OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

immensaaequora.org
from immensaaequora.org More from this publisher
30.01.2013 Views

66 LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE) IX. ARTIGIANATO CERAMICO E TECNOLOGIA ITALICA NEL MEDITERRANEO IX.1.LA CIRCOLAZIONE DELLE CERAMICHE COMUNI ITALICHE NEL MEDITERRANEO I frequenti contatti economici tra l’area centroitalica e diverse zone del Mediterraneo hanno causato l’esportazione, casuale o voluta, anche di ceramiche comuni. Solitamente si dedica un’attenzione maggiore alla distribuzione delle ceramiche fini e delle anfore, contenitori che consentono la ricostruzione dei contatti a medio e lungo raggio tra aree geografiche differenti. Ricontrollando le pubblicazioni delle ceramiche fini è possibile raccogliere dati interessanti anche per le ceramiche comuni, la cui circolazione, almeno in alcuni periodi o in aree specifiche, pare essere troppo abbondante per essere dovuta al caso 290. La circolazione della ceramica comune è di grande interesse perchè consente la ricostruzione dei movimenti delle merci in area locale, a corto e medio raggio; in alcuni casi va a completare e chiarire ulteriormente i contatti a lungo raggio. Di tale circolazione, avvenuta anche via mare e documentata in diverse epoche, rimane traccia in numerosi siti del Mediterraneo occidentale e nei relitti di epoca romana. Sulle motivazioni di questa circolazione, l’ipotesi avanzata più spesso è quella che considera le ceramiche comuni centro-sud italiche come merce di accompagno delle produzioni fini e delle anfore vinarie nel periodo di massima espansione dell’economia italica. A tali motivazioni se ne aggiungono anche altre di carattere tecnologico che vedono nella qualità e nella resistenza di alcune ceramiche da cucina di origine tirrenica centromeridionale - come già notato per le ceramiche comuni di altre aree geografiche e di altri periodi - una possibile ragione della loro esportazione a largo raggio 291. 290 Va ricordato che i ritrovamenti su cui ci si basa per le ricerche rappresentano spesso la punta di un iceberg, la cui parte sommersa è andata perduta o deve essere ancora scoperta. 291 Picon, Olcese 1995; Olcese 1996a. 292 A tale proposito si ricordano le ceramiche africane da cucina, le ceramiche di Pantelleria, solo per fare alcuni esempi, oppure le ceramiche comuni della zona di Focea, in epoca La maggior parte delle ceramiche comuni di età romana sono state prodotte là dove sono state rinvenute; ma l’intensificarsi delle ricerche consente di notare sempre più spesso che le ceramiche comuni di epoche diverse hanno anche circolato 292. Già la ceramica comune etrusca e di tradizione etrusca, ad esempio, è stata esportata, come è documentato dai numerosi rinvenimenti della costa ligure e provenzale 293, oltre che dal relitto etrusco di Antibes 294. In età tardo repubblicana e nella prima età imperiale spesso sono gli stessi tipi a circolare, quelli prodotti probabilmente in alcune officine “industriali” o in gruppi di officine, attive in aree particolari per posizione logistica, sia di mercato che geologica. Le informazioni più numerose che possediamo riguardano la distribuzione delle ceramiche comuni genericamente definite “italiche” di età romana (repubblicane e di prima età imperiale) nel Mediterraneo occidentale, in modo particolare in Gallia meridionale e in Spagna 295. Proprio alla Spagna si riferisce la maggior parte delle osservazioni di questo paragrafo, poiché la ceramica comune italica rinvenuta nella Penisola iberica è stata oggetto di studi mirati negli ultimi anni. Con “ceramiche comuni italiche” nelle pubblicazioni francesi o spagnole, ma anche di altri paesi, si indicano solitamente produzioni dell’Italia centro-meridionale tirrenica. Spesso si tratta di ceramiche facilmente individuabili e separabili dalle produzioni locali che per caratteristiche formali e tecnologiche, associate a impasti contenenti materiale di origine vulcanica, si distinguono dalle produzioni locali. Le aree di origine delle ceramiche comuni esportate nel Mediterraneo occidentale, in Spagna ad esempio, sembrano essere principalmente tre, repubblicana e imperiale, Hayes 2000, p. 292, fig. 18. O ancora le ceramiche da cucina di area egea, documentate sia in età imperiale che durante l’epoca tardoantica. 293 Dicocer 1993, p. 343. 294 Boulomié 1982. 295 Bats 1988; Guerrero 1988; Aguarod Otal 1991 e 1995; Ceramica comuna 1995; Arqueomediterrania 1998.

