OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

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38 si rinvengono già dall’VIII secolo a.C. nelle stratigrafie del Germalo, sono inoltre documentate a Gravisca tra la metà del VI e il V secolo a.C. e a Casale Pian Roseto (Veio) (seconda metà VI-IV secolo a.C.), località quest’ultima in cui le olle sono state prodotte localmente. Lunghissimo l’elenco dei siti in cui l’olla 2 è documentata in Italia centrale, con variazioni morfologiche, tra IV e III secolo a.C. (si veda la scheda di catalogo) 153. L’olla con orlo a mandorla tipo 3 si configura come un tipo-guida dell’area romano-laziale / Etruria meridionale, pur essendo attestata anche in Campania, a Pompei, ad esempio 154, oppure ad Ischia 155. Per quanto riguarda la produzione in Campania, i dati attualmente a disposizione non permettono di evidenziarla con chiarezza. Documentata in diverse misure - alcune anche piuttosto grandi - l’olla era utilizzata per la cottura di alimenti e per conservare e trasportare le derrate (gli esemplari più grandi), anche per l’incinerazione. Il fondo piano consente l’appoggio sulla brace o nelle sue vicinanze. A Cosa, in epoca repubblicana, le olle in generale costituiscono i 2/3 della ceramica da cucina, mentre dall’età augustea esse vengono sostituite dalla pentola a tesa 156. In epoca repubblicana l’olla è collegata ad uno degli alimenti base dell’alimentazione romana, la puls 157, una sorta di puré a base di acqua o latte e farina. Conosciamo diverse ricette per la puls, ad esempio quelle di Apollodoro o quella descritta da Catone (la puls punica, con la variante di formaggio, miele e uova) o quella di Apicio, che l’Autore vuole preparata nel caccabus, la forma che dal I secolo a.C. subentra all’olla con orlo a mandorla. Dati tecnici e archeometrici LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE) Mentre l’olla 2 è documentata con impasti differenti a seconda delle zone di rinvenimento, le olle del tipo 3, dal punto di vista macroscopico, denotano caratteristiche abbastanza comuni: gli impasti rossi e rosso-marroni, la cottura a strati, visibile nella sezione dell’orlo a mandorla, talora l’ingubbiatura bianco-grigiastra, notata in diversi esemplari (si veda infra, catalogo degli impasti). 153 Il relitto etrusco di Antibes, naufragato intorno alla metà del VI secolo a.C., trasportava olle simili, documentate anche nel sito di Genova tra VI e IV secolo a.C. (Bouloumié 1982, p. 41, fig. 10); le olle sono considerate originarie dell’Etruria in base a confronti con il materiale delle tombe di Poggio Buco, dove si trovano associate a bucchero. 154 Chiaromonte Treré 1984, tav. 97, nn. 5-8. 155 Tra i materiali inediti dello scarico Gosetti, in corso di studio da parte di chi scrive, esistono olle dal profilo a mandorla. 156 Bats 1988, p. 65 e p. 71. 