OLCESE G. (2003). Le ceramiche comuni a Roma - Immensa Aequora

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20 LE CERAMICHE COMUNI A ROMA E IN AREA ROMANA (TARDA ETÀ REPUBBLICANA - PRIMA ETÀ IMPERIALE) non calcaree (o silicee), invece, scuriscono con l’aumento della temperatura (rosso chiaro - rosso scuro - marrone rosso - marrone violaceo - nerastro) 80. Ancora in tempi moderni nel Lazio si parlava di creta/argilla bianca e creta/argilla rossa per designare i due gruppi di argille 81. È interessante leggere quanto riportato sulle ceramiche artigianali tradizionali del Lazio; a proposito della raccolta e preparazione dell’argilla si dice: “L’argilla rossa viene usata per le pentole, le pignatte e generalmente per gli oggetti destinati ad uso di cottura o di conservazione dei cibi; l’argilla rossa è infatti resistente al fuoco e trattiene il sapore dei cibi (…). La creta bianca (…) caratterizzata dalla capacità di trattenere molta acqua, è usata per vasi e più di quella rossa si presta ad essere decorata”. In effetti già i ceramisti del Vicino Oriente del neolitico antico avevano scoperto la possibilità di realizzare più facilmente la decorazione dipinta su ceramiche che offrano una base chiara (cioè argille calcaree cotte nel modo A, si veda infra) 82. Di solito è la fabbricazione delle ceramiche destinate all’esposizione al fuoco che può creare dei problemi ai ceramisti. Come è stato ricordato, non tutte le argille sono adatte e utilizzabili per fabbricare ceramiche destinate alla cottura degli alimenti e all’ebollizione dei liquidi 83. Non si tratta solo di una questione di forma - alcune forme sono per “tradizione” collegate a usi funzionali specifici, di cottura o di contenimento - ma si tratta soprattutto di caratteristiche particolari degli impasti che consentono o meno ad una ceramica di sopportare il contatto con il fuoco 84. In realtà si possono fare ceramiche comuni resistenti agli chocs termici con qualsiasi tipo di argilla purché le argille utilizzate vengano cotte a bassa temperatura e contengano degrassante. Le ceramiche cotte a bassa temperatura, però, hanno il difetto di essere fragili dal punto di vista meccanico. Si possono quindi cuocere le ceramiche a temperatura più elevata, per cercare di renderle più resistenti (la rigidità dell’impasto aumenta con l’aumento della temperatura). Questo aumento di temperatura è possibile però solo nel caso in cui si utilizzino certe argille; quelle calcaree, ad esempio, non sono indicate poiché, man mano che la temperatura aumenta, diventano troppo rigide. Un’alternativa è quella di abbondare nel degrassante, 80 Picon 2002. 81 Silvestrini 1982, p. 49. 82 Picon 2002. 83 Picon 1992-1993; Id.1995a; Id. 1997; Id. 2002; Picon, Olcese 1995. 84 A questo proposito conviene ricordare il caso di alcune olpai in ceramica grigia - argilla caolinitica che secondo la tradizione di studi archeologici vengono inserite nella ceramica da mensa, se possibile calibrato, oppure scegliere un’argilla che lo contenga in natura (ad esempio utilizzando argille di tipo siliceo). Per realizzare ceramica da fuoco si impiegano di solito argille non calcaree o silicee, in cui la silice ha un tenore compreso tra il 50 e il 75 %. Quando una ceramica viene messa sul fuoco si verifica una dilatazione nella parete esterna che è a contatto con la fiamma, mentre resta debole nella parete interna che è invece a contatto con gli alimenti. Ciò origina una tensione molto forte all’interno della parete del recipiente (choc termico) che può anche rompersi. Per evitare questi rischi è necessaria un’argilla che si dilati poco se esposta al calore, che abbia cioè un debole coefficiente di dilatazione. Esistono delle argille con basso coefficiente di dilatazione, ma sono piuttosto rare (argille di buona qualità). Tra esse vanno ricordate le argille caolinitiche che conservano durante la cottura e per lungo tempo una struttura “morbida” che consente all’impasto di assorbire le tensioni all’origine degli chocs termici 85. Gli studi effettuati à La Graufesenque (Aveyron, France) hanno evidenziato un’evoluzione dell’artigianato ceramico e alla fine del I secolo d.C. la produzione di ceramiche da cucina avviene con argille dalle caratteristiche particolari: i ceramisti si sono resi conto infatti che utilizzando certe argille - tra cui anche le caolinitiche - potevano far sì che il recipiente da fuoco conservasse contemporaneamente una resistenza agli chocs termici e a quelli meccanici 86. Le argille caolinitiche - che sono di solito in Gallia di tipo sedimentario - vengono riconosciute abbastanza facilmente dai ceramisti per la loro colorazione bianca a cottura avvenuta. In altre località, invece, esistono anche caolini difficili da riconoscere. L’alterazione dei materiali derivati dal vulcanismo acido - in alcune zone del Mediterraneo orientale, ad esempio - produce spesso argille dalle caratteristiche simili a quelle dei caolini (come a Lesbo, a Focea, a Patmos e a Cos) 87. Una situazione analoga potrebbe esistere anche per alcune argille dell’Italia centrale tirrenica, nel Lazio, ad esempio, dove la presenza di caolini veri e propri pare concentrarsi nella zona di Allumiere-Tolfa. Nel mondo mediterraneo sono molto comuni e diffuse le ceramiche da mensa eseguite con argille calcaree, che fanno parte della tradizio- come contenitori di liquidi, mentre studi recenti le hanno interpretate come “bollitori”, si veda a questo proposito Batigne, Desbat 1996. 85 La caolinite è un minerale argilloso Al2Si205 (OH) 4 che non comporta fondenti (Picon 2000, p. 182). I caolini hanno una fase argillosa costituita quasi unicamente da caolinite. 86 Picon 1997. 87 Blondé, Picon 2000, p. 182.

