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lonnello; lo vedeva corrucciato, pensieroso, ammutolito e in preda ad una profonda indecisione, e non osava fiatare. «Forse in questo non hai tutti i torti» disse, finalmente, l'americano. «Tuttavia, adesso che mi sono imbattuto in questa bellezza, non intendo dividerla con nessuno. Già! Penso proprio che me la porterò via da qui, la parcheggerò da qualche parte e tornerò qui in fretta e furia, in tempo per il sacrificio.» Poi, sbirciando Mary, disse seccamente: «E lei, cosa aspetta? Finisca di vestirsi!». Vedendo che la vittima designata era sul punto di sfuggirgli, la pelle color caffellatte di Ratnadatta divenne color della cenere per la collera. Perso ogni controllo di se stesso, l'indiano sbottò in tono di sfida: «lo non permetterò che tu la porti via! Non lo permetterò. Tu vuoi derubare l'intera Fratellanza per soddisfare un piacere egoistico. Adesso vado a chiamarli tutti quanti. Ti inseguiranno e ti fermeranno per strada». Facendo seguire i fatti alle minacce, Ratnadatta si lanciò verso la porta per uscire. Prima che fosse a metà strada, il colosso americano gli si parò dinnanzi e allungando un pugno grosso come un maglio lo centrò in pieno volto. Il colpo sollevò letteralmente Ratnadatta dal pavimento e lo scagliò, rovesciandolo all'indietro, contro la porta del bagno, sulla quale scivolò andando a giacere come un fagotto di stracci sul tappeto. Mary rimpiangeva di non essere stata lei capace di ridurlo così. Poi, vedendolo immobile, vedendo che non respirava, non seppe trattenersi, e mormorò: «Mio Dio! Lo ha ucciso». «Può darsi» replicò l'americano, sorridendo. «Ho visto gente morire con l'osso del collo rotto per un colpetto così. Se è morto, vuol dire che ha trovato la strada più spiccia per sbarazzarsi del corpo che lo imprigionava. Io, comunque, direi che è andato soltanto in visita sul piano astrale. Ritornerà in sé fra un'oretta, e allora si pentirà, seppure in ritardo, di non essere stato più civile.» Mary infilò frettolosamente le scarpe, poi afferrò il soprabito e la borsetta. Il suo salvatore la prese per un braccio e, attraversato il salotto, uscirono assieme nel corridoio. Tutti i membri della Fratellanza si erano radunati nel tempio e in giro nel corridoio non c'era nessuno. Fianco a fianco scesero di corsa le due rampe di scale e nella sala trovarono i due lacché negri lasciati di guardia all'ingresso. Ma i loro occhi vacui rimasero spenti, privi d'espressione: nessuno dei due mosse un dito per tentar di fermare la coppia frettolosa che pochi
istanti dopo, varcata la soglia, usciva nel cortile. Mary respirò profondamente la fresca aria notturna e le parve di non aver mai respirato niente di più balsamico. Era rimasta in quella casa poco più di tre ore, ma le erano sembrate tre settimane. La mattina, quando si era ripromessa di farla finita con Ratnadatta, certa di poter trascorrere una serata felice in compagnia di Barney, pareva remota quanto un'intera vita. L'enorme suo compagno la condusse ad un'auto parcheggiata tra una dozzina nel buio del cortile. Aperta la portiera, Mary si ritrovò in un abitacolo largo quanto un appartamentino. Salito a sua volta, il colonnello mise in moto e accese i fari, poi imboccò il vicoletto e quando ne sbucò all'altra estremità, brontolò come fra sé: «Fottuta cerimonia. Proprio la sera che ho trovato uno schianto così doveva capitarmi. E cosa faccio di lei, prima di passare a prenderla domattina?... Forse tanto vale che la accompagni a casa sua». A Mary pareva che il cuore dovesse uscirle dal petto per la gioia. La violenza di Ratnadatta aveva fatto svanire gli effetti dell'afrodisiaco e adesso non voleva più aver a che fare con uomini, con nessun uomo; certo non se la sentiva di stare con quell'enorme americano che era un satanista come gli altri, e per giunta forse un mercante di schiave bianche. Mary non sapeva nemmeno capacitarsi come avesse potuto pensare a lui come a un possibile amante. Sì, poteva essere un gran bell'uomo con un fisico eccezionale, ma come gli altri doveva essere un pozzo senza fondo d'iniquità. Appena l'avesse lasciata avrebbe atteso per una decina di minuti nascosta nell'ingresso, poi sarebbe uscita ancora, avrebbe preso un taxi e si sarebbe fatta accompagnare da Verney. Con un po' di fortuna ci sarebbe arrivata verso le dieci e mezzo, e il colonnello si sarebbe dato da fare senza indugi. Altrimenti, si sarebbe rivolta a Scotland Yard e in un modo o nell'altro avrebbe messo a segno il colpo grosso che meditava da quando aveva visto le scarpe di Teddy ai piedi dì Ratnadatta. E Abaddon, l'indiano, Onorio... tutta quella ciurmaglia d'assassini sarebbe caduta nelle mani della polizia. «Dove abita?» domandò il suo compagno. Mary glielo disse. «Sì, Cromwell Road la conosco, ma non saprei andarci da qui. Non può indicarmi la strada più corta?» «Sì» rispose Mary, facendo del proprio meglio per nascondere la gioia che provava, perché l'altro non si insospettisse. «Svolti a sinistra alla prossima. Raggiungeremo Fulham Road. Basterà attraversarla e passeremo per i Boltons.»
