CARMINA PRIAPEA - Ex meis libris
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<strong>CARMINA</strong><br />
<strong>PRIAPEA</strong><br />
Testo latino<br />
con<br />
traduzione in lingua italiana<br />
di<br />
Edoardo Mori<br />
1
PREFAZIONE<br />
Questa è una mia traduzione senza pretese dei Carmina<br />
Priapea. Non mancano certo altre traduzioni quali:<br />
Giovanni Bach, Carmina Priapea, De Carlo, Roma<br />
1945<br />
Cesare Vivaldi, Carmina Priapea, Guanda, Milano<br />
1976 e Newton Compton 1996<br />
Lucio Mariani, Carmina priapea, Ponte alle Grazie,<br />
Firenze, 1992<br />
Esule Sella, I versi di Priapo, Fogola, Torino, 1992.<br />
Ettore Barelli, Carmina priapea, Nuova Pratiche. Milano,<br />
1997<br />
Jolanda Insana, Carmi Priapei, ES. Milano 1999<br />
Antonio Castronovo, Carmi Priapei, Stampa Alternativa,<br />
Milano 2001<br />
AA. VV, Li sonetti pe’ Priapo aridotti in romanesco,<br />
Valentino de Carlo, Roma 1977<br />
In inglese è importante la traduzione di Leonard C.<br />
Smithers e Sir Richard Burton del 1890.<br />
3
Mi disturbava il fatto che nessuna fosse reperibile in<br />
Internet. Ve ne è una sola di Fiornando Gabbrielli, ma<br />
essa ha il difetto di essere in versi e molto libera. Ora i<br />
Carmina non sono interessanti per le loro qualità poetiche<br />
(del resto irripetibili in una traduzione), ma come documento<br />
di costume e quindi è essenziale cercare di rendere<br />
il senso preciso del testo in relazione a quanto si conosce<br />
degli usi sociali e religiosi romani. Quindi la mia<br />
traduzione ha cercato di essere quanto più possibile aderente<br />
al testo. Il vero problema è che spesso il testo è incerto<br />
e che le molte lacune sono state ricostruite dai curatori<br />
nel tentativo di dare un senso logico a frasi del tutto<br />
oscure. E molte di esse rimangono oscure perché fanno<br />
riferimento ad usi che non conosciamo o perché contengono<br />
allusioni che ci sfuggono o perché usano vocaboli<br />
di significato per noi incerto. Nel dubbio ho sempre cercato<br />
di dare un senso compiuto alla frase. I titoletti non<br />
sono presenti nel testo originale e sono opera mia.<br />
L’opera, tramandataci con più nomi, Priapea, Carmina<br />
Priapea, Priapeia, Carmina Priapeia, Corpus Priapeorum,<br />
è una raccolta di circa 80 poesie (il numero varia<br />
perché alcuni curatori hanno diviso poesie un po’ lunghe<br />
in due poesie più corte) a cui sono state poi aggiunte dai<br />
raccoglitori poesie di Orazio, Ovidio, Marziale, Catullo,<br />
aventi ad argomento il dio Priàpo. Anche le tre Priapeia<br />
della Appendix Virgiliana sono finite nella raccolta del<br />
Corpus Priapeorum, portando il numero complessivo di<br />
composizioni a 95. L’Inno a Priapo non proviene da palinsesti<br />
ma da una stele.<br />
4
L’opera era ben nota agli umanisti del Rinascimento;<br />
nel 1664 venne commentata da Kaspar Schoppe e da<br />
Giuseppe Giusto Scaligero con il titolo Priapeia: sive<br />
Diversorum poetarum in Priapum lusus.<br />
Ampia è stata la disputa circa l’autore dell’opera; l’<br />
opinione corrente è che si tratti di una raccolta di composizioni<br />
anonime, risalenti al periodo di Mecenate e<br />
quindi al’inizio primo secolo dopo Cristo. Nulla esclude<br />
ovviamente che qualcuna di queste composizioni anonime<br />
sia stata composta da qualche poeta famoso e alcune<br />
sono state attribuite in passato a Ovidio, Catullo,<br />
Tibullo, Virgilio. Effettivamente alcuni versi riecheggiano<br />
versi di questi poeti, ma è ben possibile che si tratti<br />
di parodie, visto che componimenti così brevi non richiedono<br />
chissà quale arte poetica.<br />
Ci si è chiesto come mai questo tipo di letteratura sia<br />
stato così raro a Roma, limitato com’ è a questi Carmina,<br />
al Satiricon, alle Satire di Giovenale.<br />
La risposta è fornita egregiamente da Paul Englisch,<br />
Geschichte der erotischen Literatur, Berlino 1927, il<br />
quale scrive (trad. M. Montanari): Per quanto i romani<br />
fossero dissoluti nelle loro azioni e nei loro scritti, non<br />
sopportavano un racconto scollacciato. Se qualcuno usava<br />
una parola sconcia, se ne scusava con una formula introduttiva<br />
: sit venia verbo, honos auribus sit. Quintiliano<br />
definisce tali espressioni : Praefanda. Questo pudore è in<br />
molti casi effetto di una superstizione caratteristica dei<br />
romani. Infatti dire parole oscene era considerato un presagio<br />
sfavorevole. Di conseguenza tali espressioni erano<br />
proibite persino nella cerchia dei viveurs e delle ragazze<br />
5
di piacere. Plauto dice nella sua commedia Casina : «Dire<br />
parole indecenti significa portar sfortuna al proprio<br />
interlocutore», e Lucio Accio aveva scritto nella sua<br />
commedia Oenomaeus: « Dite per le città e le campagne<br />
che tutti gli abitanti, per assicurarsi il favore degli dèi con<br />
presagi favorevoli, debbono evitare ogni espressione indecente<br />
». Il fatto che Plauto, Marziale, Catullo e Orazio<br />
abbiano liberamente fatto uso di parole oscene può essere<br />
attribuito alla loro cultura greca, ma è Giovenale che fece<br />
il maggior uso di espressioni oscene per suscitare nausea<br />
e ribrezzo proprio a questo proposito. Tuttavia non si può<br />
facilmente risolvere questa evidente contraddizione fra<br />