l’Etruria meridionale, il Lazio e la Campania, anche se talora la distinzione tra le diverse produzioni crea problemi 296. Le analisi di laboratorio effettuate dimostrano che è possibile distinguere in base alle composizioni chimiche le ceramiche comuni di Roma e della Valle del Tevere da quelle prodotte nella zona a sud-est di Roma e in Campania (capitolo VII.5). Un riesame dei materiali editi – da siti terrestri e sottomarini – alla luce delle nuove acquisizioni dovrebbe consentire di stabilire delle linee di tendenza nelle direttrici commerciali (area di origine dei contenitori/ area di destinazione), riesame a cui lo studio delle ceramiche comuni potrebbe apportare un utile contributo. Meno documentata, per penuria di relitti o per mancanza di indagini mirate, è la diffusione della ceramiche comuni italiche nel Mediterraneo orientale, per cui esistono notizie di attestazioni, ad esempio tra i materiali di Corinto o di Cipro 297. Testimonianze della presenza di comuni italiche in area nord-africana sono note da tempo grazie agli scavi di Cartagine 298 o di Berenice 299, per citare solo alcuni degli studi più conosciuti. Se restringiamo le nostre osservazioni alla circolazione delle ceramiche comuni di origine centro italica esportate via mare nel Mediterraneo occidentale, dati di primaria importanza ci vengono proprio dalle ricerche condotte nella Francia meridionale e in Spagna, oltre che da alcuni relitti che sono un importante punto di riferimento: quello della Madrague de Giens e il Dramont D, per citare alcuni dei principali che avevano a bordo un carico originario - del tutto o in parte - dell’area centro-italica (area romano-laziale) 300. Per altri relitti, come quello di Albenga 301 datato al periodo compreso tra il 100 e l’80 a.C., è attualmente più complesso arrivare ad una ipotesi di localizzazione precisa dell’origine della ceramica comune da cucina, che appare comunque ben rientrare nel panorama dei tipi diffusi in Italia centro-meridionale tirrenica. 296 A questo proposito va detto che mancano lavori di caratterizzazione delle diverse produzioni nelle zone di origine che potrebbero facilitare il lavoro degli archeologi che operano al di fuori dell’Italia e che spesso si imbattono in ceramiche di origine italica. Vengono di solito attribuite al Lazio, sulla base dei confronti e di analisi di laboratorio (mineralogiche principalmente) le olle a mandorla del tipo 3 di questo lavoro, alcune pentole a tesa e i mortaria tipo Dramont 1 e 2. 297 Si vedano a questo proposito i contributi di J. Hayes, Hayes 1977 e Hayes 2000, con bibliografia precedente. 298 Fulford, Peacock 1984, p. 54. Si tratta principalmente di ceramiche di origine campana, documentate in età augustea. 299 Riley 1981. 300 Per la bibliografia essenziale relativa a questi relitti si veda il paragrafo VI.1, oltre che Parker 1992. Va ricordato anche il relitto di Spargi, importante per la datazione di tipi specifici di origine centro-italica, come l’olla a mandorla. Gloria Olcese 67 Il relitto della Madrague de Giens (60-50 a.C.), il cui carico è costituito da anfore Dressel 1B destinate al trasporto del vino (il caecubum), ceramica a vernice nera tipo campana B e ceramica da cucina 302. Quest’ultima è stata rinvenuta in quantità ingenti (1481 frammenti su 1977) e costituiva indubbiamente una parte del carico. Quattro forme si ripetono: tegame, piatto coperchio, pentola a tesa (tipo 2 di questo lavoro) e coperchio, tutti destinati alla cottura e omogenei negli impasti (le pentole a tesa sono riunite nella fig. 28). Frammenti di pentole a tesa molto simili a quelle rinvenute sul relitto della Madrague de Giens sono stati ritrovati durante le prospezioni effettuate nella zona di Fondi (S. Anastasia) nei pressi di Terracina, zona di probabile origine del carico delle anfore; a sostegno di queste ipotesi c’è la somiglianza di impasto delle pentole e delle anfore 303. Pentole del tipo 2 sono ampiamente documentate a Roma e in area romana, soprattutto in età augustea. Il relitto del Dramont D appartiene ad una nave naufragata intorno al 40-50 d.C. a San Rafael (Île d’Or) nella Francia meridionale 304. Il carico è costituito principalmente da mortaria (la maggior parte con bolli delle figlinae Marcianae) 305 e da anfore. Tra la ceramica comune si individuano alcune forme/tipi ampiamente attestati nel Lazio. Attribuibili con tutta probabilità ad officine della regione 306 ci sono numerose pentole a tesa 307 (riportabili ai tipi 2-5 del catalogo), alcune olle 308, tra cui il tipo 8 della ceramica da cucina, che conteneva una sostanza simile alla semola (fig. 38 che riunisce alcuni tipi in ceramica comune del relitto Dramont D). Tra le ceramiche da mensa/contenimento è documentato un tipo che ricorda la brocca tipo 4 309. Presente tra le comuni del Dramont D anche l’olpe tipo 2, documentata in altri siti del Mediterraneo occidentale, tra cui Albintimilium. In base ai dati editi, le ceramiche comuni centro/sud-italiche esportate sono riportabili fonda- 302 Tchernia et al. 1978; Hesnard 1977. 303 Si veda la nota precedente. Per le analisi di laboratorio delle anfore e i risultati della prospezioni si vedano anche Hesnard, Lemoine 1981; Hesnard et al. 1989; Thierrin Michael 1992. 301 Per la bibliografia si veda Parker 1992 e supra. 304 Joncheray 1972, 1973, 1974; Parker 1992, p. 167. 305 Hartley 1973. 306 La brocca tipo 4 è prodotta, tra le altre, dall’officina di Sutri (si veda il catalogo). Per alcuni tipi esiste la possibilità di fabbricazione anche in officine campane (ad esempio la brocca tipo 4 o l’olla tipo 8). 307 Joncheray 1974, p. 37, tav. IV. 308 Joncheray 1974, tav. V e. 309 Joncheray 1974, tav. V a. Il tipo è conosciuto nel formato più grande anche al di fuori del Lazio, ad esempio tra le ceramiche di Albintimilium, negli strati di età augustea, Olcese 1993, p. 289, fig. 74, n. 322.