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istanti dopo, varcata la soglia, usciva nel cortile.<br />
Mary respirò profondamente la fresca aria notturna e le parve di non aver<br />
mai respirato niente di più balsamico. Era rimasta in quella casa poco<br />
più di tre ore, ma le erano sembrate tre settimane. La mattina, quando si<br />
era ripromessa di farla finita con Ratnadatta, certa di poter trascorrere una<br />
serata felice in compagnia di Barney, pareva remota quanto un'intera vita.<br />
L'enorme suo compagno la condusse ad un'auto parcheggiata tra una<br />
dozzina nel buio del cortile. Aperta la portiera, Mary si ritrovò in un abitacolo<br />
largo quanto un appartamentino. Salito a sua volta, il colonnello mise<br />
in moto e accese i fari, poi imboccò il vicoletto e quando ne sbucò all'altra<br />
estremità, brontolò come fra sé: «Fottuta cerimonia. Proprio la sera che ho<br />
trovato uno schianto così doveva capitarmi. E cosa faccio di lei, prima di<br />
passare a prenderla domattina?... Forse tanto vale che la accompagni a casa<br />
sua».<br />
A Mary pareva che il cuore dovesse uscirle dal petto per la gioia. La violenza<br />
di Ratnadatta aveva fatto svanire gli effetti dell'afrodisiaco e adesso<br />
non voleva più aver a che fare con uomini, con nessun uomo; certo non se<br />
la sentiva di stare con quell'enorme americano che era un <strong>satanista</strong> come<br />
gli altri, e per giunta forse un mercante di schiave bianche. Mary non sapeva<br />
nemmeno capacitarsi come avesse potuto pensare a lui come a un possibile<br />
amante. Sì, poteva essere un gran bell'uomo con un fisico eccezionale,<br />
ma come gli altri doveva essere un pozzo senza fondo d'iniquità. Appena<br />
l'avesse lasciata avrebbe atteso per una decina di minuti nascosta nell'ingresso,<br />
poi sarebbe uscita ancora, avrebbe preso un taxi e si sarebbe fatta<br />
accompagnare da Verney. Con un po' di fortuna ci sarebbe arrivata verso<br />
le dieci e mezzo, e il colonnello si sarebbe dato da fare senza indugi. Altrimenti,<br />
si sarebbe rivolta a Scotland Yard e in un modo o nell'altro avrebbe<br />
messo a segno il colpo grosso che meditava da quando aveva visto<br />
le scarpe di Teddy ai piedi dì Ratnadatta. E Abaddon, l'indiano, Onorio...<br />
tutta quella ciurmaglia d'assassini sarebbe caduta nelle mani della polizia.<br />
«Dove abita?» domandò il suo compagno.<br />
Mary glielo disse.<br />
«Sì, Cromwell Road la conosco, ma non saprei andarci da qui. Non può<br />
indicarmi la strada più corta?»<br />
«Sì» rispose Mary, facendo del proprio meglio per nascondere la gioia<br />
che provava, perché l'altro non si insospettisse. «Svolti a sinistra alla prossima.<br />
Raggiungeremo Fulham Road. Basterà attraversarla e passeremo per<br />
i Boltons.»