ne ceramica greco-romana (ceramica depurata o figulina). Si tratta di recipienti resistenti agli chocs meccanici, ma poco resistenti a quelli termici, perché hanno coefficienti di dilatazione molto elevati. La loro cottura avviene in forni, di solito a temperature elevate (tra 900 e 1000° circa), fatto che determina l’aumento della resistenza meccanica ma anche recipienti non adatti alla cottura 88. Utilizzando argille calcaree, inoltre, è necessario fare attenzione alla temperatura di cottura. Come hanno dimostrato diversi studi, infatti, la cottura delle argille calcaree intorno a 800° origina la trasformazione in calce del carbonato di calcio (calcite) contenuto in questa argilla e la successiva trasformazione inversa della calce in carbonato di calcio, a contatto del gas carbonico dell’aria 89. Questa trasformazione avviene con un aumento di volume che può causare la rottura della ceramica, soprattutto se le argille contengono molta calcite. Cotta in atmosfera riducente-ossidante (modo A, descritto nel paragrafo successivo), un’argilla calcarea assume una colorazione chiara dal beige al rosa-giallo, che è il colore di molte ceramiche comuni da mensa di età romana (si veda il catalogo degli impasti, infra). Si tratta di ceramiche i cui costi sono piuttosto alti, a causa della necessità di tenere le temperature elevate, fattore che comporta l’uso di molto combustibile 90. III.2.b. ATMOSFERE E MODI DI COTTURA Le ceramiche di epoca romana da Roma e dell’area di Roma prese in considerazione sembrano nella quasi totalità cotte in fornaci. Si tratta nella grande maggioranza dei casi di ceramiche cotte secondo il modo A, recentemente ridiscusso dal Picon 91. Secondo l’Autore le ceramiche antiche sono state cotte essenzialmente in tre modi diversi, definiti A, B e C, e che tengono conto dell’atmosfera di cottura durante la fase della cottura vera e propria e durante quella del raffreddamento. L’atmosfera di cottura - ossidante o riducente - è quella in cui si trovano le ceramiche durante la cottura. Esistono tre modi possibili di cottura, elencati in ordine di complessità crescente: modo A: cottura riducente e raffreddamento ossidante modo B: cottura riducente e raffreddamento riducente 88 Picon 1995a; Id. 2002. 89 Peters, Iberg 1978; Maggetti 1982; Picon 1995a, p. 153. 90 Picon 1995a, p. 154. 91 Picon 1973, Id. 2002. 92 Picon 2002, p. 143. 93 Questo modo di cuocere la ceramica sembrerebbe documentato a Leprignano, una “fornace etrusco-romana del I e II seco- Gloria Olcese 21 modo C: cottura ossidante e raffreddamento ossidante Il modo A è quello che si origina in un forno a fiamma diretta, in cui le ceramiche sono a contatto con il fuoco 92. Il modo B si ottiene nello stesso tipo di forno ma con intervento del ceramista per chiudere le eventuali aperture. Il modo C necessita dell’utilizzo di “cazettes”, una sorta di contenitore chiuso ermeticamente, oppure di forni a tubuli che consentono di separare le fiamme, incanalate nei tubuli, dalla camera di cottura in cui i vasi cuociono 93. Il modo C, l’unico in cui si ottiene la vera atmosfera ossidante, è stato utilizzato con tutta probabilità in età romana per la cottura della terra sigillata. È interessante rilevare che nella tradizione ceramica del Lazio esiste un modo di cottura in casòle, “fatte di creta che si dispongono in colonne di 10-15 (…), tra l’una e l’altra si mette un piatto, e negli spazi vuoti si mettono gli oggettini. Per bicchieri e tazze si usano dei sostegni, anch’essi in creta..Inoltre per sfruttare meglio lo spazio, si creano nel forno vari ripiani con alcune tavole di refrattario, sorrette da cilindri “ 94. III.3. OFFICINE CERAMICHE NEL MEDITERRANEO: UNA CLASSIFICAZIONE SULLA BASE DELLA TECNOLOGIA L’esame delle officine ceramiche produttrici di ceramica comune nell’antichità, effettuata in base alla valutazione delle caratteristiche tecnologiche dei prodotti realizzati (argille utilizzate e qualità) ha condotto alla creazione di uno schema comprendente possibili gruppi di officine (fig. 17), basati su tre poli ceramici (figg. 18-19) 95. Se si considerano le fornaci ceramiche individuate e studiate nel Mediterraneo esse sono riportabili fondamentalmente a tre gruppi: • Officine che producono ceramiche non destinate al fuoco, essenzialmente di tipo calcareo (polo 2). Si tratta di officine molto diffuse, poiché le argille calcaree sono abbondanti nelle regioni costiere del Mediterraneo. • Officine produttrici di ceramiche da fuoco di qualità mediocre (polo 1). Anche queste officine sono molto comuni poiché si tratta di strutture che utilizzano argille comuni e sono di solito collegate alle officine del gruppo precedente. lo a.C.” (Cozza 1907). L’Autore riferisce di “aver trovato avanzi di recipienti maggiori, talmente anneriti dal fumo, da far ritenereche veramente servissero per contenere entro la fornace i vasi fini e da esser cotti con maggior cura”. 94 Descrizione del procedimento di cottura delle ceramiche nelle officine di ceramica tradizionale del Lazio, in Silvestrini 1982, p. 50. 95 Picon, Olcese 1995.