l'essere e il sembrare. Ogni popolo, ancora ai primordi<br />
della sua cultura, non ancora corrotto dalla troppa civiltà,<br />
parla liberamente, senza vergogna e con tutta naturalezza<br />
di ogni cosa che sia strettamente connessa alla procreazione<br />
ed alle necessità corporali. Quando la civiltà mette<br />
radici e provoca il diffondersi della raffinatezza, dell'ipercultura<br />
e del fasto, si abbandonano le vie dirette e si<br />
preferiscono espressioni contorte che in fondo dicono la<br />
stessa cosa, ma evitano l'antica, aperta brutalità. Tuttavia,<br />
avendo acquisito una sensibilità più raffinata, il lettore è<br />
maggiormente disposto a rilevare certe sfumature e così<br />
gli saltano agli occhi quelle frasi e quelle parole il cui<br />
suono fa pensare anche solo vagamente alle cose proibite<br />
ed escluse dal linguaggio comune. Ma non si può rinnegare<br />
la natura e poiché l'uomo resta ben consapevole della<br />
necessità dei bisogni ora occultati, seppure non più riconosciuti<br />
nei loro diritti, si arriva alla menzogna cosciente,<br />
voluta, al pudore affettato, e ci si afferra dispera-<br />
6
tamente a questo per mantenere le apparenze della decenza,<br />
anche quando ne è già sparita da tempo la più piccola<br />
traccia. Ma poiché si continua pur sempre a nuotare<br />
in un mare di lascivia e nello stesso tempo la si vuol nascondere<br />
agli altri, si finisce col preferire la perifrasi, la<br />
maschera, che cela e allo stesso tempo lascia intuire, e<br />
molto. È così che si costituisce la vita pubblica. Ma per<br />
quanto riguarda la vita privata, chiusa fra quattro pareti e<br />
nascosta agli occhi della gente ci si esprime e si agisce<br />
oggi come un tempo in piena libertà.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
F. Bücheler, Petronii Saturae et Liber Priapeorum<br />
(Berlin 1911),<br />
Baehrens, Poeti Latini Minores, I. recensuit et emendavit,<br />
Lipsiae 1879 [= Poeti Latini Minores, I, rist. anast.<br />
New York-London 1979].<br />
W.H. Parker, Priapea poems for a phallic God, London-Sidney<br />
1988.<br />
Alexander von Bernus: Carmina Priapeia. In Nachdichtung<br />
von Alexander von Bernus mit einer kritischen<br />
Einführung von Adolf Dannegger.Privatdruck des Verlages<br />
Schuster & Loeffler, Berlin/Leipzig 1905.<br />
Vinzenz Buchheit: Studien zum Corpus<br />
Priapeorum. C. H. Beck, 1962, 1996, Christiane Goldberg:<br />
Carmina Priapea. Einleitung, Übersetzung, Kommentar.<br />
C. Winter, Universitätsverlag, Heidelberg 1992,<br />
Bernard Kytzler, Gedichte an den Gartengott, Carmina<br />
Priapea (Die Bibliothek der Alten Welt). Artemis &<br />
7
Winkler Verlag, 1973, 1983, .<br />
Gerrit Kloss: Kritisches und <strong>Ex</strong>egetisches zu den<br />
Carmina Priapea. In: Göttinger Forum für Altertumswissenschaft.<br />
1, 1998, S. 9–28.<br />
8<br />
Bolzano, 24 novembre 2009<br />
Edoardo Mori
COMINCIANO<br />
I<br />
<strong>CARMINA</strong> <strong>PRIAPEA</strong><br />
9
I - PROEMIO<br />
Carminis incompti lusus lecture procaces,<br />
conveniens Latio pone supercilium.<br />
non soror hoc habitat Phoebi, non Vesta 1 sacello,<br />
nec quae de patrio vertice nata dea est,<br />
sed ruber hortorum custos, membrosior aequo,<br />
qui tectum nullis vestibus inguen habet.<br />
aut igitur tunicam parti praetende tegendae,<br />
aut quibus hanc oculis aspicis, ista lege.<br />
1<br />
Diana, Vesta e Minerva erano tre dee vergini. Le statuette di Priapo<br />
erano tutte dipinte di rosso.<br />
10
I - PROEMIO<br />
Tu che ti accingi a leggere gli sfrontati scherzi di<br />
queste rozze poesie, non aggrottar i sopraccigli come si<br />
converrebbe alla gravità latina.<br />
In questo tempietto non abitano né la sorella di Febo<br />
né Vesta né una dea nata dal cervello del padre, ma un<br />
rosso custode di orti, più membruto del giusto, che ha<br />
l’inguine non coperto da veste alcuna.<br />
Perciò, o stendi la tunica sulla parte da coprire oppure,<br />
con gli stessi occhi con cui la guardi, leggi questi versi.<br />
11
II – GIUSTIFICAZIONE DEL POETA<br />
Ludens haec ego teste 2 te, Priape,<br />
horto 3 carmina digna, non libello,<br />
scripsi non nimium laboriose.<br />
nec musas tamen, ut solent poetae,<br />
ad non virgineum locum vocavi.<br />
nam sensus mihi corque defuisset,<br />
castas, Pierium chorum, sorores<br />
auso ducere mentulam ad Priapi.<br />
ergo quidquid id est, quod otiosus<br />
templi parietibus tui notavi,<br />
in partem accipias bonam, rogamus.<br />
2 Possibile gioco di parole con il significato di testes = testicoli.<br />
3 Il termine hortus era usato anche in senso erotico.<br />
12
II – GIUSTIFICAZIONE DEL POETA<br />
Per scherzo o Priapo, che nei sei testimonio,<br />
ho scritto queste poesie, degne di un orticello<br />
e non di un libro, senza troppo impegno.<br />
E neppure, come usano i poeti, ho invocato<br />
le muse in questo luogo non virginale:<br />
perché mi sarebbero mancati i sensi e il cuore<br />
di condurre il coro delle caste sorelle Pieridi<br />
davanti al membro di Priapo.<br />
Perciò ti prego di non prendertela a male<br />
per qualunque cosa io, non avendo di meglio<br />
da fare, abbia scritto sulle pareti del tuo tempio.<br />
13
III - PRIAPO A UN RAGAZZO<br />
Obscure poteram tibi dicere: “da mihi, quod tu<br />
