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30.01.2013 Views

prese l'autobus per Wimbledon. Soffiava un vento piuttosto teso che rendeva la passeggiata meno piacevole dell'ultima volta, ma Mary attraversò decisa i giardini e dopo aver passeggiato per un paio d'ore, entrò in un bar per consumare di buon appetito un tè coi pasticcini. Intanto il vento era diminuito e l'ultimo sole del pomeriggio invitava a godere fino in fondo quella bella giornata di fine aprile. Mary non s'affrettò per tornare e fu soltanto verso le sette che scese dall'autobus in Cromwell Road. Sentendosi assai più sollevata dopo il bel pomeriggio trascorso all'aperto, girò la chiave e sul pianerottolo, all'ingresso, trovò Ratnadatta che l'aspettava. 13 Le scarpe del morto Visto che Ratnadatta non s'era fatto vivo dopo che lei aveva disertato il martedì dalla Wardeel, Mary si era adagiata in un falso senso di sicurezza. Quell'apparizione improvvisa fu per lei una scossa tremenda. Il cuore prese a batterle furiosamente, ma, nascondendo l'agitazione improvvisa, ricambiò il saluto. «Buona sera.» Vedendola entrare Ratnadatta si era alzato e adesso la fissava con quegli occhi neri e tondi dietro le lenti spesse. «Perché non è venuta dalla signora Wardeel, martedì sera?» domandò. «Perché non ho potuto» replicò Mary, con voce più ferma di quel che si sarebbe aspettato. «A pranzo ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male. La sera avevo la febbre.» Mary notò sollevata che Ratnadatta non sospettava della bugia. Infatti, sorrideva comprensivo, coi denti da roditore bene in mostra. «Questo mi dispiace molto» rispose. «Comunque, vedo che adesso sta bene e mi fa piacere. Molto piacere, perché ho buone notizie per lei. Subito le viene offerta la possibilità di affrontare la seconda prova della sua iniziazione.» Con uno sforzo Mary riuscì a dominare la paura che l'assaliva. Barney poteva essere un poco di buono e un bugiardo, ma l'aveva convinta a lasciar perdere Ratnadatta per il proprio bene; l'aveva convinta che frequentandolo avrebbe finito per cacciarsi nei pasticci. Doveva liberarsene in un modo o in un altro, ma senza irritarlo; doveva evitare di seguirlo, poi doveva nascondersi da qualche parte per non farsi più trovare. «E quando dovrebbe avvenire?» domandò, fingendosi calma. «Come? Questa sera» replicò, quasi meravigliato che non l'avesse capito subito. «Ho telefonato questa mattina, ho telefonato nel pomeriggio, e lei

non c'era mai. Così sono venuto a prenderla. Per la cerimonia riceverà le istruzioni prima che incominci. Forse arriveremo un poco in anticipo, ma per me, andare e tornare in mezz'ora è stata dura.» «lo... sono stata fuori tutto il giorno. Devo cambiarmi d'abito» rispose Mary, che incominciava a tentennare. «Non occorre. Si cambierà nel tempio. Potrà anche fare il bagno, se lo vorrà. Ma ora venga con me, prego.» Mary si lambiccava il cervello nella ricerca frenetica d'una scappatoia, cercava una scusa qualunque per allontanarlo, fosse stato per dieci minuti soltanto, e squagliarsela prima che tornasse. Insistere per salire in casa sarebbe stato inutile, che Ratnadatta l'avrebbe attesa nell'ingresso, ma in quel momento la scusa non la trovava. Poi, di colpo, rammentò il crocifisso e quel che le aveva detto Barney. Mary pensava di poterlo usare come una specie di talismano e di poter sconfiggere Ratnadatta, perciò si mise a frugare nella borsetta. Gliel'avrebbe messo sotto il naso e gli avrebbe intimato d'uscire, di non farsi vedere mai più. Mary frugava inutilmente: il crocifisso non c'era. Abbassò gli occhi per guardare nella borsetta e lo sguardo cadde sulle scarpe di Ratnadatta; scarpe di cuoio nero, fatte a mano. Ma sulla mascherina della sinistra c'era uno sfregio che nessuno strato di lucido era riuscito a cancellare. Fissando quello sfregio, gli occhi di Mary si dilatarono di colpo; per qualche secondo rimasero a fissare quella pelle lacerata con lo stesso orrore affascinato col quale gli occhi d'un uccelletto fissano quelli d'un serpente. «Venga» disse Ratnadatta, piuttosto spazientito. «Lei non ha niente da temere. Perché esita così?» Le dita avevano trovato il piccolo crocifisso, ma non lo afferrarono. Con uno sforzo supremo Mary seppe frenarsi, la bocca non s'aprì per urlare. Quelle scarpe che Ratnadatta calzava le avrebbe riconosciute dovunque: erano le scarpe di suo marito, morto assassinato. Presa una decisione improvvisa, ritirò la mano e richiuse la borsetta, poi, con voce strozzata che smentiva le parole, replicò: «Non sono affatto spaventata. È solo che non m'aspettavo di incontrarmi con lei questa sera. Chiami un taxi.» Quella delle scarpe fatte su misura era stata una delle poche stravaganze di Teddy. Sin da giovane aveva preso l'abitudine di farsene fare un paio all'anno da Lobb, che aveva il negozio in Saint James Street. Quell'ultimo