l’Etruria meridionale, il Lazio e la Campania,<br />

anche se talora la distinzione tra le diverse produzioni<br />

crea problemi 296. <strong>Le</strong> analisi di laboratorio<br />

effettuate dimostrano che è possibile distinguere<br />

in base alle composizioni chimiche le <strong>ceramiche</strong><br />

<strong>comuni</strong> di <strong>Roma</strong> e della Valle del Tevere da quelle<br />

prodotte nella zona a sud-est di <strong>Roma</strong> e in Campania<br />

(capitolo VII.5).<br />

Un riesame dei materiali editi – da siti terrestri<br />

e sottomarini – alla luce delle nuove acquisizioni<br />

dovrebbe consentire di stabilire delle linee di<br />

tendenza nelle direttrici commerciali (area di origine<br />

dei contenitori/ area di destinazione), riesame<br />

a cui lo studio delle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> potrebbe<br />

apportare un utile contributo.<br />

Meno documentata, per penuria di relitti o per<br />

mancanza di indagini mirate, è la diffusione della<br />

<strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> italiche nel Mediterraneo orientale,<br />

per cui esistono notizie di attestazioni, ad<br />

esempio tra i materiali di Corinto o di Cipro 297.<br />

Testimonianze della presenza di <strong>comuni</strong> italiche<br />

in area nord-africana sono note da tempo grazie<br />

agli scavi di Cartagine 298 o di Berenice 299, per citare<br />

solo alcuni degli studi più conosciuti.<br />

Se restringiamo le nostre osservazioni alla circolazione<br />

delle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> di origine centro<br />

italica esportate via mare nel Mediterraneo occidentale,<br />

dati di primaria importanza ci vengono<br />

proprio dalle ricerche condotte nella Francia meridionale<br />

e in Spagna, oltre che da alcuni relitti che<br />

sono un importante punto di riferimento: quello<br />

della Madrague de Giens e il Dramont D, per citare<br />

alcuni dei principali che avevano a bordo un<br />

carico originario - del tutto o in parte - dell’area<br />

centro-italica (area romano-laziale) 300. Per altri<br />

relitti, come quello di Albenga 301 datato al periodo<br />

compreso tra il 100 e l’80 a.C., è attualmente più<br />

complesso arrivare ad una ipotesi di localizzazione<br />

precisa dell’origine della ceramica comune da cucina,<br />

che appare comunque ben rientrare nel panorama<br />

dei tipi diffusi in Italia centro-meridionale<br />

tirrenica.<br />

296 A questo proposito va detto che mancano lavori di caratterizzazione<br />

delle diverse produzioni nelle zone di origine che<br />

potrebbero facilitare il lavoro degli archeologi che operano al di<br />

fuori dell’Italia e che spesso si imbattono in <strong>ceramiche</strong> di origine<br />

italica.<br />

Vengono di solito attribuite al Lazio, sulla base dei confronti e<br />

di analisi di laboratorio (mineralogiche principalmente) le olle<br />

a mandorla del tipo 3 di questo lavoro, alcune pentole a tesa e i<br />

mortaria tipo Dramont 1 e 2.<br />

297 Si vedano a questo proposito i contributi di J. Hayes, Hayes<br />

1977 e Hayes 2000, con bibliografia precedente.<br />

298 Fulford, Peacock 1984, p. 54. Si tratta principalmente di<br />

<strong>ceramiche</strong> di origine campana, documentate in età augustea.<br />