ne ceramica greco-romana (ceramica depurata o<br />

figulina).<br />

Si tratta di recipienti resistenti agli chocs meccanici,<br />

ma poco resistenti a quelli termici, perché<br />

hanno coefficienti di dilatazione molto elevati. La<br />

loro cottura avviene in forni, di solito a temperature<br />

elevate (tra 900 e 1000° circa), fatto che determina<br />

l’aumento della resistenza meccanica ma<br />

anche recipienti non adatti alla cottura 88. Utilizzando<br />

argille calcaree, inoltre, è necessario fare<br />

attenzione alla temperatura di cottura. Come<br />

hanno dimostrato diversi studi, infatti, la cottura<br />

delle argille calcaree intorno a 800° origina la trasformazione<br />

in calce del carbonato di calcio (calcite)<br />

contenuto in questa argilla e la successiva trasformazione<br />

inversa della calce in carbonato di calcio,<br />

a contatto del gas carbonico dell’aria 89. Questa<br />

trasformazione avviene con un aumento di volume<br />

che può causare la rottura della ceramica, soprattutto<br />

se le argille contengono molta calcite.<br />

Cotta in atmosfera riducente-ossidante (modo<br />

A, descritto nel paragrafo successivo), un’argilla<br />

calcarea assume una colorazione chiara dal beige<br />

al rosa-giallo, che è il colore di molte <strong>ceramiche</strong><br />

<strong>comuni</strong> da mensa di età romana (si veda il catalogo<br />

degli impasti, infra).<br />

Si tratta di <strong>ceramiche</strong> i cui costi sono piuttosto<br />

alti, a causa della necessità di tenere le temperature<br />

elevate, fattore che comporta l’uso di molto<br />

combustibile 90.<br />

III.2.b. ATMOSFERE E MODI DI COTTURA<br />

<strong>Le</strong> <strong>ceramiche</strong> di epoca romana da <strong>Roma</strong> e dell’area<br />