des licet assidue, nil tamen inde perit.<br />
da mihi, quod cupies frustra dare forsitan olim,<br />
cum tenet obsessas invida barba genas,<br />
quodque Iovi dederat qui raptus ab alite sacra 4<br />
miscet amatori pocula grata suo,<br />
quod virgo prima cupido dat nocte marito,<br />
dum timet alterius volnus inepta loci.”<br />
simplicius multo est 'da pedicare' Latine<br />
dicere. quid faciam? crassa Minerva mea est.<br />
4 Ganimede<br />
14
III - PRIAPO A UN RAGAZZO<br />
Con eufemismi potrei dirti:<br />
“Dammi ciò tu puoi dare di continuo: tanto mica si consuma!<br />
Dammi ciò che forse un tempo avrai voglia di dare invano<br />
quando avrai le guance ricoperte da una barba invidiosa;<br />
Ciò che diede a Giove quel tale rapito dal sacro uccello e<br />
che riempie le coppe al suo gradito amante;<br />
Ciò che la vergine dà al marito voglioso la prima notte di<br />
nozze, temendo, l’inesperta, la ferita nell’altro posto”.<br />
Ma è molto più semplice dirti da buon romano “dammi il<br />
culo”. Che vuoi che ci faccia, la mia Minerva è volgare.<br />
15
IV - DEDICA DI LALAGE<br />
Obscaenas rigido deo tabellas<br />
dicans ex Elephantidos 5 libellis<br />
dat donum Lalage rogatque, temptes,<br />
si pictas opus edat ad figuras.<br />
V – LA LEGGE DI PRIAPO<br />
Quam puero legem fertur dixisse Priapus,<br />
versibus his infra scripta duobus erit:<br />
'quod meus hortus habet sumas inpune licebit,<br />
si dederis nobis quod tuos hortus habet.'<br />
16<br />
IV - DEDICA DI LALAGE<br />
5 Elefantide è una scrittrice di un libro osceno citata da Svetonio<br />
nella vita di Tiberio. Il testo non era ovviamente illustrato, ma qualche<br />
pittore si era ispirato ad esso per fare una serie di quadretti illustranti<br />
“le nuove posizioni”. Siccome qualcuno aveva letto “nove”<br />
invece di “nuove” in certi testi si legge che il testo esponeva “le nove<br />
posizioni”.<br />
Secondo certi studi potrebbe essere stato lo pseudonimo di Sulpicia,<br />
amica di Ovidio
Lalage, mentre dedica al dio arrapato<br />
questi osceni quadretti<br />
ispirati ai libelli di Elefantide,<br />
lo prega di voler provare se ciò che sa fare<br />
ben renda le posizioni dipinte<br />
V – LA LEGGE DI PRIAPO<br />
Qui sotto è scritta in due versi<br />
la legge che Priapo, a quanto si dice,<br />
stabilì per il ragazzo:<br />
“Tu puoi prendere impunemente<br />
ciò che è nel mio orto<br />
se ci darai ciò che ha il tuo orto”<br />
17
VI – PRIAPO MINACCIA UNA DONNA<br />
Quod sum ligneus, ut vides, Priapus<br />
et falx lignea ligneusque penis,<br />
prendam te tamen et tenebo prensum<br />
totamque hanc sine fraude, quantacunque est,<br />
tormento citharaque tensiorem<br />
ad costam tibi septimam recondam.<br />
VII - PRIABO È BLESO<br />
Cum loquor, una mihi peccatur littera; nam T<br />
P dico semper blaesaque lingua mihi est. 6<br />
6 Chi è bleso non pronunzia la “r” e quindi invece di dire “te predico”,<br />
nel senso di “ti avviso di non entrare” dice “te pedico”.<br />
18
VI – PRIAPO MINACCIA UNA DONNA<br />
Benché, come vedi, io sia di legno<br />
e così lo siano la falce e il pene,<br />
tuttavia ti prenderò e ti terrò stretta<br />
e tutto quest’affare,<br />
più teso della corda della cetra,<br />
per quanto è lungo e senza inganno,<br />
fino alla settima costola te lo infilo.<br />
VII - PRIABO È BLESO<br />
Quando parlo, sempre mi confondo su una<br />
lettera; la mia lingua è blesa e dico sempre<br />
“ti inculo”.<br />
19
VIII – CASTE MATRONE<br />
Matronae procul hinc abite castae:<br />
turpe est vos legere inpudica verba.<br />
non assis faciunt euntque recta:<br />
nimirum sapiunt videntque magnam<br />
matronae quoque mentulam libenter.<br />
IX – L’ARMA DI PRIAPO<br />
Cur obscaena mihi pars sit sine veste, requirens<br />
quaere, tegat nullus cur sua tela deus.<br />
fulmen habens mundi dominus tenet illud aperte;<br />
nec datur aequoreo fuscina tecta deo.<br />
nec Mavors illum, per quem valet, occulit ensem;<br />
nec latet in tepido Palladis hasta sinu.<br />
num pudet auratas Phoebum portare sagittas?<br />
clamne solet pharetram ferre Diana suam?<br />
num tegit Alcides nodosae robora clavae?<br />
sub tunica virgam num deus ales habet?<br />
quis Bacchum gracili vestem praetendere thyrso,<br />
quis te celata cum face vidit, Amor?<br />
nec mihi sit crimen, quod mentula semper aperta est:<br />
hoc mihi si telum desit, inermis ero.<br />
VIII – CASTE MATRONE<br />
Caste signore, andatevene da questo posto:<br />
20
è sconveniente che voi leggiate queste<br />
turpi parole.<br />
Ma esse se ne fanno un baffo e continuano<br />
per la loro strada:<br />
È vero, anche le signore apprezzano e guardano<br />
volentieri un ben grosso arnese.<br />
IX – L’ARMA DI PRIAPO<br />
Mi chiedi perché le mie parti oscene non siano coperte da<br />
una veste? Ed io ti chiedo perché nessun dio copra le sue<br />
insegne. Il padrone del mondo ha il fulmine e lo tiene ben<br />
in vista; Né al dio del mare è stato dato un tridente nascosto,<br />
Né Marte nasconde quella spada per cui egli vale,<br />
Né la lancia di Pallade è nascosta nel suo tiepido seno.<br />
Forse che Febo si vergogna di portare le sue frecce<br />
d’oro? E Diana porta forse le sue frecce in modo nascosto?<br />
Forse che Alcide nasconde la potenza della sua clava<br />
