OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora
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II.1. LO STUDIO DELLE CERAMICHE COMUNI 11<br />
Trascurate in passato dagli archeologi, le <strong>ceramiche</strong><br />
<strong>comuni</strong> hanno ricevuto negli ultimi tempi<br />
maggiore attenzione giustificata dalla loro abbondanza<br />
e anche dal potenziale informativo che esse<br />
possiedono, soprattutto in campo tecnologico.<br />
Di fabbricazione spesso locale/regionale, le<br />
<strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> consentono di ricostruire il<br />
patrimonio delle conoscenze tecnologiche della<br />
società che le ha prodotte: danno informazioni<br />
sulla materia prima utilizzata - sovente si tratta di<br />
argille della zona - o sulle tecnologie produttive,<br />
sui modi di lavorazione e sulla cottura.<br />
In realtà il potenziale informativo di questa<br />
classe poco appariscente potrebbe essere sfruttato<br />
di più: ancora male si conoscono ad esempio quelle<br />
produzioni di alcune zone del bacino del Mediterraneo,<br />
destinate soprattutto alla cottura degli alimenti<br />
che, in epoca ellenistica e romana ma anche<br />
in età tardo-antica, sono state oggetto di esportazione<br />
e hanno avuto una distribuzione a lungo raggio.<br />
Mancano verifiche e studi sulle motivazioni<br />
economiche e tecnologiche che hanno causato la<br />
circolazione di alcune <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> al di fuori<br />
dell’area di origine: quali erano le principali aree<br />
di produzione? Quali caratterische ha la materia<br />
prima con cui sono state realizzate? Qual’è la tecnologia<br />
di fabbricazione (temperatura di cottura,<br />
coefficiente di dilatazione, resistenza a chocs meccanici<br />
e termici)? Solo queste informazioni potrebbero<br />
infatti aiutarci a ricostruire il patrimonio<br />
delle conoscenze tecnologiche di alcune zone e a<br />
capire meglio le motivazioni di una diffusione ad<br />
11 Non mi soffermerò sulla definizione <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> e<br />
sulla storia degli studi di tale classe ceramica, per la quale<br />
rimando ai miei precedenti lavori, con la bibliografia completa<br />
sulla classe (si veda in particolare Olcese 1993). La pubblicazione<br />
di lavori vecchi e recenti sulle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> di più aree<br />
geografiche, relative a periodi differenti, dimostra che esistono<br />
più definizioni della classe ceramica e che sono diversi i materiali<br />
che in essa vengono compresi. Queste diversità dipendono<br />
spesso dalla tradizione degli studi e dalla formazione degli<br />
archeologi, a seconda che si tratti di etruscologi, archeologi classici<br />
o medievisti. Questo fatto rende improbabile che si riesca ad<br />
Gloria Olcese 9<br />
II. LE CERAMICHE COMUNI DI ROMA E DELL’AREA ROMANA<br />
ampio raggio. <strong>Le</strong> prime indagini di carattere<br />
archeometrico che sono state effettuate su alcune<br />
di queste produzioni hanno dimostrato quanto<br />
possa essere utile approfondire, con approcci adeguati,<br />
lo studio di questa affascinante classe ceramica<br />
12.<br />
Altrettanto interessanti sono i risvolti dello<br />
studio della ceramica comune in ambito culturale<br />
e socio-economico. La scelta di alcune forme <strong>ceramiche</strong><br />
riflette abitudini alimentari e culturali,<br />
come bene ha dimostrato la pubblicazione delle<br />
<strong>ceramiche</strong> di Olbia in Provenza 13. La ceramica<br />
comune e, in modo particolare, alcune forme sono<br />
veri e propri indicatori culturali, nella misura in<br />
cui le società antiche hanno dato più o meno spazio<br />
a diversi contenitori e utensili. Si pensi ad esempio<br />
alla funzione e all’uso del mortarium, strumento<br />
quotidiano della batteria da cucina greca e del<br />
mondo ellenizzato, che non esiste o è poco utilizzato<br />
da alcune società. Oppure ai clibani, oggetto di<br />
studio in tempi recenti 14, che dovevano costituire<br />
un elemento indispensabile della cucina romana,<br />
per la cottura domestica sub testu del pane e di<br />
altri alimenti, documentati dall’epoca repubblicana<br />
al tardo antico e all’alto medioevo, con variazioni<br />
morfologiche a seconda della zona e dell’epoca.<br />
Manca una rilettura della ceramica da cucina<br />
italica in questa chiave; essa potrebbe darci molte<br />
informazioni ulteriori. Un primo importante<br />
passo, premessa indispensabile ad ulteriori ricerche<br />
e approfondimenti, resta però la classificazione<br />
tipologica delle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> tardo repubblicane<br />
e di età imperiale, che in area romanolaziale,<br />
come in molte altre, non esiste ancora.<br />
arrivare ad una uniformità di definizione. Si ritiene pertanto<br />
già un buon punto di partenza che si definiscano all’inizio del<br />
lavoro i propri intenti senza pretendere di arrivare ad una omogeneità<br />
di approccio. Seguendo la tradizione degli studi classici,<br />
come già avvenuto per lo studio delle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> di<br />
Albintimilium (Olcese 1993), si è considerata in questo lavoro<br />
sia la ceramica comune da cucina che quella da mensa.<br />
12 Blondé, Picon 2000.<br />
13 Bats 1988. Si veda anche Zifferero 2000, contributo relativo<br />
allo studio di <strong>ceramiche</strong> dell’epoca preromana.<br />
14 Cubberley 1995.