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30.01.2013 Views

«Oh sì!» mormorò l'indiano, passandosi la lingua sulle labbra. «E ti dico anche perché lo farai: Abaddon te lo ordinerà, e tu hai giurato di obbedirgli.» «No che non lo farà» ribatté lei, furiosa. «lo non farò niente di simile. Onorio gli chiederà di non assegnarmi nessun uomo che mi faccia schifo.» Gli occhi dell'indiano lampeggiarono di collera non più trattenuta. Afferratala per le spalle, la respinse sul letto e sibilò a denti stretti: «Ti senti migliore perché sei bianca, eh? E allora te la darò io una lezione! Sotto la pelle, uomini e donne sono tutti uguali, e tu dovrai sottostare alla mia volontà, che ti piaccia o no». «Bestia! Bruto schifoso!» urlò Mary, inarcando le ginocchia e riuscendo a scostarlo, ma non del tutto, che Ratnadatta la tenne per le spalle. Lottarono furiosamente per alcuni minuti. «Piccola scema. Smettila di agitarti. Alla fine non fa nessuna differenza per te e ci divertiremo meno tutti e due.» «Divertirmi a fare l'amore con te!» urlò Mary, sbottando in una risata isterica. «Preferirei un lebbroso! Lasciami, porco fetente!» Ratnadatta ansimava, ma teneva duro. «Per gli insulti, faremo i conti dopo... Nel tempio abbiamo scudisci a sufficienza... per i sadici. Ti darò una di quelle strigliate... che domattina andrai a casa con la pelle coperta di lividi.» Le minacce non avevano più alcun effetto su di lei. Per lo sforzo, Ratnadatta sudava e il puzzo di quel corpo sgraziato le ribaltava lo stomaco. Divincolandosi, scalciando, lo costrinse a lasciare la presa, liberandosi un braccio e, alzata la mano adunca, mirò al volto. Le unghie affilate mancarono gli occhi, ma scavarono due solchi profondi sulla guancia, e il sangue prese a zampillare. Ratnadatta lasciò completamente la presa e indietreggiò d'un passo. Sollevatasi, Mary lo colpì col pugno chiuso, centrandolo sulle labbra. Maledicendola in urdu, Ratnadatta la scostò con una mano e si alzò ginocchioni. Furiosa, eccitata dalla speranza di scuoterselo di dosso, Mary picchiò ancora, centrandolo al mento, facendolo barcollare, poi ne profittò per spingerlo con forza, rovesciandolo dal letto. Ratnadatta cadde con un tonfo, ma si rimise subito in ginocchio. Mary gli sferrò un calcio in testa e lo rovesciò ancora. Balzata dal letto, Mary si guardò intorno cercando un'arma qualunque. Se si fosse trovato un coltello fra le mani, senza dubbio lo avrebbe ucciso, ma non c'era nulla che potesse servire allo scopo. Soltanto la sedia, leggera abbastanza e quindi maneggevole anche per lei. Ma era vicina all'indiano...

Ce l'avrebbe fatta ad afferrarla prima che lui... Quella breve esitazione le fu fatale. Mentre Mary balzava in avanti per afferrare la sedia, Ratnadatta, rimessosi in ginocchio, le sferrò un pugno con quanta forza aveva, colpendola allo stomaco. Mary si piegò in avanti boccheggiando. Rialzatosi, Ratnadatta la afferrò per le spalle e, fattala piroettare su se stessa, la scagliò ancora sul letto. Senza fiato, mezzo stordita, Mary non era più in grado di difendersi, nemmeno di muoversi. Ratnadatta le stava sopra e fissandola con occhi fiammeggianti, col volto insanguinato, sibilava: «Puttana bianca! Puttana bianca!». La volontà di lottare ancora, di non cedere le ritornò quando Ratnadatta le si buttò addosso. Ma le forze mancavano e lacrime di rabbia rigavano le sue guance, la mente era come intorpidita. Mary si rendeva vagamente conto che non si sarebbe sentita decente mai più, che dopo quell'esperienza non sarebbe mai più stata una donna pulita. L'idea di sopportare la vita dopo quella degradazione subita a causa d'una follia era insopportabile. Droga o non droga, come avrebbe potuto vivere col rimorso d'aver provocato l'assassino di suo marito a diventare il proprio amante? Le restava una soluzione soltanto: uccidersi, appena si fosse liberata da quell'infame. Il Tamigi scorreva a qualche centinaio di metri appena da quella casa maledetta. Sì, ci sarebbe andata subito e si sarebbe gettata nel fiume. Il respiro ritornava, e col respiro un poco delle energie perdute. Aperta la bocca, Mary scattò su col viso, i suoi denti si strinsero sul labbro inferiore dell'indiano che urlò per il dolore, ma lasciate le spalle, la strinse con tutt'e due le mani alla gola. Per la seconda volta quella sera Mary si sentì sul punto di finire strangolata. I pollici dell'indiano le stringevano la carotide, la costringevano ad aprire la bocca per cercar di respirare. Ratnadatta scostò la testa e imprecò ancora nella sua lingua. La forza ritornava. Mary ritentò ancora una volta, ma per quanto scalciasse non riuscì a scrollarselo di dosso. Ratnadatta la stringeva sempre più forte e Mary si sfiatava dibattendosi vanamente. E Ratnadatta, adesso, la fissava con due occhi neri come carboni... Rammentando con quanta facilità l'avesse ammansita Onorio poco prima, Mary comprese che l'indiano tentava d'ipnotizzarla per possederla a qualsiasi costo. Chiuse subito gli occhi e rinnovò gli sforzi per liberarsi. Rabbia, schifo, disperazione si combinarono in un solo impulso e, aperta la bocca, urlò con quanto fiato le era rimasto: «Oh Dio, aiuto. Salvatemi!