di <strong>Roma</strong> prese in considerazione sembrano<br />

nella quasi totalità cotte in fornaci.<br />

Si tratta nella grande maggioranza dei casi di<br />

<strong>ceramiche</strong> cotte secondo il modo A, recentemente<br />

ridiscusso dal Picon 91. Secondo l’Autore le <strong>ceramiche</strong><br />

antiche sono state cotte essenzialmente in tre modi<br />

diversi, definiti A, B e C, e che tengono conto dell’atmosfera<br />

di cottura durante la fase della cottura vera<br />

e propria e durante quella del raffreddamento.<br />

L’atmosfera di cottura - ossidante o riducente -<br />

è quella in cui si trovano le <strong>ceramiche</strong> durante la<br />

cottura. Esistono tre modi possibili di cottura,<br />

elencati in ordine di complessità crescente:<br />

modo A: cottura riducente e raffreddamento<br />

ossidante<br />

modo B: cottura riducente e raffreddamento<br />

riducente<br />

88 Picon 1995a; Id. 2002.<br />

89 Peters, Iberg 1978; Maggetti 1982; Picon 1995a, p. 153.<br />

90 Picon 1995a, p. 154.<br />

91 Picon 1973, Id. 2002.<br />

92 Picon 2002, p. 143.<br />

93 Questo modo di cuocere la ceramica sembrerebbe documentato<br />

a <strong>Le</strong>prignano, una “fornace etrusco-romana del I e II seco-<br />

Gloria Olcese 21<br />

modo C: cottura ossidante e raffreddamento<br />

ossidante<br />

Il modo A è quello che si origina in un forno a<br />

fiamma diretta, in cui le <strong>ceramiche</strong> sono a contatto<br />

con il fuoco 92. Il modo B si ottiene nello stesso tipo di<br />

forno ma con intervento del ceramista per chiudere<br />

le eventuali aperture. Il modo C necessita dell’utilizzo<br />

di “cazettes”, una sorta di contenitore chiuso<br />

ermeticamente, oppure di forni a tubuli che consentono<br />

di separare le fiamme, incanalate nei tubuli,<br />

dalla camera di cottura in cui i vasi cuociono 93. Il<br />

modo C, l’unico in cui si ottiene la vera atmosfera<br />

ossidante, è stato utilizzato con tutta probabilità in<br />

età romana per la cottura della terra sigillata.<br />

È interessante rilevare che nella tradizione<br />

ceramica del Lazio esiste un modo di cottura in<br />

casòle, “fatte di creta che si dispongono in colonne<br />

di 10-15 (…), tra l’una e l’altra si mette un piatto, e<br />

negli spazi vuoti si mettono gli oggettini. Per bicchieri<br />

e tazze si usano dei sostegni, anch’essi in<br />

creta..Inoltre per sfruttare meglio lo spazio, si<br />

creano nel forno vari ripiani con alcune tavole di<br />

refrattario, sorrette da cilindri “ 94.<br />

III.3. OFFICINE CERAMICHE NEL MEDITERRANEO:<br />

UNA CLASSIFICAZIONE SULLA BASE DELLA<br />

TECNOLOGIA<br />

L’esame delle officine <strong>ceramiche</strong> produttrici di<br />

ceramica comune nell’antichità, effettuata in base<br />

alla valutazione delle caratteristiche tecnologiche<br />

dei prodotti realizzati (argille utilizzate e qualità)<br />

ha condotto alla creazione di uno schema comprendente<br />

possibili gruppi di officine (fig. 17),<br />

basati su tre poli ceramici (figg. 18-19) 95.<br />

Se si considerano le fornaci <strong>ceramiche</strong> individuate<br />

e studiate nel Mediterraneo esse sono riportabili<br />

fondamentalmente a tre gruppi:<br />

• Officine che producono <strong>ceramiche</strong> non destinate<br />

al fuoco, essenzialmente di tipo calcareo<br />

(polo 2).<br />

Si tratta di officine molto diffuse, poiché le<br />

argille calcaree sono abbondanti nelle regioni<br />

costiere del Mediterraneo.<br />

• Officine produttrici di <strong>ceramiche</strong> da fuoco di<br />

qualità mediocre (polo 1).<br />

Anche queste officine sono molto <strong>comuni</strong> poiché<br />

si tratta di strutture che utilizzano argille<br />

<strong>comuni</strong> e sono di solito collegate alle officine del<br />

gruppo precedente.<br />

lo a.C.” (Cozza 1907). L’Autore riferisce di “aver trovato avanzi<br />

di recipienti maggiori, talmente anneriti dal fumo, da far ritenereche<br />

veramente servissero per contenere entro la fornace i<br />

vasi fini e da esser cotti con maggior cura”.<br />

94 Descrizione del procedimento di cottura delle <strong>ceramiche</strong> nelle<br />

officine di ceramica tradizionale del Lazio, in Silvestrini 1982, p. 50.<br />

95 Picon, Olcese 1995.

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