157 A questo proposito è interessante notare che le olle a mandorla del relitto di S. Jordì erano piene di una sostanza indicata come semola. 158 Ha valori più elevati di MgO, più bassi di Sr, Ce e Th. I due esemplari pertinenti al tipo 3a sottoposti ad analisi (R456 da Gabii e R291 da Tivoli) hanno composizioni chimiche molto simili. I due campioni pertinenti al tipo 3b (R287 da Tivoli e R457 da Gabii) presentano alcuni valori differenti 158. Tutti e tre i campioni sembrano appartenere all’insieme delle ceramiche di Roma/Valle del Tevere e in particolare al sottogruppo chimico 1 159 (tabella n. 3, pag. 44). Nessuno dei campioni analizzati mineralogicamente (R456, R457, R291) cade nel gruppo caratterizzato dai sanidini 160. Diffusione Si tratta di una delle poche forme in ceramica comune da cucina esportate, anche se in quantità abbastanza contenute, al di fuori dell’area di produzione verso la Liguria, la Francia Meridionale (Provenza, Languedoca) e la Spagna (Baleari, Tarraconense, Basso Guadalquivir). Le olle con orlo a mandorla tipo 3 rinvenute ad Albintimilium, ad esempio, sono di importazione dall’Italia centrale (Valle del Tevere?), dal II secolo a.C fino alla fine del I secolo a.C., anche se prevalgono nel periodo compreso tra l’ultimo ventennio del II secolo a.C. e la metà del I secolo a.C. 161. La diffusione interessa diversi siti dell’area tirrenica settentrionale e centromeridionale, tra cui Luni, dalla fondazione della colonia fino al I secolo a.C. con indici decrescenti 162 e Cosa (tra il II e il I secolo a.C.) 163; inoltre la Francia meridionale, la Provenza, il Languedoc 164 e molte aree della Spagna, tra cui la Tarraconense 165 e la zona del basso Guadalquivir (dalla metà del II secolo a.C. alla fine del I secolo a.C., momento in cui la forma scompare) 166, oltre che Pollentia 167. Anche i relitti costituiscono un buon punto di riferimento per ricostruire la datazione e la circolazione delle olle a mandorla; quelli elencati di seguito avevano a bordo olle con orlo a mandorla: • Gran Congloué (la ceramica comune apparterrebbe al secondo relitto datato alla fine del II - inizi del I secolo a.C. ed è associata alle anfore Dressel 1A) 168, • Spargi (il naufragio è avvenuto al largo dell’isolotto di Spargi in Sardegna, intorno al 120 a.C., il 159 Il campione R457 potrebbe essere marginale al sottogruppo 1. 160 Va ricordato che nessuno dei campioni di olla a mandorla sottoposto ad analisi mineralogica proviene da Roma. Si veda anche il catalogo, tipo 3. 161 Olcese 1993, p. 125. 162 Luni II 1977; Ratti Squellati 1987. 163 Dyson 1976. 164 A titolo di esempio ad Olbia, Bats 1988; Dicocer 1993, Comit 1, anche se non compare l’olla a mandorla vera e propria. 165 Aguarod Otal 1991, p. 103. 166 Ceramica comuna 1995, p. 261. 167 Vegas 1963, forma 2. 168 Benoit 1961; Long 1987, p. 15.