«Oh sì!» mormorò l'indiano, passandosi la lingua sulle labbra. «E ti dico<br />

anche perché lo farai: Abaddon te lo ordinerà, e tu hai giurato di obbedirgli.»<br />

«No che non lo farà» ribatté lei, furiosa. «lo non farò niente di simile.<br />

Onorio gli chiederà di non assegnarmi nessun uomo che mi faccia schifo.»<br />

Gli occhi dell'indiano lampeggiarono di collera non più trattenuta. Afferratala<br />

per le spalle, la respinse sul letto e sibilò a denti stretti: «Ti senti migliore<br />

perché sei bianca, eh? E allora te la darò io una lezione! Sotto la pelle,<br />

uomini e donne sono tutti uguali, e tu dovrai sottostare alla mia volontà,<br />

che ti piaccia o no».<br />

«Bestia! Bruto schifoso!» urlò Mary, inarcando le ginocchia e riuscendo<br />

a scostarlo, ma non del tutto, che Ratnadatta la tenne per le spalle. Lottarono<br />

furiosamente per alcuni minuti. «Piccola scema. Smettila di agitarti. Alla<br />

fine non fa nessuna differenza per te e ci divertiremo meno tutti e due.»<br />

«Divertirmi a fare l'amore con te!» urlò Mary, sbottando in una risata isterica.<br />

«Preferirei un lebbroso! Lasciami, porco fetente!»<br />

Ratnadatta ansimava, ma teneva duro. «Per gli insulti, faremo i conti dopo...<br />

Nel tempio abbiamo scudisci a sufficienza... per i sadici. Ti darò una<br />

di quelle strigliate... che domattina andrai a casa con la pelle coperta di lividi.»<br />

Le minacce non avevano più alcun effetto su di lei. Per lo sforzo, Ratnadatta<br />

sudava e il puzzo di quel corpo sgraziato le ribaltava lo stomaco. Divincolandosi,<br />

scalciando, lo costrinse a lasciare la presa, liberandosi un<br />

braccio e, alzata la mano adunca, mirò al volto. Le unghie affilate mancarono<br />

gli occhi, ma scavarono due solchi profondi sulla guancia, e il sangue<br />

prese a zampillare.<br />

Ratnadatta lasciò completamente la presa e indietreggiò d'un passo. Sollevatasi,<br />

Mary lo colpì col pugno chiuso, centrandolo sulle labbra.<br />

Maledicendola in urdu, Ratnadatta la scostò con una mano e si alzò ginocchioni.<br />

Furiosa, eccitata dalla speranza di scuoterselo di dosso, Mary<br />

picchiò ancora, centrandolo al mento, facendolo barcollare, poi ne profittò<br />

per spingerlo con forza, rovesciandolo dal letto. Ratnadatta cadde con un<br />

tonfo, ma si rimise subito in ginocchio. Mary gli sferrò un calcio in testa e<br />

lo rovesciò ancora.<br />

Balzata dal letto, Mary si guardò intorno cercando un'arma qualunque.<br />

Se si fosse trovato un coltello fra le mani, senza dubbio lo avrebbe ucciso,<br />

ma non c'era nulla che potesse servire allo scopo. Soltanto la sedia, leggera<br />

abbastanza e quindi maneggevole anche per lei. Ma era vicina all'indiano...

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