nodosa? Forse che il dio alato tiene il suo caduceo sotto<br />
la tunica?<br />
Chi ha mai visto Bacco stendere la sua veste sull’esile<br />
tirso, Chi vide te, o Amore, con la torcia celata? Perciò<br />
neppure per me sia un delitto se il mio membro è sempre<br />
in mostra,<br />
Se questa mia arma non appare, sarei disarmato.<br />
21
X – RAGAZZA CHE RIDE<br />
Insulsissima quid puella rides?<br />
non me Praxiteles Scopasve fecit,<br />
non sum Phidiaca manu politus 7 ;<br />
sed lignum rude vilicus dolavit<br />
et dixit mihi 'tu Priapus esto'.<br />
spectas me tamen et subinde rides:<br />
nimirum tibi salsa res videtur<br />
adstans inguinibus columna nostris.<br />
XI – MINACCE AD UN RAGAZZO<br />
Ne prendare cave. prenso nec fuste nocebo,<br />
saeva nec incurva volnera falce dabo:<br />
traiectus conto sic extendere pedali,<br />
ut culum rugam non habuisse putes.<br />
X – RAGAZZA CHE RIDE<br />
Perché ridi stupidissima ragazza?<br />
7 Le statue degli antichi erano colorate.<br />
22
Non sono stato scolpito né da Prassitele né da Scopa<br />
né levigato dalla mano di Fidia,<br />
ma un rustico contadino mi ha sgrossato<br />
e mi ha detto “tu sei Priapo”<br />
Eppure mi guardi e continui a ridere?<br />
Ci credo, a te deve sembrare buffa<br />
questa colonna che svetta dal mio pube.<br />
XI – MINACCE AD UN RAGAZZO<br />
Attento a non farti prendere! Se ti prendo<br />
non ti farò male col bastone, né ti darò<br />
crudeli ferite con la falce curva:<br />
trafitto da questo piolo lungo un piede,<br />
sarai così allargato che potrai far conto<br />
di non aver più grinze al culo.<br />
23
XII – UNA VECCHIACCIA<br />
Quaedam iunior Hectoris parente,<br />
Cumaeae soror, ut puto, Sibyllae,<br />
aequalis tibi, quam domum revertens<br />
Theseus repperit in rogo 8 iacentem,<br />
infirmo solet huc gradu venire<br />
rugosasque manus ad astra tollens,<br />
ne desim sibi mentula, rogare.<br />
hesterna quoque luce dum precatur,<br />
dentem de tribus excreavit unum.<br />
'tolle' inquam 'procul et iube latere<br />
scissa sub tunica stolaque rufa,<br />
ut semper solet et timere lucem<br />
qui tanto patet indecens hiatu,<br />
barbato macer eminente naso,<br />
ut credas Epicuron oscitari.<br />
8 Si riferisce ad Ecate che, secondo un poemetto di Callimaco, aveva<br />
ospitato Teseo; questi, al suo ritorno dalla lotta con il toro maratonio,<br />
la trova morta, distesa su di un rogo.<br />
24
XII – UNA VECCHIACCIA<br />
Una donna, meno giovane della madre di Ettore<br />
e sorella, a quanto stimo, della Sibilla cumana,<br />
coetanea di quella che Teseo, ritornando a casa,<br />
trovò stesa su di un rogo,<br />
È solita venir qua con passo traballante e,<br />
alzando alle stelle le sue mani rugose, prega<br />
perché non le venga a mancare un membro.<br />
Ieri mentre pregava in tal modo, dei suoi ultimi<br />
tre denti ne ha sputato fuori uno.<br />
“Toglimi dai piedi” gridai, quel tuo conno, e fallo stare<br />
ben nascosto sotto la tua tunica lacera e la tua stola rossa,<br />
come fa di solito, e tema la luce, esso che sta spalancato<br />
in modo così indecente che mi ricorda Epicuro che sbadiglia<br />
tutto magro con il suo naso prominente.”<br />
25
XIII - AVVISO AD UN RAGAZZO<br />
Percidere puer, moneo: futuere puella:<br />
barbatum furem termia 9 poena manet.<br />
XIV – INVITO NEL TEMPIETTO<br />
Huc huc, quisquis es, in dei salacis<br />
deverti grave ne puta sacellum.<br />
et si nocte fuit puella tecum,<br />
hac re quod metuas adire, non est.<br />
istud caelitibus datur severis:<br />
nos vappae sumus et pusilla culti<br />
ruris numina, nos pudore pulso<br />
stamus sub Iove coleis apertis.<br />
ergo quilibet huc licebit intret<br />
nigri fornicis 10 oblitus favilla.<br />
26<br />
XIII - AVVISO AD UN RAGAZZO<br />
9 Cioè prenderlo in bocca.<br />
10 Erano i portici sotto cui esercitavano le prostitute.
Io ti avverto, bel ragazzo, tu verrai inculato,<br />
E tu, bella fanciulla, verrai fottuta.<br />
Al ladro peloso spetterà la terza pena.<br />
XIV – INVITO NEL TEMPIETTO<br />
Qui, qui, chiunque tu sia, non credere di poter<br />
evitare di passare presso il tempio austero<br />
del dio lascivo.<br />
E se di notte ti accompagna una ragazza,<br />
non vi è motivo perché tu debba aver paura di venire da<br />
me. Questo rispetto è dovuto ai severi dei del cielo. Noi<br />
siamo dei perdigiorno, piccoli numi di<br />
un dio campestre e, abbandonato ogni pudore, ce ne<br />
stiamo con i coglioni al vento sotto gli occhi di Giove.<br />
Perciò qui entri pure chiunque, anche se è ancora tutto<br />
sporco della nera fuliggine del bordello.<br />
27
XV – MINACCE AI LADRI<br />
Commisso mihi non satis modestas<br />
quicunque attulerit manus agello,<br />
is me sentiet esse non spadonem.<br />
dicat forsitan hoc: 'tibine quisquam<br />
hic inter frutices loco remoto<br />
percisum sciat esse me', sed errat:<br />
magnis testibus 11 ista res agetur.<br />
XVI – OFFERTE DI MELE AL DIO<br />
Qualibus Hippomenes rapuit Schoeneida 12 pomis,<br />
qualibus Hesperidum nobilis hortus erat,<br />
qualia credibile est spatiantem rure paterno<br />
Nausicaam pleno saepe tulisse sinu,<br />
quale fuit malum, quod littera pinxit Aconti,<br />
qua lecta est cupido pacta puella viro 13 :<br />
qualiacunque, pius dominus florentis agelli<br />
imposuit mensae, nude Priape, tuae.<br />
