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VITO ZAGARRIO<br />
mascherato da Carnevale (i dialoghi insistono sul tema <strong>del</strong>le “maschere”).<br />
Nel Prato, ovviamente, la maschera è il tema dominante, nel teatro<br />
di strada di Eugenia, nei travestimenti degli attori, ma anche nelle<br />
maschere sociali che i protagonisti portano. In Luisa Sanfelice (a dimostrazione<br />
di una linea coerente di sviluppo <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> tavianeo), Luisa si<br />
traveste da suora per sfuggire alla morte, ma alla fine si fa riconoscere<br />
(come <strong>del</strong> resto Fulvio coi fratelli). E all’inizio <strong>del</strong> film un teatrino di corte<br />
impone il ricorso ad inquietanti maschere (anche stavolta simbolicamente<br />
“sociali”).<br />
In La notte di San Lorenzo la ragazza “scambia” i tedeschi per americani,<br />
anzi per “siciliani”, e i soldati nazisti appaiono, per un momento, travestiti<br />
da contadini isolani, che portano fazzoletti da braccianti e offrono<br />
pezzi di mito americano sotto vetro. È una visione in punto di morte, un’allucinazione,<br />
un sogno (il mito americano) ad occhi aperti.<br />
Il sogno (a occhi chiusi o aperti) e la febbre. A dimostrazione di una possibile<br />
lettura psicanalitica <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> dei Taviani, i loro film sono quasi<br />
sempre “onirici”. C’è spesso un personaggio che “sogna” a occhi aperti:<br />
massimo esempio è il racconto di Allonsanfan, a tutt’oggi uno dei momenti<br />
più alti <strong>del</strong> loro <strong>cinema</strong>, che mente a Fulvio, coinvolgendolo in un sogno<br />
ad occhi spalancati (eyes wide shut). Sogna ad occhi aperti anche Salvatore<br />
in Un uomo da bruciare, quando pensa a Wilma e la figurina di lei si<br />
incarna in un intenso flash back; il quale sogna però anche ad occhi chiusi,<br />
quando mette in scena la sua morte, in una sequenza fortemente metalinguistica.<br />
Sognano ad occhi aperti i due fratelli di Good Morning, quando raccontano,<br />
in parallelo, il citato episodio infantile.<br />
Chi sogna è spesso in uno stato febbrile, ed ecco allora le tante “febbri”<br />
dei Taviani, che spesso sono metafore di una “febbre civile”, di un eroico<br />
furore contro un mondo offeso. Ha sempre la febbre Fulvio in Allonsanfan:<br />
all’inizio, quando viene catturato dai “fratelli sublimi”, e il film si apre alle<br />
sue “soggettive malate”; verso la fine, quando è ferito e si ritrova, suo malgrado,<br />
in viaggio verso il sud. Ha la febbre Giovanni nel Prato, malato di<br />
rabbia, ed anche Eugenia è febbricitante dopo lo spettacolo, tanto da dare<br />
a tutto il film il tono di un racconto visionario, raccontato in uno stato di<br />
trance. È stordito dalla stanchezza e dall’attacco di un avvoltoio anche uno<br />
dei due fratelli in Good Morning Babilonia, non a caso prima <strong>del</strong>l’incontro<br />
col treno e dunque col destino: anche qui un sonno comatoso che potrebbe<br />
far leggere come onirica tutta la parte americana.<br />
Ha la febbre Adriano Giannini, in Luisa Sanfelice, quando viene<br />
accolto, ferito, in casa <strong>del</strong>la protagonista, e galeotta è quella febbre, perché<br />
è l’incipit <strong>del</strong>la passione che travolgerà i due amanti.<br />
La passione e la sessualità. I Taviani sono appassionati e pasionari. Lo<br />
sono politicamente, nelle loro scene epiche (quella già descritta di Allon-<br />
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SOVVERSIVI E FUORILEGGE?<br />
sanfan, l’occupazione <strong>del</strong>le terre di Un uomo da bruciare, la straordinaria<br />