carico è costituito da ceramica campana B; le olle a mandorla sono del tipo 3b) 169, • La Fourmigue C (seconda metà del II secolo a.C.) 170, • Sant Jordí (100 a.C.), l’imbarcazione proveniva dall’Italia centromeridionale ed era diretta alle coste iberiche 171, • Cavalière (100 a.C.) 172, • Albenga (90-80 a.C., si tratta delle olle a mandorla tipo 3b) 173. VI.2. PENTOLA A TESA (tipi 2-6) (Tavv. II-VI, XLI) Uso, cronologia e diffusione Si tratta del recipiente per la cottura più caratteristico della batteria da cucina di età imperiale in area romana 174. Corrisponde al caccabus - parola che deriva forse dal termine greco caccabé - citato più volte da Apicio per la bollitura o per la ripassatura dei cibi. Secondo il Bats questo recipiente nasce in ambito greco, improntato alla ceramica da cucina utilizzata in ambiente punico: i primordi della forma e i modelli per i recipienti romani si ritroverebbero a Cartagine e nelle zone di influenza dal IV secolo a.C. 175. Per quanto riguarda la data di inizio della forma e la prima zona di apparizione sussistono ancora dei dubbi. Il Bats considera alcuni recipienti di Cosa del III secolo a.C. come pertinenti alla forma del caccabus 176 anche se la massima diffusione di questa forma si riscontra soprattutto nel I e II secolo d.C. La Vegas considera la pentola a tesa come la derivazione dei tegami (tipo 1 di questo lavoro), ampiamente documentati nel II secolo a.C. ma presenti anche nel I secolo a.C. 177. Tra i materiali di Bolsena esistono alcune pentole a tesa datate alla seconda metà del II secolo a.C. - inizi del I secolo a.C. 178. La fornace di Sutri produce pentole a tesa nel terzo quarto del I secolo a.C. (tra gli altri, i tipi 3a e 4 di questo lavoro) 179. Purtroppo, allo stato attuale della ricerca, non possediamo molti dati relativi a siti di II secolo a.C.: la pentola a tesa non è documentata, ad esem- 169 Pallarés 1986. 170 Lamboglia 1952; Pollino 1975. 171 Colls 1987. 172 Charlin, Gassend, Lequément 1978, p. 31, fig. 21, n. 15. 173 Lamboglia 1952; Id.1971. 174 Il tipo è documentato anche nel nord dell’impero, si vedano ad esempio i tipi Oberaden 60, Haltern 57 o Hofheim 87. 175 Bats 1988, p. 69. 176 Bats 1988, p. 69. L’Autore si riferisce ai tipi Dyson 1976 CF 44,45 FG 43, anche se non sembra trattarsi dei veri e propri tipi a tesa. 177 Vegas 1968, p. 38. 178 Bolsena VII 1995, fig. 54, nn. 448-451. Gloria Olcese 39 pio, nel sito di Frassineta Franco, nella valle del Mignone, datato agli inizi del II secolo a.C. 180, anche se tale mancanza potrebbe essere dovuta al caso. Mancano pentole con orlo a tesa anche nel relitto di Spargi (datato tra il 120 e il 100 a.C.) che aveva a bordo invece olle con orlo a mandorla, tegami ad orlo bifido e con orlo a fascia 181. Circa quaranta pentole a tesa a parete bombata, di probabile origine tirrenica centrale, sono presenti tra i materiali del relitto di Albenga (fine IIinizi del I secolo a.C., datato dal Parker al 100-80 a.C.) 182, mentre il relitto della Madrague de Giens (70-50 a.C) aveva a bordo una serie di pentole simili al tipo 2, di diverse misure e dotate di coperchio 183 (fig. 28). La prospezione effettuata nella zona di Fondi (Canneto, nei pressi di Terracina), presunta area di origine del carico del relitto della Madrague de Giens, ha consentito di registrare la presenza di pentole a tesa simili a quelle rinvenute sul relitto, la cui argilla è simile alle anfore prodotte dalle fornaci locali 184. Pentole molto simili sono state ritrovate a Roma sulle pendici settentrionali del Palatino in un contesto di età augustea 185 e a Vasanello (catalogo, tipo 2). La cronologia dei relitti conferma l’esistenza della produzione in area centro-sud italica almeno dagli inizi del I secolo a.C. con tutta probabilità anche prima, come parrebbero documentare i dati della Campania e della Sicilia. Resta da stabilire quali fossero le aree che per prime hanno cominciato a produrre e esportare la pentola con orlo a tesa, documentata, oltre che in Etruria e nel Lazio, anche in Campania, a Pompei, ad esempio già dalla fine del II secolo a.C. 186 e in Sicilia, ad Akrai, in un contesto datato tra la seconda metà del III e la metà del I secolo a.C. oltre che in altri siti dell’isola 187. Per poter seguire le tappe della produzione della pentola a tesa in area romana è utile isolare, là dove possibile, i diversi tipi. Alcuni si distinguono per caratteristiche peculiari: tra essi la pentola a tesa tipo 2, caratterizzata da una gola marcata, da una breve tesa orizzontale, dalla parete diritta. Nella zona interessata da questa ricerca tale tipo è 179 Duncan 1964, tipi 20-24. 180 Stanco 2001. 181 Pallarés 1986. Ho potuto vedere personalmente le ceramiche del Relitto di Spargi verificando anche gli impasti delle forme in ceramica comune. 182 Lamboglia 1952, p. 171, fig. 30; Parker 1992, p. 49. 183 Tchernia et al. 1978, tav. XXIII, nn. 16-18. 184 M. Picon, comunicazione personale. Si veda anche Hesnard 1977; Hesnard et al. 1989. 185 Per le pentole del Palatino si veda il testo della Lorenzetti, supra. 186 Di Giovanni, Gasperetti 1996, pp. 82 e seguenti. 187 Per Akrai, Pelagatti 1970. Per altre attestazioni in Sicilia, Alaimo et al. 1997; Del Vais 1997.

