30.01.2013 Views

OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

64<br />

LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE)<br />

Fino ad ora sono pochi i casi di studio delle<br />

<strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong>, con i metodi dell’archeologia e<br />

dell’archeometria, tesi a comprendere l’organizzazione<br />

dell’artigianato e le tecniche di una zona geograficamente<br />

ampia. Un esempio innovativo in<br />

questo senso è lo studio archeologico e archeometrico<br />

effettuato sulle <strong>ceramiche</strong> di IV secolo nel<br />

nord-est della Grecia 271 oppure quello condotto<br />

sulle <strong>ceramiche</strong> della Graufesenque, nella Francia<br />

meridionale 272. Lo studio delle <strong>ceramiche</strong> dell’Egeo<br />

orientale ha permesso di stabilire che nella<br />

maggior parte delle officine si producevano <strong>ceramiche</strong><br />

da cucina e da mensa; un numero limitato di<br />

<strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> proviene anche da officine di<br />

<strong>ceramiche</strong> a vernice nera. Il duplice aspetto della<br />

produzione delle <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> viene interpretato<br />

con il carattere della classe, adattabile a<br />

schemi produttivi molto diversi.<br />

Per il Lazio disponiamo solo dei dati archeometrici<br />

realizzati nell’ambito di questo lavoro 273. <strong>Le</strong><br />

analisi di laboratorio delle <strong>ceramiche</strong> calcaree di<br />

<strong>Roma</strong> e dell’area romana hanno permesso di stabilire<br />

che le composizioni delle <strong>ceramiche</strong> da mensa<br />

sono simili a quelle delle <strong>ceramiche</strong> a vernice nera,<br />

tanto da far pensare in alcuni casi ad una produzione<br />

nell’ambito delle stesse officine. Argille dalle<br />

composizioni diverse sono state invece utilizzate<br />

per le <strong>ceramiche</strong> fini (le terre sigillate) e per le<br />

<strong>ceramiche</strong> da cucina; queste ultime provengono<br />

prevalentemente dalle ignimbriti 274.<br />

<strong>Le</strong> analisi di laboratorio hanno contribuito ad<br />

isolare e a caratterizzare le <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> di<br />

<strong>Roma</strong>/Valle del Tevere (tabelle 5 e 7).<br />

Dall’epoca ellenistica circolano nel Mediterraneo<br />

<strong>ceramiche</strong> da cucina prodotte in Italia centromeridionale<br />

- in particolare quelle dell’Etruria<br />

meridionale, del Lazio e della Campania - realizzate<br />

con argille vulcaniche e che denotano una tradizione<br />

artigianale simile. Si tratta di <strong>ceramiche</strong> di<br />

qualità, fabbricate forse in seguito alla diffusione<br />

di tecniche artigianali che hanno modificato il<br />

modo di fare ceramica delle epoche precedenti.<br />

Non sappiamo per ora collocare cronologicamente<br />

e geograficamente tale fenomeno, che si rivela però<br />

ricco di conseguenze.<br />

Anche le <strong>ceramiche</strong> da mensa assumono in<br />

epoca repubblicana delle caratteristiche - di chiara<br />

derivazione greca e magnogreca - che resteranno<br />

poi a connotare la produzione ceramica da mensa<br />

“romana”: l’utilizzo di argille calcaree, ad esempio,<br />

che originano <strong>ceramiche</strong> dal beige al rosso e che<br />

corrispondono ad un gusto preciso, oppure l’utilizzo<br />

del tornio e la cottura in atmosfera ossidante.<br />

271 Blondé, Picon 2000, p. 177.<br />

272 Picon 1992-1993; Picon 1997; Picon 2002.<br />

273 I dati ottenuti dal Peña con il metodo della attivazione neutronica<br />

(Peña 1987), circoscritti ad alcune aree dell’Etruria<br />

tiberina, sono solo in parte confrontabili con quelli della fluorescenza<br />

a raggi x.<br />

274 Si veda il testo di Picon, supra.<br />

VIII.4. CERAMICA COMUNE E ECONOMIA<br />

Il fine di questo breve paragrafo non è quello di<br />

sviluppare un tema complesso come quello della<br />

ceramica nell’ambito dell’economia romana, argomento<br />

già oggetto di numerosi contributi 275, bensì<br />

quello di proporre qualche osservazione e spunto<br />

di ricerca sulla ceramica comune del Lazio.<br />

Pare ormai assodato che la ceramica, anche quella<br />

più ordinaria, possa essere usata per illuminare<br />

aspetti dell’economia romana. Come è stato sottolineato<br />

dal Peacock “ogni valutazione del commercio<br />

romano fatto grazie all’archeologia dipende in larga<br />

misura dai dati forniti dalla ceramica” 276, anche se è<br />

opportuno ricordare il peso ridotto dell’industria<br />

ceramica nel sistema economico romano 277.<br />

La ceramica costituisce un indicatore della frequentazione<br />

di alcuni assi commerciali, proprio<br />

perché si è conservata fino ai giorni nostri e i cocci<br />

restano a testimoniare i percorsi delle derrate alimentari<br />

ormai perdute. Quindi, lo studio della circolazione<br />

delle <strong>ceramiche</strong>, soprattutto se supportato<br />

da altri approcci di studio, come quello delle<br />

analisi di laboratorio, è uno strumento insostituibile<br />

per valutare aspetti dell’economia romana, tra<br />

cui la produzione, la circolazione e il commercio.<br />

In tal senso le <strong>ceramiche</strong> <strong>comuni</strong> hanno potenzialità<br />

fino ad ora poco sfruttate, ad esempio quelle<br />

di dare informazioni su aspetti connessi alla<br />

sfera della produzione e della tecnologia, ma anche<br />

di fornire dati sulla situazione economica locale /<br />

regionale, oppure sulla circolazione dei prodotti a<br />

lungo raggio, in altro modo difficilmente ottenibili.<br />

Nel caso dell’area di <strong>Roma</strong>, grazie allo studio<br />

archeologico e archeometrico delle <strong>ceramiche</strong><br />

<strong>comuni</strong>, è stato possibile incominciare a mettere a<br />

fuoco più chiaramente l’esistenza in età tardorepubblicana<br />

e nella prima età imperiale di un “comprensorio”<br />

produttivo definito, quello di <strong>Roma</strong> /<br />

Valle del Tevere, in cui officine di diversa entità e<br />

struttura producevano per un mercato locale /<br />

regionale e per la città, sfruttando la situazione<br />

geologica favorevole e il trasporto fluviale. Sul<br />

Tevere nell’antichità esistono numerosi<br />

contributi 278 mentre molto meno si sa sulla situazione<br />

geologica della zona in rapporto all’impianto<br />

di officine <strong>ceramiche</strong> nel corso dei secoli (l’argomento<br />

è stato trattato per sommi capi in questo<br />

lavoro). Lo studio delle fonti e dei toponimi legati<br />

ad estrazione di argilla e produzione di ceramica<br />

consente comunque di rendersi conto dell’importanza<br />

dell’attività manifatturiera in quest’area<br />

nel corso del tempo (fig. 35) 279.<br />

275 A titolo di esempio si ricorda il testo insostituibile del Peacock<br />

1997, in particolare alle pp. 191 e seguenti dove si riassumono<br />

alcuni temi fondamentali.<br />

276 Peacock 1997, p. 196.<br />

277 Si vedano a questo proposito le osservazioni in Morel 1985.<br />

278 Ad esempio, <strong>Le</strong> Gall 1953; Il Tevere e le altre vie d’acqua nel<br />

Lazio antico 1986.<br />

279 Güll 1997, p. 567, tav. 3.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!