sequenza <strong>del</strong>l’esplosione in chiesa in La notte di San Lorenzo, ecc) ed utopiche.<br />
Ma lo sono anche nella rappresentazione <strong>del</strong>la sessualità: mi viene<br />
in mente su tutte quella corale di Padre padrone, che coinvolge umani ed<br />
animali; e poi il diffuso erotismo di La notte di San Lorenzo: la passione<br />
senile tra Antonutti e la Lozano, quella più giocosa – e poi tragica – tra<br />
Bigagli e la sua sposa, ma anche l’intenso ammiccamento sessuale tra Hen<strong>del</strong><br />
e la giovane donna che giocano con una fetta di anguria…<br />
Penso alla complicità erotica tra Salvatore e Wilma in Un uomo da bruciare,<br />
all’erotismo trasgressivo e ai nudi esibiti di Sovversivi ed Allonsanfan,<br />
alle scene d’amore ne Le affinità elettive, ai corpi nudi de Il sole anche<br />
di notte e quelli sul palcoscenico teatrale, scoperti da un pubblico voyeur,<br />
in Luisa Sanfelice.<br />
Il metalinguaggio e la cinefilia. E siamo dunque a uno dei temi dominanti<br />
<strong>del</strong> <strong>cinema</strong> dei Taviani, l’elemento self-reflexive, autorefenziale, sia<br />
come rappresentazione <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> stesso (e <strong>del</strong> teatro, e dei mass media)<br />
all’interno dei film, sia come esplicitazione-esibizione <strong>del</strong>la macchina<strong>cinema</strong>,<br />
<strong>del</strong>la finzione <strong>cinema</strong>tografica. «Io sono un grande attore» – dice<br />
<strong>del</strong> resto Mastroianni, nei panni di Fulvio che a sua volta ha indossato i<br />
panni di un altro; e sembra dirlo a se stesso, al Mastroianni vero.<br />
Parto proprio dall’ultimo film, Luisa Sanfelice, che è pieno di riferimenti,<br />
come si è visto, al teatro: il teatro reazionario o quello “rivoluzionario”,<br />
con Pulcinella in veste di liberatore. A teatro avviene una <strong>del</strong>le<br />
“scene madri” <strong>del</strong> film, quando si interrompe la rappresentazione per dire<br />
che i soldati di una roccaforte si sono fatti saltare in aria per non farsi prendere,<br />
e i francesi annunciano il loro ritiro da Napoli. È una (cosciente?)<br />
citazione de La grande illusion, quando i soldati francesi prigionieri interrompono<br />
lo spettacolo en travesti per intonare La marsigliese.<br />
D’altronde, i film dei Taviani sono pieni di citazioni, omaggi dichiarati<br />
o forse, a volte, frammenti <strong>del</strong>la loro memoria cinefila che emergono<br />
inconsapevolmente: nel Prato, Germania anno zero diventa motivo trainante<br />
<strong>del</strong> plot e il suicidio di Edmund (che prelude al suicidio di Giovanni)<br />
viene fatto vedere nella scena <strong>del</strong> cineclub. Good Morning Babilonia,<br />
film programmaticamente metalinguistico, non solo mostra vere<br />
sequenze di Intolerance, ma è pieno di omaggi, a volte divertenti, come<br />
durante la traversata, quando i Taviani si divertono a citare Chaplin; o<br />
come quando, nella parte ambientata a Hollywood – e dominata dall’americano<br />
Griffith –, tributano un saluto all’italianissimo Blasetti e al<br />
Visconti di Bellissima: «Avete fatto il militare? E allora, dietro front, avanti,<br />
marsch!». Ma il film, dicevo, è tutto autorappresentativo: Griffith sceglie<br />
i due fratelli perché l’elefante che costruiscono, seppur distrutto dal “cattivo”<br />
direttore di produzione, viene “immortalato” dalla cinepresa; e i due<br />
fratelli, proprio per immortalarsi, si filmano mentre muoiono.<br />
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