carico è costituito da ceramica campana B; le olle<br />

a mandorla sono del tipo 3b) 169,<br />

• La Fourmigue C (seconda metà del II secolo<br />

a.C.) 170,<br />

• Sant Jordí (100 a.C.), l’imbarcazione proveniva<br />

dall’Italia centromeridionale ed era diretta alle<br />

coste iberiche 171,<br />

• Cavalière (100 a.C.) 172,<br />

• Albenga (90-80 a.C., si tratta delle olle a mandorla<br />

tipo 3b) 173.<br />

VI.2. PENTOLA A TESA (tipi 2-6) (Tavv. II-VI, XLI)<br />

Uso, cronologia e diffusione<br />

Si tratta del recipiente per la cottura più caratteristico<br />

della batteria da cucina di età imperiale<br />

in area romana 174. Corrisponde al caccabus - parola<br />

che deriva forse dal termine greco caccabé - citato<br />

più volte da Apicio per la bollitura o per la ripassatura<br />

dei cibi.<br />

Secondo il Bats questo recipiente nasce in<br />

ambito greco, improntato alla ceramica da cucina<br />

utilizzata in ambiente punico: i primordi della<br />

forma e i modelli per i recipienti romani si ritroverebbero<br />

a Cartagine e nelle zone di influenza<br />

dal IV secolo a.C. 175. Per quanto riguarda la data<br />

di inizio della forma e la prima zona di apparizione<br />

sussistono ancora dei dubbi. Il Bats considera<br />

alcuni recipienti di Cosa del III secolo a.C. come<br />

pertinenti alla forma del caccabus 176 anche se la<br />

massima diffusione di questa forma si riscontra<br />

soprattutto nel I e II secolo d.C. La Vegas considera<br />

la pentola a tesa come la derivazione dei tegami<br />

(tipo 1 di questo lavoro), ampiamente documentati<br />

nel II secolo a.C. ma presenti anche nel I<br />

secolo a.C. 177.<br />

Tra i materiali di Bolsena esistono alcune pentole<br />

a tesa datate alla seconda metà del II secolo<br />

a.C. - inizi del I secolo a.C. 178. La fornace di Sutri<br />

produce pentole a tesa nel terzo quarto del I secolo<br />

a.C. (tra gli altri, i tipi 3a e 4 di questo lavoro) 179.<br />

Purtroppo, allo stato attuale della ricerca, non<br />

possediamo molti dati relativi a siti di II secolo<br />

a.C.: la pentola a tesa non è documentata, ad esem-<br />

169 Pallarés 1986.<br />

170 Lamboglia 1952; Pollino 1975.<br />

171 Colls 1987.<br />

172 Charlin, Gassend, <strong>Le</strong>quément 1978, p. 31, fig. 21, n. 15.<br />

173 Lamboglia 1952; Id.1971.<br />

174 Il tipo è documentato anche nel nord dell’impero, si vedano<br />

ad esempio i tipi Oberaden 60, Haltern 57 o Hofheim 87.<br />

175 Bats 1988, p. 69.<br />

176 Bats 1988, p. 69. L’Autore si riferisce ai tipi Dyson 1976 CF<br />

44,45 FG 43, anche se non sembra trattarsi dei veri e propri tipi<br />

a tesa.<br />

177 Vegas 1968, p. 38.<br />

178 Bolsena VII 1995, fig. 54, nn. 448-451.<br />

Gloria Olcese 39<br />

pio, nel sito di Frassineta Franco, nella valle del<br />

Mignone, datato agli inizi del II secolo a.C. 180,<br />

anche se tale mancanza potrebbe essere dovuta al<br />

caso. Mancano pentole con orlo a tesa anche nel<br />

