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OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

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70<br />

LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE)<br />

recipienti è invece tornita 326.<br />

I dati a disposizione per Albintimilium, ad<br />

esempio, ci rivelano che in area ligure le due tradizioni<br />

artigianali coesistono - sia quella caratterizzata<br />

dal modellamento manuale e dalla cottura di<br />

tipo riducente, sia quella introdotta dalla romanizzazione<br />

che prevede l’uso costante del tornio e<br />

della cottura in atmosfera ossidante - almeno fino<br />

alla prima età imperiale.<br />

3) Sostituzione/affiancamento della cottura in<br />

atmosfera riducente (in fossa?) con quella ossidante.<br />

Il fenomeno si riscontra in area ligure ad Albintimilium<br />

327, ad esempio, oppure in Gallia. A Lione,<br />

alle <strong>ceramiche</strong> cotte in atmosfera riducente - che<br />

costituiscono il 95 %, dei recipienti - si affiancano<br />

in età augustea quelle di colore rosso della tradizione<br />

italica 328.<br />

IX.3. ALCUNE LINEE DI RICERCA PER GLI STUDI<br />

CERAMOLOGICI IN AREA CENTRO-ITALICA<br />

I fenomeni precedentemente descritti sono<br />

stati rilevati in più aree, là dove lo studio archeologico<br />

tradizionale è stato affiancato da una indagine<br />

sulle tecnologie di fabbricazione.<br />

Allo studio dei cambiamenti artigianali provocati<br />

dalla romanizzazione in diverse aree del<br />

Mediterraneo non corrisponde un’adeguata conoscenza<br />

della genesi e dell’adozione di quelle stesse<br />

modalità artigianali e tecnologiche nelle aree di<br />

origine. Esistono fino ad ora pochi dati che ci permettono<br />

di dedurre qualcosa sulla nascita della<br />

tecnologica di fabbricazione di <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong><br />

(ma anche fini) in Italia, tecnologia che sarà poi<br />

esportata ovunque con la romanizzazione.<br />

Sarebbero utili più informazioni sulla produzione<br />

ceramica anche in epoca preromana, per<br />

poter confrontare e studiare i cambiamenti nella<br />

tecnologia. Tali dati sono disponibili solo in parte e<br />

per alcuni produzioni, ad esempio per il bucchero.<br />

Per conoscere e approfondire gli argomenti<br />

appena toccati in questo volume sono necessarie<br />

informazioni sulla morfologia e sulle caratteristiche<br />

tecniche dei recipienti ceramici, non sempre<br />

reperibili nelle pubblicazioni. I dati archeometrici,<br />

se ci sono, possono ovviamente essere di grande<br />

aiuto.<br />

L’artigianato ceramico romano sembra basarsi<br />

sulla cottura in atmosfera ossidante: fin dalle fasi<br />

più antiche si producono <strong>ceramiche</strong> cotte nel modo<br />

A, dalla colorazione compresa tra il beige e il rosso.<br />

Un salto qualitativo si percepisce proprio nella<br />

ceramica da cucina intorno alla fine del IV/III secolo,<br />

quando in Italia centro-meridionale si diffondono<br />

forme nuove - il tegame, ad esempio - e <strong>ceramiche</strong><br />

da cucina di qualità superiore: le <strong>ceramiche</strong><br />

326 Batigne 1997.<br />

327 Olcese 1993.<br />

sono tornite accuratamente, in alcuni casi le pareti<br />

sono sottili, le temperature di cottura sono più<br />

elevate, gli impasti fini, la cottura avviene in fornace<br />

e in atmosfera ossidante. Con tutta probabilità<br />

i ceramisti hanno sperimentato l’utilizzo di<br />

argille dalle caratteristiche particolari per la realizzazione<br />

di <strong>ceramiche</strong> da esporre al fuoco. Tutto<br />

fa pensare, anche se mancano dati sicuri, che stimoli<br />

nuovi al cambiamento, all’introduzione di tecnologie<br />

di fabbricazione mirate provengano dal<br />

contatto con il mondo greco, magnogreco e punico,<br />

anche attraverso la mediazione della Campania.<br />

In seguito a questi contatti, probabilmente, prende<br />

avvio anche l’introduzione di alcune forme, come<br />

ad esempio il caccabus.<br />

Questi, insieme ad altri argomenti, quali la<br />

localizzazione dei centri di produzione, le modalità<br />

di avvio e funzionamento delle officine, la diffusione<br />

dei modelli e la circolazione dei recipienti meritano<br />

ricerche approfondite e progetti adeguati,<br />

soprattutto in Italia centro-meridionale.<br />

Queste ultime osservazioni impongono che si<br />

affronti, se pur per sommi capi, il significato e il<br />

peso che la ricerca archeologica presente e futura<br />

vorrà dare agli studi ceramologici. Tali studi,<br />

nonostante offrano un aiuto fondamentale in<br />

diversi ambiti, dalla datazione alla ricostruzione<br />

dell’economia, sono visti spesso come un ramo<br />

“minoritario” e talora anche un po’ sterile dell’archeologia,<br />

comunque raramente in grado di produrre<br />

ricerche di ampio respiro. Anche se la consultazione<br />

di alcune pubblicazioni potrebbe indurre<br />

ad avvallare tale giudizio, non si può non<br />

ammettere che gli studi sulla cultura materiale<br />

siano stati un po’ abbandonati ultimamente anche<br />

da coloro che negli ultimi decenni del XX secolo li<br />

avevano considerati uno dei punti prioritari della<br />

moderna ricerca archeologica e che comunque lo<br />

sforzo propositivo iniziale di buona parte dell’archeologia<br />

italiana in questo campo non si sia poi<br />

realizzato compiutamente. L’indagine sulle <strong>ceramiche</strong><br />

ha subito in questi ultimi anni un rallentamento,<br />

ripiegandosi e cristallizzandosi in una<br />

serie di procedure -soprattutto classificatorie - che<br />

si traducono in tabelle che fanno riferimento ai<br />

principali corpora ceramologici esistenti, anch’essi<br />

spesso incompleti o limitati ad alcune produzioni.<br />

Mancano però studi di insieme che tirino le fila di<br />

tanti dati e che li colleghino tra loro e li interpretino,<br />

ritornando con una risposta ai quesiti storico<br />

economici che avevano giustificato l’avvio di tali<br />

ricerche. Gli studi sono ancora molto scollegati tra<br />

loro, frantumati per classi e circoscritti ad un<br />

ambito molto locale. In sostanza, in molti casi, ci si<br />

è fermati a quello che doveva essere il primo gradino<br />

della ricerca, quello della registrazione di pre-<br />

328 Batigne 1997, p. 75.

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