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30.01.2013 Views

tornato da lui pronto a fare quello che mi chiedeva, non m'avrebbe lasciato altre opportunità, ma avrebbe causato la mia rovina. Ci lasciammo così, e io tornai a Farnborough. Ovviamente, ero molto preoccupato. Lì per lì non avevo pensato che, vivendo nascosto come viveva, era in grado di rovinare la mia vita così serena e ordinata; comunque, temevo che sfruttasse i legami occulti esistenti fra noi per rendermi infelice. Con mia grande sorpresa, avvenne esattamente il contrario e per tutta una settimana andai esente da quelle invasioni mentali con le quali mi aveva tormentato sin dall'inizio del mese. Quella tregua servì a infondermi un errato senso di sicurezza. Incominciai a credere che le sue minacce fossero state soltanto parole campate in aria, che si fosse rassegnato e avesse rinunciato all'idea di portarmi in Russia con lui. M'ingannavo, e non avrei tardato molto ad accorgermene. Facevo parte d'un gruppo di scienziati che si riunivano una volta al mese per andare a cena, così alla buona, al Connaught Rooms. Un ospite di riguardo doveva tenere una conferenza su un qualche argomento interessante. Dopo la conferenza seguiva un dibattito, spesso così interessante che la discussione continuava anche al bar a pianterreno. Siccome di solito facevamo tardi e per me non c'erano altri treni per tornare a Farnborough, avevo preso l'abitudine di portarmi il necessario per la notte e mi trattenevo in qualche albergo di Bloomsbury. Mia moglie lo sapeva, e se non tornavo a casa subito dopo la mezzanotte, voleva dire che pernottavo fuori. Una settimana dopo l'incontro con Lothar partecipai a una di quelle cene, finita la quale mi trattenni per conversare con alcuni amici. Quando passai dal guardaroba per ritirare la mia valigetta, la guardarobiera mi disse che l'avevo già ritirata. Inutilmente le mostrai la contromarca e protestai dicendo che non avevo ritirato un bel niente: la guardarobiera replicò che ero andato a ritirare la valigetta affermando di aver perso la contromarca e che, avendo dato nome e cognome, che corrispondevano a quelli scritti sull'etichetta della valigetta, m'aveva creduto e me l'aveva consegnata. Se poi volevo insistere, c'era la sua collega, pronta a testimoniare su quanto diceva. Immaginando che si fossero fatte abbindolare da un qualche ladro che mi somigliava, sporsi regolare reclamo, ma ormai si era fatto tardi e non potevo più prendere l'ultimo treno per tornare a casa. Dopo aver tentato in alcuni alberghi, tutti esauriti, trovai una stanza libera in uno nel quale

avevo pernottato soltanto un 'altra volta, e dormii senza pigiama. La mattina dopo, come facevo sempre in quei casi, dalla stazione di Farnborough andai in ufficio, senza passare da casa. A casa tornai a mezzogiorno, per pranzare. Invece di chiedermi come era andata la cena, come me l'ero passata la sera precedente, come faceva sempre in quelle occasioni, Dinah, che sprizzava gioia da tutti ì pori, mi buttò le braccia al collo e mormorò: «Caro, dovresti andarci più spesso a quelle cene coi col leghi, e tornare a casa per tempo come hai fatto ieri sera. Era dalla nostra luna di miele che non trascorrevo una notte così bella con te». Siccome mi teneva abbracciato e io le posavo il mento su una spalla, potei nasconderle la meraviglia che provai a quella uscita. Da sopra la sua spalla vidi nettamente la faccia di Lothar, che mi fissava e ghignava e la spiegazione mi fu subito chiara. Spacciandosi per me, mio fratello Lothar si era presentato a casa mia e aveva dormito con mia moglie. Ero furioso. Tuttavia, pensando a quel che avrebbe provato Dinah se le avessi rivelato la verità, mi trattenni e le dissi che la amavo tanto, che lei era la fonte d'ogni mia felicità. Più tardi trovai la mia valigetta in camera da letto. Insomma, Dinah non aveva sognato affatto, e io, intanto, sapevo che Lothar era venuto a casa mia e si era sostituito a me, che aveva dormito con mia moglie e aveva lasciato lì le mie cose come prova inconfutabile di quel che aveva fatto. Se aveva pensato di vendicarsi del mio rifiuto poteva ritenersi soddisfatto. M'aveva reso il più infelice degli uomini, m'aveva offeso in quel che avevo di più caro al mondo, ma se pensavo d'essermelo cavato di torno, m'ingannavo di grosso. Trascorsero tre settimane, durante le quali il bruciore per l'affronto subito era andato attenuandosi via via, e anche il pensiero dell'affronto indegno subito da Dinah si faceva meno assillante. Poi, una mattina, ricevetti una lettera da un avvocato, che mi citava come primo responsabile in una causa di divorzio. Siccome ero innocente, mi recai a Londra e andai a trovare l'avvocato per esigere una spiegazione. Me la diede, per filo e per segno. Poco dopo le diciotto del giorno in cui ero andato a cena coi miei colleghi, un certo signor Wilberforce m'aveva sorpreso in flagrante, e cioè a letto con sua moglie, nel loro appartamento di Bayswater. Il suddetto signore m'aveva affrontato e m'aveva costretto a confessare le mie generalità: nome, cognome e indirizzo, e la donna delle pulizie era pronta a giurare che non solo m'aveva fatto entrare in casa quella sera, ma che m'aveva

