OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora
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LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE)<br />
prodotto probabilmente nelle fornaci di Vasanello,<br />
attive in età augustea.<br />
In base ai dati editi a nostra disposizione, sembra<br />
trattarsi di uno dei tipi più antichi di pentola a<br />
tesa, che compare in area romana nella tarda età<br />
repubblicana, forse già nel corso del II secolo a.C.,<br />
ad esempio a Veio Campetti dal II secolo a.C. e a<br />
Gabii dove è caratteristico del II secolo a.C., pur<br />
essendo presente anche nel I secolo a.C. 188. A<br />
<strong>Roma</strong> è presente nei contesti augustei delle pendici<br />
settentrionali del Palatino e del Tempio della<br />
Concordia (si veda il catalogo). Ad Ostia è attestato<br />
in quantità modeste negli strati di età claudia<br />
(che hanno però problemi di residualità) e tra l’80<br />
e il 90 d.C. (testo Coletti, infra).<br />
Il tipo 2 è documentato anche in Sicilia, dove<br />
veniva forse prodotto dalle fornaci di Zancle Messana,<br />
attive tra il III secolo a.C. e il I secolo a.C.; ad<br />
Akrai il tipo si ritrova in contrada Aguglia (in un<br />
contesto datato tra la seconda metà del III e la<br />
metà del I secolo a.C.) 189.<br />
Pentole analoghe al tipo 2 sono documentate<br />
sul relitto di Briga, ancora poco conosciuto dal<br />
punto di vista archeologico. La nave naufragata<br />
nella zona dello Stretto, aveva a bordo ceramica da<br />
cucina 190. Recipienti molto simili erano a bordo del<br />
relitto della Madrague de Giens (70 - 50 a.C.) che<br />
era salpata forse dalla zona di Terracina con un<br />
carico di anfore Dressel 1B prodotte in area laziale<br />
191 (fig. 28).<br />
In base ai dati attualmente a disposizione, il<br />
tipo 2 non sembra essere documentato molto frequentemente<br />
in Campania mentre lo ritroviamo in<br />
diversi siti costieri del Mediterraneo, tra cui Albintimilium,<br />
Pollentia e nella Tarraconense, dove<br />
appare forse nel momento di transizione tra il II e<br />
il I secolo a.C. 192.<br />
Il tipo 4, la pentola a tesa grande, molto diffusa<br />
nel Lazio, è caratteristica soprattutto del I secolo<br />
e della prima parte del II secolo d.C. Ad Ostia il<br />
tipo è uno dei più documentati in età flavia e tra il<br />
90 e il 140 d.C. (testo e tabella Coletti, supra).<br />
Il relitto del Dramont, appartenente ad una<br />
nave naufragata intorno alla metà del I secolo d.C.<br />
e conosciuto soprattutto per il carico di mortaria,<br />
aveva a bordo anche numerose pentole a tesa e<br />
ceramica comune 193. Queste ultime trovano confronti<br />
precisi con <strong>ceramiche</strong> di <strong>Roma</strong> e di area<br />
romana.<br />
188 Vegas 1963, fig. 4, n. 2; Vegas 1968, p. 41, fig. 15, n. 145.<br />
189 Dall’altra parte dello stretto, pp. 47-49; per Akrai, Pelagatti<br />
1970.<br />
190 Parker 1992, p. 78; Dall’altra parte dello stretto, pp. 67-68,<br />
non è certo se si trattasse di materiale del carico o vasellame di<br />
bordo.<br />
191 Tchernia et al. 1978.<br />
192 Aguarod Otal 1991, p. 102. Attestazioni del tipo si hanno<br />
anche a Siviglia nella seconda metà del II secolo a.C.<br />
Per il tipo 5a, la pentola con orlo a tesa leggermente<br />
bombato, possediamo i dati quantitativi di<br />
Ostia: si tratta di un tipo ampiamente diffuso in<br />
età flavia e negli strati datati tra il 90 e il 140 d.C.<br />
(testo e tabella Coletti, supra), anche se forse il<br />
tipo circolava già prima.<br />
Dati tecnici e archeometrici<br />
I campioni di pentola tipo 2 (R179 - R180, R369,<br />
R381, R007, R252) appartengono al sottogruppo<br />
chimico 1 in cui si radunano le <strong>ceramiche</strong> di<br />
<strong>Roma</strong>/Valle del Tevere.<br />
Tutti e tre i campioni di pentola tipo 5 (R193,<br />
R380, R253), sottoposti ad analisi mineralogica,<br />
cadono nel gruppo che definiamo romano, caratterizzato<br />
dalla presenza di sanidini grossolani.<br />
Anche alcuni esemplari del tipo 4 (R175, R176,<br />
R177, R178, R186, R187, R370, R377, R378, R382,<br />
R290, R336) appartengono alla produzione romana<br />
(per molti altri non esiste l’analisi mineralogica).<br />
Esistono comunque anche pentole del tipo 4<br />
realizzate con argille diverse da quelle utilizzate<br />
per il sottogruppo “romano” 1.<br />
In conclusione, le officine di <strong>Roma</strong> hanno probabilmente<br />
realizzato tutti e tre i tipi (1, 2, 4). I tipi<br />
1 e 4 sono stati fabbricati anche con argille diverse<br />
da quelle “tipiche” della produzione <strong>Roma</strong>/Valle<br />
del Tevere.<br />
VI. 3. CLIBANUS (tipi 1-3) (Tavv. XVII-XVIII)<br />
L’espressione panis clibanicius dice che esisteva<br />
un tipo di pane cotto nel clibanus 194. Tale tipo di<br />
recipiente si ritrova già nel Lazio in contesti di III<br />
secolo a.C. (La Giostra e Minturno, per fare un<br />
esempio). Abbondanti sono le attestazioni in contesti<br />
tardo repubblicani e di prima età imperiale (ad<br />
esempio a <strong>Roma</strong>, Ostia, Gabii, Sutri). La forma<br />
perdura in età tardo antica (è documentata nel V<br />
secolo d.C., ad esempio in Abruzzo) e con caratteristiche<br />
diverse anche nel tardo antico e nell’alto<br />
medioevo, ad esempio in Italia settentrionale, dove<br />
viene definito “catino-coperchio” 195.<br />
Non è chiaro se il clibanus, utilizzato in epoca<br />
repubblicana e imperiale per la cottura sub testu,<br />
derivi dai coperchi a calotta tronco-conica (cooking<br />
bells) e dai cosiddetti bacini del periodo preromano<br />
in impasto rosso bruno con prese a linguetta 196.<br />
Tali “bacini” erano forse utilizzati fin dall’età del<br />
193 Joncheray 1972; Id. 1973; Id. 1974.<br />
194 André 1961, pp. 67-70.<br />
195 Per la diffusione della forma in Italia settentrionale si veda<br />
Ceramiche in Lombardia 1998.<br />
196 Si veda a questo proposito Zifferero 2000. Se così fosse non<br />
sarebbe necessario pensare che siano stati sostituiti nel III<br />
secolo a.C. dai forni da pane fissi di uso <strong>comuni</strong>tario, come ipotizzato<br />
(Zifferero 2000, p. 157).