11<br />
Testes significa sia testimoni chee testicoli.<br />
12<br />
Si riferisce alla storia della corsa fra Ippomene ed Atalanta e delle<br />
tre mele d’oro.<br />
13<br />
Si riferisce allo storia, narrata, da Aristeneto e ripresa da Ovidio<br />
nelle Heroides, del giovane Aconzio che a Delo, per farsi amare da<br />
Cidippe mentre si trova nel tempio di Diana, le fa rotolare una mela<br />
su cui ha scritto ”Aconzio, ti amo e giuro in nome di Diana che ti<br />
sposerò”. La vergine legge la frase e rimane vincolata al giuramento.<br />
28
XV – MINACCE AI LADRI<br />
Chi cercherà di saccheggiare con le sue mani<br />
da ladro questo campicello che mi è stato affidato,<br />
sentirà su sé stesso che non sono un castrato.<br />
Forse egli fra sé e sé dirà “nessuno verrà mai a sapere che<br />
io sono stato rotto di dietro in questo luogo remoto fra i<br />
cespugli”.<br />
Ma si sbaglia, perché la cosa si svolgerà davanti a dei<br />
grossi testimoni.<br />
XVI – OFFERTE DI MELE AL DIO<br />
Quelle mele con cui Ippomene rapì la figlia<br />
di Scheneo;<br />
quelle mele per cui era famoso il giardino<br />
delle Esperidi;<br />
quelle di cui è verosimile che Nausicaa si riempisse spesso<br />
il seno della veste quando girava nei poderi paterni;<br />
quella su cui Aconzio scrisse il messaggio che, letto dalla<br />
fanciulla la vincolò al cupido marito:<br />
tutte queste mele, o nudo Priapo, il pio padrone di questo<br />
florido campicello ha posto sulla tua mensa.<br />
29
XVII - AL GUARDIANO DELL’ORTO<br />
Quid mecum tibi, circitor moleste?<br />
ad me quid prohibes venire furem?<br />
accedat, sine: laxior redibit.<br />
XVIII – AVERCELO GRANDE<br />
Commoditas haec est in nostro maxima pene,<br />
laxa quod esse mihi femina nulla potest.<br />
XIX - LODE DI UNA DANZATRICE<br />
Hic quando Telethusa circulatrix 14 ,<br />
quae clunem tunica tegente nulla<br />
exstans altius altiusque motat,<br />
crisabit tibi fluctuante lumbo:<br />
haec sic non modo te, Priape, posset,<br />
privignum quoque sed movere Phaedrae.<br />
XVII - AL GUARDIANO DELL’ORTO<br />
Che vuoi da me, o molesto guardiano?<br />
14 Circulatrix era la prostituta che esercitava all’aperto e si distingueva<br />
dallo scortum che era la prostituita che esercitava in bordello; ma<br />
i testi in cui vengono usati i termini sono troppo pochi per essere<br />
sicuri su questa distinzione; talvola con circulatrix viene indicata<br />
una danzatrice girovaga.<br />
30
Perche impedisci al ladro di venire da me?<br />
Lascialo venire: se ne andrà ben allargato!<br />
XVIII – AVERCELO GRANDE<br />
Un vantaggio ben grande ha il mio pene:<br />
che nessuna donna è per me troppo larga.<br />
XIX - LODE DI UNA DANZATRICE<br />
Quando la passeggiatrice Telethusa qui agita in lungo e<br />
in largo le chiappe non coperte da alcuna veste e stando a<br />
cavalcioni ben ti sbatte scuotendo le anche e dimenando<br />
le cosce: in tal modo potrebbe arrapare non solo te, o<br />
Priapo, ma anche il figliastro di Fedra.<br />
XX – L’ARMA DI PRIAPO<br />
Fulmina sub Iove sunt; Neptuni fuscina telum;<br />
ense potens Mars est; hasta, Minerva, tua est;<br />
sutilibus Liber committit proelia thyrsis;<br />
fertur Apollinea missa sagitta manu;<br />
31
Herculis armata est invicta dextera clava:<br />
at me terribilem mentula tenta facit.<br />
XXI – UN LADRO A PRIAPO<br />
Copia me perdit: tu suffragare rogatus,<br />
indicio nec nos prode, Priape, tuo,<br />
quaeque tibi posui tamquam vernacula poma,<br />
de sacra 15 nulli dixeris esse via.<br />
XXII – PENE PER I LADRI<br />
Femina si furtum faciet mihi virve puerve,<br />
haec cunnum, caput hic praebeat, ille nates.<br />
15 Era la via che attraversava i Fori imperiali<br />
32
XX – L’ARMA DI PRIAPO<br />
Giove comanda ai fulmini; il tridente è l’arma di Nettuno.<br />
Marte si fa forte della sua spada e la lancia è tua , oh<br />
Minerva. Bacco va in battaglia con i tirsi legati; si narra<br />
che le frecce vengano scagliate dalla mano di Apollo;<br />
l’invitta destra di Ercole è armata di una clava. A me è il<br />
membro duro che mi rende terribile.<br />
XXI – UN LADRO A PRIAPO<br />
La quantità mi frega: tu che invoco per aiuto, o Priapo,<br />
non farmi la spia; non dire a nessuno che queste mele<br />
domestiche vengono dalla Via Sacra.<br />
XXII – PENE PER I LADRI<br />
Se mi derubano una donna o un uomo o un giovincello,<br />
quella mi offra la fica, il secondo la testa, il terzo le natiche.<br />
33
XXIII – MALEDIZIONE DEI LADRI<br />
Quicunque hic violam rosamve carpet<br />
furtivumque holus aut inempta poma,<br />
defectus pueroque feminaque<br />
hac tentigine, quam videtis in me,<br />
rumpatur, precor, usque mentulaque<br />
nequiquam sibi pulset umbilicum.<br />
XXIV - AVVISO AI LADRI<br />
Hic me custodem fecundi vilicus horti<br />
mandati curam iussit habere loci.<br />
fur habeas poenam, licet indignere 'feram'que<br />
'propter holus 16 ' dicas 'hoc ego?' 'propter 17 holus'.<br />
16 Holus è termine gnerico per le verdure.<br />
17 Alcuni leggono prope e quindi la traduzione diventa “devo prenderlo<br />
proprio vicino ad una insalata (o cavolo)?<br />
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XXIII – MALEDIZIONE DEI LADRI<br />
Chiunque qui prende una rosa o una viola,<br />
o verdura furtiva o mele non vendute, prego che se non<br />
