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30.01.2013 Views

necessario». Le due donne scrutarono Mary con occhio critico e s'accorsero subito che gli abiti che indossava erano preconfezionati, che era priva di trucco e coi capelli acconciati in maniera quasi indecente. Mary rabbrividì sotto quello sguardo scrutatore, ma poi s'accorse che, sotto la maschera, le due donne sorridevano benevolmente. «Bimba mia, non si preoccupi così» disse la più anziana, con piglio deciso. «Non ha nulla da temere. Venga con noi, ora.» Piuttosto rassicurata, Mary salutò Abaddon e Ratnadatta con un mezzo sorriso e, seguendo le due donne, uscì. Mentre salivano il grande scalone, con Mary nel mezzo e le due sacerdotesse ai suoi lati, l'anziana contessa disse: «Forse si è spaventata udendo Abaddon parlare d'una cella, ma non è proprio il caso, mia cara. In epoca vittoriana questa casa era un convento di monache e le ampie sale di ricevimento al primo piano erano state trasformate per ricavarne un certo numero di celle, che adesso ci tornano utilissime come camerini nei quali possiamo cambiarci e addobbarci». Giunte a metà corridoio, entrarono in una di quelle stanzette, che non somigliava affatto ad una cella monacale. Una tappeto d'ottima qualità copriva il pavimento; alle pareti, coperte da pannelli di legno, pendevano numerose, piccole riproduzioni magistralmente eseguite di scene erotiche tratte da stampe francesi settecentesche. C'erano un guardaroba, un mobile da toeletta, una stufa elettrica e alcune sedie su una delle quali era posata una strana collezione d'oggetti per la maggior parte composta di ferri e da una specie di saio. «Cara, si spogli» disse la contessa. Mary incominciò a spogliarsi. E tanto per non far vedere che era spaventata, incominciò a parlare di un argomento che poteva nascondere il suo pensiero: «Abaddon mi ha detto che ognuno, qui, può scegliersi il nome d'una strega o d'uno stregone. Ma se è così, perché voi due continuate a servirvi del vostro titolo e del vostro nome?». La donnetta dai capelli grigi proruppe in una risatina allegra e disse: «Fuori da queste mura, io non ho alcun titolo nobiliare, cara. Ma se lei avesse letto le antiche cronache storiche, saprebbe che la Contessa di Salisbury, vissuta al tempo di re Edoardo III, era la regina delle streghe in Inghilterra. Essa era l'amante del re, e il re aveva strappato dalle sue mani l'emblema del potere di Satana: la sua giarrettiera ornata di gioielli. L'antica memoria di altre incarnazioni mi ha rivelato che ho vissuto la sua vita, ed è per questo motivo che ho assunto il suo nome e il suo titolo».

«E lei?» Mary capiva di non dover sprecare l'occasione che le si presentava di far parlare le due donne, e adesso si rivolgeva alla cinesina. «Purtroppo, come avviene nelle presentazioni, non ho afferrato bene il suo nome. Comunque, mi piacerebbe tanto conoscerne le implicazioni.» La ragazza sorrise amabilmente. «lo sono Tung-fang Shuo e ho assunto il nome del grande mago cinese vissuto nel secondo secolo prima di Cristo. Ma adesso ci dica, cosa la spinge a diventare una Sorella dell'Ariete?» «Il desiderio del potere» replicò prontamente Mary. «Che specie di potere?» domandò la contessa. Mary esitò un istante appena, poi rispose decisa: «IL potere sugli uomini». Una specie di naso a becco scaturì dalla maschera e la contessa lo arricciò in segno di disprezzo. «Allora lei dev'essere stupida, secondo me. È già abbastanza bella per far innamorare di sé tutti gli uomini che vuole. Il potere può essere usato per scopi molto più interessanti. Quindici anni fa, mio marito era nient'altro che un medio industriale discretamente ricco, senza relazioni sociali degne del suo rango. Ora, se mi togliessi la maschera, sono sicura che lei mi riconoscerebbe. Non trascorre quasi settimana senza che la mia foto appaia sul Tatler o su altri giornali, il mio salotto è uno dei più frequentati dalla buona società. È una soddisfazione ben diversa da quella che si può provare portandosi a letto tutti gli uomini che si desiderano.» «lo non sono d'accordo» dichiarò Tung-fang Shuo. «La tua vita fatta di ricevimenti, del desiderio di frequentare persone importanti, dev'essere un continuo d'ansietà e di timori. Guarda me, invece. Tre anni fa sono venuta a Londra come dattilografa addetta all'Ambasciata cinese. Guardami adesso. Non fatico, non mi do da fare. Sono semplicemente l'amante d'un milionario che deve baciarmi la punta dei piedi prima di poter fare l'amore con me. Se fossi pazza, potrei indurlo a sperperare tutte le sue fortune pur di soddisfare i miei capricci. Invece, guarda» disse ancora, alzando la mano col grosso diamante che aveva al dito: «Sono saggia e m'accontento di quei regali che lui mi offre spontaneamente». Mentre loro parlavano, Mary aveva finito di spogliarsi. Preso il saio posato sulla sedia, la contessa glielo porse. Mary s'accorse con sgomento che era formato da un due pezzi di tela grezza, dei quali la specie di giubbotto era semplicemente un sacco coi buchi per passarci il collo e le braccia, la gonna un altro sacco aperto su un fianco e in fondo, stretto da una cordicella in vita per non farlo cadere.