299 Riley 1981.<br />

300 Per la bibliografia essenziale relativa a questi relitti si veda<br />

il paragrafo VI.1, oltre che Parker 1992. Va ricordato anche il<br />

relitto di Spargi, importante per la datazione di tipi specifici di<br />

origine centro-italica, come l’olla a mandorla.<br />

Gloria Olcese 67<br />

Il relitto della Madrague de Giens (60-50 a.C.),<br />

il cui carico è costituito da anfore Dressel 1B destinate<br />

al trasporto del vino (il caecubum), ceramica<br />

a vernice nera tipo campana B e ceramica da cucina<br />

302. Quest’ultima è stata rinvenuta in quantità<br />

ingenti (1481 frammenti su 1977) e costituiva<br />

indubbiamente una parte del carico. Quattro<br />

forme si ripetono: tegame, piatto coperchio, pentola<br />

a tesa (tipo 2 di questo lavoro) e coperchio, tutti<br />

destinati alla cottura e omogenei negli impasti (le<br />

pentole a tesa sono riunite nella fig. 28). Frammenti<br />

di pentole a tesa molto simili a quelle rinvenute<br />

sul relitto della Madrague de Giens sono stati<br />

ritrovati durante le prospezioni effettuate nella<br />

zona di Fondi (S. Anastasia) nei pressi di Terracina,<br />

zona di probabile origine del carico delle anfore;<br />

a sostegno di queste ipotesi c’è la somiglianza di<br />

impasto delle pentole e delle anfore 303. Pentole del<br />

tipo 2 sono ampiamente documentate a <strong>Roma</strong> e in<br />

area romana, soprattutto in età augustea.<br />

Il relitto del Dramont D appartiene ad una<br />

nave naufragata intorno al 40-50 d.C. a San Rafael<br />

(Île d’Or) nella Francia meridionale 304. Il carico è<br />

costituito principalmente da mortaria (la maggior<br />

parte con bolli delle figlinae Marcianae) 305 e da<br />

anfore. Tra la ceramica comune si individuano<br />

alcune forme/tipi ampiamente attestati nel Lazio.<br />

Attribuibili con tutta probabilità ad officine della<br />

regione 306 ci sono numerose pentole a tesa 307<br />

(riportabili ai tipi 2-5 del catalogo), alcune olle 308,<br />

tra cui il tipo 8 della ceramica da cucina, che conteneva<br />

una sostanza simile alla semola (fig. 38 che<br />

riunisce alcuni tipi in ceramica comune del relitto<br />

Dramont D).<br />

Tra le <strong>ceramiche</strong> da mensa/contenimento è<br />

documentato un tipo che ricorda la brocca tipo<br />

4 309. Presente tra le <strong>comuni</strong> del Dramont D anche<br />

l’olpe tipo 2, documentata in altri siti del Mediterraneo<br />

occidentale, tra cui Albintimilium.<br />

In base ai dati editi, le <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> centro/sud-italiche<br />

esportate sono riportabili fonda-<br />

302 Tchernia et al. 1978; Hesnard 1977.<br />

303 Si veda la nota precedente. Per le analisi di laboratorio delle<br />

anfore e i risultati della prospezioni si vedano anche Hesnard,<br />

<strong>Le</strong>moine 1981; Hesnard et al. 1989; Thierrin Michael 1992.<br />

301 Per la bibliografia si veda Parker 1992 e supra.<br />

304 Joncheray 1972, 1973, 1974; Parker 1992, p. 167.<br />

305 Hartley 1973.<br />

306 La brocca tipo 4 è prodotta, tra le altre, dall’officina di Sutri<br />

(si veda il catalogo). Per alcuni tipi esiste la possibilità di fabbricazione<br />

anche in officine campane (ad esempio la brocca tipo<br />

4 o l’olla tipo 8).<br />

307 Joncheray 1974, p. 37, tav. IV.<br />

308 Joncheray 1974, tav. V e.<br />

309 Joncheray 1974, tav. V a. Il tipo è conosciuto nel formato più<br />

grande anche al di fuori del Lazio, ad esempio tra le <strong>ceramiche</strong><br />

di Albintimilium, negli strati di età augustea, Olcese 1993, p.<br />

289, fig. 74, n. 322.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!