prese l'autobus per Wimbledon. Soffiava un vento piuttosto teso che rendeva<br />

la passeggiata meno piacevole dell'ultima volta, ma Mary attraversò<br />

decisa i giardini e dopo aver passeggiato per un paio d'ore, entrò in un bar<br />

per consumare di buon appetito un tè coi pasticcini. Intanto il vento era<br />

diminuito e l'ultimo sole del pomeriggio invitava a godere fino in fondo<br />

quella bella giornata di fine aprile. Mary non s'affrettò per tornare e fu soltanto<br />

verso le sette che scese dall'autobus in Cromwell Road. Sentendosi<br />

assai più sollevata dopo il bel pomeriggio trascorso all'aperto, girò la chiave<br />

e sul pianerottolo, all'ingresso, trovò Ratnadatta che l'aspettava.<br />

13<br />

Le scarpe del morto<br />

Visto che Ratnadatta non s'era fatto vivo dopo che lei aveva disertato il<br />

martedì dalla Wardeel, Mary si era adagiata in un falso senso di sicurezza.<br />

Quell'apparizione improvvisa fu per lei una scossa tremenda. Il cuore prese<br />

a batterle furiosamente, ma, nascondendo l'agitazione improvvisa, ricambiò<br />

il saluto. «Buona sera.»<br />

Vedendola entrare Ratnadatta si era alzato e adesso la fissava con quegli<br />

occhi neri e tondi dietro le lenti spesse. «Perché non è venuta dalla signora<br />

Wardeel, martedì sera?» domandò.<br />

«Perché non ho potuto» replicò Mary, con voce più ferma di quel che si<br />

sarebbe aspettato. «A pranzo ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male.<br />

La sera avevo la febbre.»<br />

Mary notò sollevata che Ratnadatta non sospettava della bugia. Infatti,<br />

sorrideva comprensivo, coi denti da roditore bene in mostra. «Questo mi<br />

dispiace molto» rispose. «Comunque, vedo che adesso sta bene e mi fa<br />

piacere. Molto piacere, perché ho buone notizie per lei. Subito le viene offerta<br />

la possibilità di affrontare la seconda prova della sua iniziazione.»<br />

Con uno sforzo Mary riuscì a dominare la paura che l'assaliva. Barney<br />

poteva essere un poco di buono e un bugiardo, ma l'aveva convinta a lasciar<br />

perdere Ratnadatta per il proprio bene; l'aveva convinta che frequentandolo<br />

avrebbe finito per cacciarsi nei pasticci. Doveva liberarsene in un<br />

modo o in un altro, ma senza irritarlo; doveva evitare di seguirlo, poi doveva<br />

nascondersi da qualche parte per non farsi più trovare.<br />

«E quando dovrebbe avvenire?» domandò, fingendosi calma.<br />

«Come? Questa sera» replicò, quasi meravigliato che non l'avesse capito<br />

subito. «Ho telefonato questa mattina, ho telefonato nel pomeriggio, e lei

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