avevo pernottato soltanto un 'altra volta, e dormii senza pigiama.<br />

La mattina dopo, come facevo sempre in quei casi, dalla stazione di<br />

Farnborough andai in ufficio, senza passare da casa. A casa tornai a mezzogiorno,<br />

per pranzare. Invece di chiedermi come era andata la cena, come<br />

me l'ero passata la sera precedente, come faceva sempre in quelle occasioni,<br />

Dinah, che sprizzava gioia da tutti ì pori, mi buttò le braccia al<br />

collo e mormorò: «Caro, dovresti andarci più spesso a quelle cene coi col<br />

leghi, e tornare a casa per tempo come hai fatto ieri sera. Era dalla nostra<br />

luna di miele che non trascorrevo una notte così bella con te».<br />

Siccome mi teneva abbracciato e io le posavo il mento su una spalla, potei<br />

nasconderle la meraviglia che provai a quella uscita. Da sopra la sua<br />

spalla vidi <strong>net</strong>tamente la faccia di Lothar, che mi fissava e ghignava e la<br />

spiegazione mi fu subito chiara. Spacciandosi per me, mio fratello Lothar<br />

si era presentato a casa mia e aveva dormito con mia moglie.<br />

Ero furioso. Tuttavia, pensando a quel che avrebbe provato Dinah se le<br />

avessi rivelato la verità, mi trattenni e le dissi che la amavo tanto, che lei<br />

era la fonte d'ogni mia felicità. Più tardi trovai la mia valigetta in camera<br />

da letto. Insomma, Dinah non aveva sognato affatto, e io, intanto, sapevo<br />

che Lothar era venuto a casa mia e si era sostituito a me, che aveva dormito<br />

con mia moglie e aveva lasciato lì le mie cose come prova inconfutabile<br />

di quel che aveva fatto.<br />

Se aveva pensato di vendicarsi del mio rifiuto poteva ritenersi soddisfatto.<br />

M'aveva reso il più infelice degli uomini, m'aveva offeso in quel che avevo<br />

di più caro al mondo, ma se pensavo d'essermelo cavato di torno,<br />

m'ingannavo di grosso.<br />

Trascorsero tre settimane, durante le quali il bruciore per l'affronto subito<br />

era andato attenuandosi via via, e anche il pensiero dell'affronto indegno<br />

subito da Dinah si faceva meno assillante. Poi, una mattina, ricevetti<br />

una lettera da un avvocato, che mi citava come primo responsabile in<br />

una causa di divorzio.<br />

Siccome ero innocente, mi recai a Londra e andai a trovare l'avvocato<br />

per esigere una spiegazione. Me la diede, per filo e per segno.<br />

Poco dopo le diciotto del giorno in cui ero andato a cena coi miei colleghi,<br />

un certo signor Wilberforce m'aveva sorpreso in flagrante, e cioè a<br />

letto con sua moglie, nel loro appartamento di Bayswater. Il suddetto signore<br />

m'aveva affrontato e m'aveva costretto a confessare le mie generalità:<br />

nome, cognome e indirizzo, e la donna delle pulizie era pronta a giurare<br />

che non solo m'aveva fatto entrare in casa quella sera, ma che m'aveva

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