relitto di Spargi (datato tra il 120 e il 100 a.C.) che<br />

aveva a bordo invece olle con orlo a mandorla,<br />

tegami ad orlo bifido e con orlo a fascia 181.<br />

Circa quaranta pentole a tesa a parete bombata,<br />

di probabile origine tirrenica centrale, sono presenti<br />

tra i materiali del relitto di Albenga (fine IIinizi<br />

del I secolo a.C., datato dal Parker al 100-80<br />

a.C.) 182, mentre il relitto della Madrague de Giens<br />

(70-50 a.C) aveva a bordo una serie di pentole<br />

simili al tipo 2, di diverse misure e dotate di coperchio<br />

183 (fig. 28). La prospezione effettuata nella<br />

zona di Fondi (Canneto, nei pressi di Terracina),<br />

presunta area di origine del carico del relitto della<br />

Madrague de Giens, ha consentito di registrare la<br />

presenza di pentole a tesa simili a quelle rinvenute<br />

sul relitto, la cui argilla è simile alle anfore prodotte<br />

dalle fornaci locali 184. Pentole molto simili<br />

sono state ritrovate a <strong>Roma</strong> sulle pendici settentrionali<br />

del Palatino in un contesto di età augustea<br />

185 e a Vasanello (catalogo, tipo 2).<br />

La cronologia dei relitti conferma l’esistenza<br />

della produzione in area centro-sud italica almeno<br />

dagli inizi del I secolo a.C. con tutta probabilità<br />

anche prima, come parrebbero documentare i dati<br />

della Campania e della Sicilia. Resta da stabilire<br />

quali fossero le aree che per prime hanno cominciato<br />

a produrre e esportare la pentola con orlo a<br />

tesa, documentata, oltre che in Etruria e nel Lazio,<br />

anche in Campania, a Pompei, ad esempio già<br />

dalla fine del II secolo a.C. 186 e in Sicilia, ad Akrai,<br />

in un contesto datato tra la seconda metà del III e<br />

la metà del I secolo a.C. oltre che in altri siti dell’isola<br />

187.<br />

Per poter seguire le tappe della produzione<br />

della pentola a tesa in area romana è utile isolare,<br />

là dove possibile, i diversi tipi. Alcuni si distinguono<br />

per caratteristiche peculiari: tra essi la pentola<br />

a tesa tipo 2, caratterizzata da una gola marcata,<br />

da una breve tesa orizzontale, dalla parete diritta.<br />

Nella zona interessata da questa ricerca tale tipo è<br />

179 Duncan 1964, tipi 20-24.<br />

180 Stanco 2001.<br />

181 Pallarés 1986. Ho potuto vedere personalmente le <strong>ceramiche</strong><br />

del Relitto di Spargi verificando anche gli impasti delle<br />

forme in ceramica comune.<br />

182 Lamboglia 1952, p. 171, fig. 30; Parker 1992, p. 49.<br />

183 Tchernia et al. 1978, tav. XXIII, nn. 16-18.<br />

184 M. Picon, <strong>comuni</strong>cazione personale. Si veda anche Hesnard<br />

1977; Hesnard et al. 1989.<br />

185 Per le pentole del Palatino si veda il testo della Lorenzetti,<br />

supra.<br />

186 Di Giovanni, Gasperetti 1996, pp. 82 e seguenti.<br />

187 Per Akrai, Pelagatti 1970. Per altre attestazioni in Sicilia,<br />

Alaimo et al. 1997; Del Vais 1997.

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