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OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

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42<br />

bronzo come forni portatili per la cottura del pane<br />

e di focacce 197. A <strong>Roma</strong> e nel Latium vetus si tratta<br />

di testi tronco-conici con quattro prese triangolari<br />

e fori di sfiato, la cui morfologia presenta delle<br />

caratteristiche peculiari tra VII e V secolo a.C. e V-<br />

III secolo a.C. 198. A seconda dell’area tale recipiente<br />

ha delle peculiarità distintive. Recipienti molto<br />

simili ai clibani si ritrovano inoltre tra le <strong>ceramiche</strong><br />

fenicio-puniche di Cartagine del VII secolo<br />

a.C. 199.<br />

Analisi<br />

La forma è documentata tra i materiali del<br />

gruppo <strong>Roma</strong> / Valle del Tevere (R367).<br />

VI.4. PATINA (tegami tipi 1-3) (Tavv. XIV-XV)<br />

Cronologia e uso<br />

LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE)<br />

Un recipiente per la cottura soprattutto del<br />

pesce (patinarius - cotto nella patina) è ricordato<br />

da Plauto 200; gli ingredienti, in un primo momento<br />

cotti o grigliati o bolliti in altri recipienti, vengono<br />

poi messi a cuocere nella patina in una salsa (sul<br />

fuoco o in forno).<br />

Il tegame tipo 1 appare a <strong>Roma</strong> dalla fine del<br />

IV secolo a.C. ed è documentato anche nel III secolo<br />

a.C.; nel sito di La Giostra è attestato dal tardo<br />

IV alla seconda metà del III secolo a.C. 201.<br />

Il tipo 3, il tegame ad orlo bifido, è il tegame<br />

conosciuto in molti siti del Mediterraneo occidentale<br />

tra la tarda età repubblicana e la prima età<br />

imperiale 202. Spesso è realizzato con l’impasto<br />

caratteristico 203 che lo connota come prodotto delle<br />

officine campane. È possibile che questo tipo fosse<br />

prodotto anche in alcune officine del Lazio/Etruria,<br />

anche se, in base ai contesti di Ostia e<br />

<strong>Roma</strong>/Pendici settentrionali del Palatino, sembra<br />

che fossero diffusi soprattutto i tegami di origine<br />

campana 204.<br />

197 Cubberley, Lloyd, Roberts 1988.<br />

198 Ziffererero 2000, pp. 152 e ss.<br />

199 Si veda la nota 105.<br />

200 Bats 1988, pp. 67-68.<br />

201 Si veda la scheda di catalogo.<br />

202 A titolo di esempio si vedano i dati archeologici e archeometrici<br />

relativi ai tegami ad orlo bifido di Albintimilium, tipo<br />

115/116, Olcese 1993, pp. 27, 224; Ead. 1996a, p. 428.<br />

203 Peacok 1977, fabric 1, Albintimilium impasto 15 (Olcese<br />

1993).<br />

204 A Ostia i tegami del tipo 3 sono tutti di importazione campana<br />

(tabella e testo Coletti).<br />

205 Coletti, dati inediti relativi all’area NE delle Terme del<br />

Nuotatore. Se non si tratta di materiali residui, il fenomeno<br />

dimostra che il tipo era ancora in produzione e circolava nel II<br />

secolo d.C.<br />

Lo studio del Di Giovanni della ceramica da cucina di Pompei<br />

aveva portato a ipotizzare che la produzione si arrestasse tra la<br />

fine del I secolo d.C. e la prima metà del II secolo d.C. (in base ai<br />

confronti con i dati di Ostia e Benghazi), pur contemplando la<br />

Un elemento interessante relativo alla cronologia<br />

risulta proprio dai dati quantitativi di Ostia, in<br />

particolare da quelli inediti: il tegame ad orlo bifido<br />

campano è ancora ben attestato nella seconda<br />

metà del II secolo d.C. 205.<br />

Origine e diffusione<br />

Secondo il Bats, il tegame avvicinabile al tipo 1<br />

di questo lavoro (typ B, plat à four) non è un recipiente<br />

greco, poiché appare ad Atene solo alla fine<br />

del II secolo a.C., forse importato, mentre è documentato<br />

a Cosa nei depositi più antichi e a Bolsena<br />

intorno alla metà del III secolo a.C. Il Bats si<br />

chiede se questa forma non sia in realtà originaria<br />

dell’Italia centrale 206.<br />

Il tipo è attestato nell’area confinante con la<br />

Campania (Minturno, metà del III secolo a.C.<br />

circa) e nella stessa Campania (Ischia) in età ellenistica.<br />

Tipi analoghi sono documentati in Magna<br />

Grecia e Sicilia, sempre con una cronologia prevalente<br />

di seconda metà del IV-III secolo a.C.<br />

Recipienti molto simili sono documentati sulle<br />

navi dei mercanti punici, ad esempio sul relitto di<br />

El Sec (il cui naufragio è datato al periodo 350-325<br />

a.C.) 207; a Cartagine la forma è attestata con frequenza,<br />

tanto da far pensare che possa essere prodotta<br />

in un primo tempo in “alfares punicos centromeditérraneos”<br />

208; lo stesso modello sarebbe<br />

stato prodotto poi in diverse officine del Mediterraneo<br />

occidentale 209, alcune delle quali erano attive<br />

con tutta probabilità in Italia centro-meridionale<br />

210.<br />

Il tipo 3, prodotto soprattutto dalle officine<br />

campane ma forse anche in altre zone dell’Italia<br />

centrale, ha avuto una diffusione “internazionale”<br />

che coinvolge sia il Mediterraneo occidentale che<br />

quello orientale (quest’ultimo intorno al 100<br />

d.C.) 211.<br />

possibilità di una continuazione della produzione. Lo stesso<br />

Autore riportava il dato di un tegame ad orlo bifido in un contesto<br />

della prima metà del II secolo d.C. a Cratere Senga (Di Giovanni<br />

1996, p. 79). Del resto anche la produzione dei tegami a<br />

vernice rossa interna, ad esempio quelli delle officine di Cuma,<br />

pare continuare anche oltre il I secolo d.C.: si veda a questo proposito<br />

E. Chiosi, Cuma: una produzione di ceramica a vernice<br />

rossa interna, in: Céramiques communes de Campanie et de<br />

Narbonnaise 1996, pp. 225-233.<br />

206 Bats 1988, p. 69.<br />

207 Arribas et al. 1987.<br />

208 Guerrero 1998.<br />

209 Guerrero 1998, tipo B-2, “cazuelas de labio moldurado y<br />

paredes convexas”.<br />

210 Una produzione in area campana (probabilmente nella<br />

zona del Golfo di Napoli) è stata individuata da chi scrive<br />

durante lo studio delle <strong>ceramiche</strong> da cucina di Ischia-Lacco<br />

Ameno (dati inediti).<br />

211 Per la diffusione del tipo 3, Olcese 1993, pp. 127, 224; Ead.<br />

1996a, p. 428; per il Mediterraneo orientale, Hayes 1997; Id.<br />

2000, p. 288, fig. 6.

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