necessario».<br />

Le due donne scrutarono Mary con occhio critico e s'accorsero subito<br />

che gli abiti che indossava erano preconfezionati, che era priva di trucco e<br />

coi capelli acconciati in maniera quasi indecente.<br />

Mary rabbrividì sotto quello sguardo scrutatore, ma poi s'accorse che,<br />

sotto la maschera, le due donne sorridevano benevolmente. «Bimba mia,<br />

non si preoccupi così» disse la più anziana, con piglio deciso. «Non ha<br />

nulla da temere. Venga con noi, ora.»<br />

Piuttosto rassicurata, Mary salutò Abaddon e Ratnadatta con un mezzo<br />

sorriso e, seguendo le due donne, uscì. Mentre salivano il grande scalone,<br />

con Mary nel mezzo e le due sacerdotesse ai suoi lati, l'anziana contessa<br />

disse: «Forse si è spaventata udendo Abaddon parlare d'una cella, ma non<br />

è proprio il caso, mia cara. In epoca vittoriana questa casa era un convento<br />

di monache e le ampie sale di ricevimento al primo piano erano state trasformate<br />

per ricavarne un certo numero di celle, che adesso ci tornano utilissime<br />

come camerini nei quali possiamo cambiarci e addobbarci».<br />

Giunte a metà corridoio, entrarono in una di quelle stanzette, che non<br />

somigliava affatto ad una cella monacale. Una tappeto d'ottima qualità copriva<br />

il pavimento; alle pareti, coperte da pannelli di legno, pendevano<br />

numerose, piccole riproduzioni magistralmente eseguite di scene erotiche<br />

tratte da stampe francesi settecentesche. C'erano un guardaroba, un mobile<br />

da toeletta, una stufa elettrica e alcune sedie su una delle quali era posata<br />

una strana collezione d'oggetti per la maggior parte composta di ferri e da<br />

una specie di saio.<br />

«Cara, si spogli» disse la contessa.<br />

Mary incominciò a spogliarsi. E tanto per non far vedere che era spaventata,<br />

incominciò a parlare di un argomento che poteva nascondere il suo<br />

pensiero: «Abaddon mi ha detto che ognuno, qui, può scegliersi il nome<br />

d'una strega o d'uno stregone. Ma se è così, perché voi due continuate a<br />

servirvi del vostro titolo e del vostro nome?».<br />

La don<strong>net</strong>ta dai capelli grigi proruppe in una risatina allegra e disse:<br />

«Fuori da queste mura, io non ho alcun titolo nobiliare, cara. Ma se lei avesse<br />

letto le antiche cronache storiche, saprebbe che la Contessa di Salisbury,<br />

vissuta al tempo di re Edoardo III, era la regina delle streghe in Inghilterra.<br />

Essa era l'amante del re, e il re aveva strappato dalle sue mani<br />

l'emblema del potere di Satana: la sua giarrettiera ornata di gioielli. L'antica<br />

memoria di altre incarnazioni mi ha rivelato che ho vissuto la sua vita,<br />

ed è per questo motivo che ho assunto il suo nome e il suo titolo».

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