ha a disposizione una donna o un giovincello sia tormentato<br />
da quel tiramento che vedete in me e che il membro<br />
gli continui a sbattere a vuoto sull’ombelico.<br />
XXIV - AVVISO AI LADRI<br />
Il contadino ha incaricato me di essere il custode di questo<br />
orto fecondo e di aver cura del luogo affidatomi. Tu<br />
quindi, o ladro, riceverai la tua punizione anche se ti arrabbierai<br />
e dirai “devo subire questo per un’insalata? “Sì,<br />
proprio per un’insalata”<br />
35
XXV – AVVISO AI LADRI<br />
Hoc sceptrum, quod ab arbore est recisum<br />
nulla et iam poterit virere fronde,<br />
sceptrum, quod pathicae petunt puellae,<br />
quod quidam cupiunt tenere reges,<br />
quoi dant oscula nobiles cinaedi 18 ,<br />
intra viscera furis ibit usque<br />
ad pubem capulumque coleorum.<br />
18 Il termine, come per circulatrix, indicava anche gente da fiera, ma<br />
poi è passato ad indicare il finocchio. Uso questo termine perché ha<br />
una sicura affermazione storica fin dal medioevo e non vi è ragione<br />
per cui noi soli si debba ricorrere a parole straniere. Nel medioevo<br />
erano già molto amati fra studenti e buffoni i giochi di parole allusive<br />
e le parole che terminavano in culum erano molto utili. Il finocchio<br />
(verdura) in latino si chiama foeniculus ed era quindi normale<br />
che si facessero battute dicendo, ad esempio, che il tal cavaliere dava<br />
volentieri il suo foeni-culum. La stessa identica origine ha il termine<br />
orecchione per le battute derivate dalla parola orecchio che in latino<br />
fa auriculum. La prova che la parola finocchio era usata già nel Rinascimento<br />
si trova in poesie e canti carnascialeschi in cui si parla di<br />
“mettere il finocchio fra le mele” (Cfr.V. Loggione e Giovanni Casalegno,<br />
Dizionario Storico del lessico erotico italiano, 1996).<br />
36
XXV - AVVISO AI LADRI<br />
Questo scettro che è stato reciso dall’albero e che mai più<br />
potrà verdeggiare di fronde.<br />
È lo scettro che desiderano le impudiche ragazze,<br />
che amano tenere in mano alcuni re,<br />
che baciano i noti finocchi.<br />
Questo scettro entrerà nelle viscere del ladro fino al pube<br />
e alla radice dei coglioni.<br />
XXVI – PRIAPO È SPOMPATO<br />
Porro — nam quis erit modus? — Quirites<br />
37
aut praecidite seminale membrum,<br />
quod totis mihi noctibus fatigant<br />
vicinae sine fine prurientes<br />
vernis passeribus salaciores,<br />
aut rumpar nec habebitis Priapum.<br />
ipsi cernitis, effututus ut sim<br />
confectusque macerque pallidusque,<br />
qui quondam ruber et valens solebam<br />
fures caedere quamlibet valentes.<br />
defecit latus et periculosam<br />
cum tussi miser expuo salivam.<br />
XXVII - VOTO DI UNA DANZATRICE<br />
Deliciae populi, magno notissima circo<br />
Quintia, vibratas docta movere nates,<br />
cymbala cum crotalis, pruriginis arma, Priapo<br />
ponit et adducta tympana pulsa manu:<br />
pro quibus, ut semper placeat spectantibus, orat,<br />
tentaque ad exemplum sit sua turba dei.<br />
XXVI – PRIAPO È SPOMPATO<br />
Or dunque o Quiriti (che altro si può mai fare?) o mi tagliate<br />
il membro seminale che tutte le notti viene sfinito<br />
dalle mie vicine con un prurito inesauribile e più libidi-<br />
38
nose dei passeri di primavera, oppure lasciatelo rompere<br />
e non avrete più un Priapo. Guardate voi stessi come sono<br />
stato spompato, come sono ridotto magro e pallido, io<br />
che una volta era rubicondo e forte e solevo inculare i<br />
ladri, anche i più robusti.<br />
Sono sderenato e quando tossisco, me misero, sputo una<br />
saliva da malato.<br />
XXVII - VOTO DI UNA DANZATRICE<br />
Io Quinzia, delizia del popolo, famosa nel Circolo Massimo,<br />
esperta nel muovere le sue vibranti natiche, dedica<br />
a Priapo questi cimbali e questi crotali, armi di arrapamento,<br />
e i timpani percossi dalla mano stretta. In cambio<br />
di prega di far sì che essa possa sempre piacere agli spettatori<br />
e che la schiera dei suoi amanti l’abbia sempre duro<br />
come il dio.<br />
39
XXVIII – A UN LADRO<br />
Tu, qui non bene cogitas et aegre<br />
carpendo tibi temperas ab horto,<br />
pedicabere fascino pedali.<br />
quod si tam gravis et molesta poena<br />
non profecerit, altiora tangam.<br />
XXIX – UN PASSANTE A PRIAPO<br />
Obscaenis, peream, Priape, si non<br />
uti me pudet inprobisque verbis.<br />
sed cum tu posito deus pudore<br />
ostendas mihi coleos patentes,<br />
cum cunno mihi mentula est vocanda.<br />
XXX – AD UN PASSANTE<br />
“Falce minax et parte tua maiore, Priape,<br />
ad fontem, quaeso, dic mihi qua sit iter.”<br />
vade per has vites, quarum si carpseris uvam,<br />
cur aliter sumas, hospes, habebis aquam.<br />
XXVIII – A UN LADRO<br />
Tu che hai cattivi pensieri e a stento ti trattieni dallo sva-<br />
40
ligiare l’orto, sarai inculato da questo membro lungo un<br />
piede. E se non ti basta una pena così grave e molesta,<br />
colpirò più in alto!<br />
XXIX – UN PASSANTE A PRIAPO<br />
Che possa morire o Priapo se non mi vergogno di usare<br />
parole sconce e oscene; ma quanto tu, che sei un dio, lasciato<br />
da parte ogni pudore mi esibisci i tuoi coglioni in<br />
bella mostra, anche a me vien da dire cazzo e fica.<br />
XXX – AD UN PASSANTE<br />
“Dimmi, ti prego o Priapo così minaccioso con la tua falce<br />
