mary aveva poche conoscenze a Londra; forse immaginava<br />

che a telefonarle era lui e, ancora irritata, evitava dispettosamente<br />

di rispondere.<br />

Convinto che fosse quella la spiegazione più logica, Barney decise di lasciarla<br />

cuocere nel proprio brodo per le prossime trentasei ore.<br />

Messosi temporaneamente il cuore in pace sul conto di Mary, passò in<br />

ufficio. Da Verney seppe subito che tutti i tentativi di rintracciare Lothar<br />

erano abortiti: le ricerche ordinate dal Comando delle Forze Aeree Americane<br />

in Inghilterra non avevano dato esito alcuno; gli sforzi di Otto, che<br />

aveva cercato di localizzarlo sul piano astrale, avevano prodotto soltanto<br />

una forte impressione che Lothar avesse attraversato il mare e che si fosse<br />

rifugiato da qualche parte sul continente. Verney aveva chiesto la collaborazione<br />

dell'Interpol, ma con le migliaia d'aerei che solcavano i cieli dell'Europa<br />

ogni giorno, decollando o atterrando in innumerevoli aeroporti,<br />

senza una descrizione precisa di quello ricercato, c'era ben poco da sperare<br />

anche da quella direzione.

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