e con la parte più grane del tuo corpo, quale è la strada<br />
per la fonte?”<br />
- Vai avanti per queste vigne, ma attento forestiero, che<br />
se prenderai l’uva riceverai un’acqua ben diversa da<br />
quella che ti aspetti.<br />
XXXI – AD UNA DONNA<br />
Donec proterva nil mei manu carpes,<br />
licebit ipsa sis pudicior Vesta.<br />
sin, haec mei te ventris arma laxabunt,<br />
exire ut ipse de tuo queas culo.<br />
41
XXXII – LA VISITATRICE ANORESSICA<br />
Uvis aridior puella passis,<br />
buxo pallidior novaque cera,<br />
collatas sibi quae suisque membris<br />
formicas facit altiles videri;<br />
quoius viscera non aperta Tuscus<br />
per pellem poterit videre aruspex;<br />
quae suco caret ut putrisque pumex, 19 ,<br />
nemo viderit hanc ut expuentem;<br />
quam pro sanguine pulverem scobemque<br />
in venis medici putant habere —<br />
ad me nocte solet venire et affert<br />
pallorem maciemque larualem.<br />
ductor ferreus insulariusve<br />
lanternae videor fricare cornu. 20<br />
XXXI – AD UNA DONNA<br />
Fino a che non prendere nulla di mio con la tua mano<br />
sfrontata, potrai essere più pudica di Vesta stessa, altrimenti<br />
quest’arma del mio ventre ti allargherà talmente<br />
che potrai uscire dal tuo stesso culo.<br />
19<br />
La pomice era usata in molte espressioni latine proprio come simbolo<br />
di aridità, ed avarizia; come noi diciamo “cavar sangue da una<br />
rapa”, i latini dicevano “cavar aqua dalla pomice”<br />
20<br />
Testo latino incerto. Si ipotizza che vi fossero incaricati della pulzia<br />
delle lanterne.<br />
42
XXXII – LA VISITATRICE ANORESSICA<br />
Una ragazza più secca dell’uva passa,<br />
più pallida del legno di bosso e della cera novella, che fa<br />
sembrare le formiche, in paragone alle sue membra e al<br />
suo corpo, bestie all’ingrasso, le cui viscere l’aruspice<br />
etrusco può esaminare attraverso la pelle, senza aprirla,<br />
che ha meno liquidi della polvere di pomice una che non<br />
è mai stata vista sputare, una che i medici giudicano aver<br />
polvere e segatura al posto del sangue, suol venire da me<br />
di notte portandomi il suo pallore e la sua macilenza spettrale.<br />
Mi sembra proprio di essere il ferraiolo del quartiere che<br />
sfrega la lanterna di corno.<br />
XXXIII – I PRIAPI DI UNA VOLTA<br />
Naidas antiqui Dryadasque habuere Priapi,<br />
et quo tenta dei vena subiret, erat.<br />
nunc adeo nihil est, adeo mea plena libido est,<br />
ut Nymphas omnis interiisse putem.<br />
turpe quidem factu, sed ne tentigine rumpar,<br />
falce mihi posita fiet amica manus.<br />
43
XXXIV – DEDICA<br />
Cum sacrum fieret deo salaci,<br />
conducta est pretio puella parvo<br />
communis satis omnibus futura:<br />
quae quot nocte viros peregit una,<br />
tot verpas tibi dedicat salignas.<br />
XXXV - MINACCE<br />
Pedicabere, fur, semel; sed idem<br />
si prensus fueris bis, irrumabo;<br />
quod si tertia furta molieris,<br />
ut poenam patiare et hanc et illam,<br />
pedicaberis irrumaberisque.<br />
XXXIII – I PRIAPI DI UNA VOLTA<br />
I Priapi di una volta avevano attorno a sé Naiadi Driadi e<br />
dove il teso membro entrava, era cosa fatta!<br />
Ora non c’è più nulla, ora la mia lussuria è talmente al<br />
massimo che mi pare che tutte le Ninfe siano estinte. È<br />
una cosa squallida, ma per evitare che il membro si spezzi<br />
per il troppo tirare, poserò la falce<br />
e mi aiuterà la mia amica mano.<br />
XXXIV – DEDICA<br />
Al sacrificio dedicato al dio della lussuria<br />
44
venne assunta per poco prezzo una ragazza che soddisfacesse<br />
tutti finché ne avessero voglia;<br />
ed essa, per ogni maschio che ha sbrigato quella notte,<br />
dedica a te altrettanti membri di legno di salice.<br />
XXXV - MINACCE<br />
La prima volta, o ladro, ti inculerò; ma se ti fai prendere<br />
un’altra volta lo prenderai in bocca e ti allatterò; ma se<br />
commetterai un terzo furto subirai entrambe le pene: lo<br />
prenderai di dietro e in bocca.<br />
XXXVI – DOTE FISICA<br />
Notas habemus quisque corporis formas:<br />
Phoebus comosus, Hercules lacertosus,<br />
trahit figuram virginis tener Bacchus,<br />
Minerva ravo 21 lumine est, Venus paeto,<br />
fronte crinitos Arcadas vides Faunos,<br />
21 Testo corrotto; alcuni leggono Minerva flava e riferiscono lumine<br />
a Venere. Nel verso sotto invece di fronte crinitos, si legge fronte<br />
cornua. Il messaggero degli dei era Mercurio, il dio di Lemno, Vulcano.<br />
45
habet decentes nuntius deum plantas,<br />
tutela Lemni dispares movet gressus,<br />
intonsa semper Aesculapio barba est,<br />
nemo est feroci pectorosior Marte:<br />
quod si quis inter haec locus mihi restat,<br />
deus Priapo mentulatior non est.<br />
XXXVI – DOTE FISICA<br />
Ognuno di noi ha delle note particolarità fisiche;<br />
Febo era ben chiomato, Ercole muscoloso, il fanciullo<br />
Bacco aveva figura virginea, Minerva ha gli occhi castani<br />
e Venere un po’ strabici; tu vedi i Fauni dell’Arcadia con<br />
i capelli sulla fronte; il messaggero degli dei ha piedi<br />
gradevoli; il dio tutelare di Lemo fa un passo lungo e uno<br />
corto, la barba Esculapio è sempre intonsa, nessuno ha un<br />
torace piò robusto del bellicoso Marte.<br />
Ma se rimane un posticino per mettermi fra costoro, non<br />
vi è dio con membro più grande di Priapo.<br />
46
XXXVII – TAVOLETTA VOTIVA<br />
Cur pictum memori sit in tabella<br />
membrum quaeritis, unde procreamur?<br />
cum penis mihi forte laesus esset<br />
chirurgique manum miser timerem,<br />
dis me legitimis nimisque magnis,<br />
ut Phoebo puta filioque Phoebi,<br />
curatum dare mentulam verebar;<br />
huic dixi: “fer opem, Priape, parti,<br />
quoius tu, pater, ipse pars videris;<br />
qua salva sine sectione facta<br />
ponetur tibi picta, quam levaris,<br />
compar consimilisque concolorque.”<br />
promisit fore mentulamque movit<br />
pro nutu deus et rogata fecit.<br />
XXXVIII – PATTI CHIARI<br />
Simpliciter tibi me, quodcunque est, dicere oportet,<br />
natura 22 est quoniam semper aperta mihi:<br />
pedicare volo, tu vis decerpere poma;<br />
quod peto, si dederis, quod petis, accipies.<br />
22 Doppio senso<br />
48
XXXVII – TAVOLETTA VOTIVA<br />
Perché vi chiederete in questa tabella votiva è dipinto il<br />
membro con cui veniamo procreati?<br />
Perché il mio pene era si era accidentalmente ferito ed io,<br />
me misero, temendo la mano del chirurgo e non osando<br />
dare il mio membro in cura a quei troppo grandi dei specifici<br />
della medicina come Febo o il figlio di Febo , a te<br />
mi rivolsi “ dai l’opera tua o Priapo a questa parte di cui<br />
tu stesso o padre, sembri essere una parte; fai che si salvi<br />
senza tagliarlo e ti sarà consacrato un dipinto con l’ immagine<br />
di ciò che hai salvato, del tutto eguale per forma<br />
e colore”.<br />
Il dio promise “così sia” facendo un cenno col suo membro,<br />
e fece la grazia.<br />
XXXVIII – PATTI CHIARI<br />
Senza mezzi termini ti devo dir tutto, perché la mia natura<br />
è sempre aperta. Io voglio inculare e tu voi prendere le<br />
mele: se darai ciò che desidero io, prenderai ciò che desideri<br />
tu<br />
XXXIX – I PREGI DI PRIAPO<br />
Forma Mercurius potest placere,<br />
forma conspiciendus est Apollo,<br />
49
formosus quoque pingitur Lyaeus,<br />
formosissimus omnium est Cupido.<br />
me pulcra fateor carere forma,<br />
verum mentula luculenta nostra est:<br />
hanc mavolt sibi quam deos priores<br />
si qua est non fatui puella cunni.<br />
XL – PRIAPO RICEVE UNA CORONA<br />
Nota Suburanas 23 inter Telethusa puellas,<br />
quae, puto, de quaestu libera facta suo est,<br />
cingit inaurata penem tibi, sancte, corona:<br />
hoc pathicae summi numinis instar habent.<br />
XLI – AI VISITATORI<br />
Quisquis venerit huc, poeta fiat<br />
et versus mihi dedicet iocosos.<br />
qui non fecerit, inter eruditos<br />
ficosissimus 24 ambulet poetas.<br />
XXXIX – I PREGI DI PRIAPO<br />
Mercurio può piacere per il bell’aspetto,<br />
Apollo è ammirevole per la bellezza.<br />
Anche Lieo viene dipinto bello e bello sopra tutti è Cupi-<br />
23 La Suburra era il quartiere malfamato di Roma.<br />
24 Le emorroidi erano ritenute un disturbo tipico dei finocchi.<br />
50
do.<br />
Lo ammetto, a me manca un bell’aspetto, ma il mio<br />
membro è davvero magnifico ed è desiderato più degli<br />
altri dei da ogni fanciulla che non abbia la fica insensibile.<br />
XL – PRIAPO RICEVE UNA CORONA<br />
Telethusa, ben conosciuta fra le ragazze della Suburra e<br />
che, come credo, si è resa libera con propri guadagni, ti<br />
cinge, o nume, il pene con una corona dorata; le puttane<br />
lo stimano quanto i grandi numi.<br />
XLI – AI VISITATORI<br />
Chiunque viene qui, si improvvisi poeta e mi dedichi dei<br />
versi giocosi.<br />
Chi non lo farà se ne vada a passeggiare con emorroidi<br />
grosse come fichi fra i poeti eruditi.<br />
51
XLII – OFFERTE DEL CONTADINO<br />
Laetus Aristagoras natis bene vilicus uvis<br />
de cera facta dat tibi poma, deus.<br />
at tu sacrati contentus imagine pomi<br />
fac veros fructus ille, Priape, ferat.<br />
XLIII – CHE PENSANO LE RAGAZZE<br />
Velle quid hanc dicas, quamvis sim ligneus, hastam,<br />
oscula dat medio si qua puella mihi?<br />
augure non opus est: “in me' mihi credite, dixit<br />
'utetur veris viribus 25 hasta rudis.”<br />
XLIV – AI LADRI<br />
Nolite omnia, quae loquor, putare<br />
per lusum mihi per iocumque dici.<br />
deprensos ego ter quaterque fures<br />
omnis, non dubitetis, irrumabo.<br />
52<br />
XLII – OFFERTE DEL CONTADINO<br />
25<br />
Testo controverso; qualcuno legge aptetur veris usibus, altri utetur<br />
Veneris lusibus.
Il contadino Aristagora, felice per la bella crescita<br />
dell’uva, di dona, o dio, delle mele di cera.<br />
Ma tu, se sei contento delle mele consacrate in effige, fa<br />
sì che l’albero porti dei veri frutti.<br />
XLIII – CHE PENSANO LE RAGAZZE<br />
Che cosa pensi che voglia dal mio membro una ragazza<br />
che mi bacia in mezzo sebbene esso sia di legno? Non<br />
c’è bisogno di essere un indovino, essa dice “credetemi,<br />
in me questa rozza verga darà il meglio di sé.<br />
XLIV – AI LADRI<br />
Non crediate che io dica cose per scherzo o per divertirmi.<br />
Tutti i ladri che acchiapperò, non dubitatene, lo prenderanno<br />
in bocca tre o quattro volte.<br />
53
XLV – PETTINARSI DA NEGRA<br />
Cum quendam rigidus deus videret<br />
ferventi caput ustulare ferro,<br />
ut Maurae similis foret puellae,<br />
'heus' inquit “tibi dicimus, cinaede,<br />
uras te licet usque torqueasque,<br />
num tandem prior es puella, quaeso,<br />
quam sint, mentula quos habet, capilli?” 26<br />
XLVI – TROPPO SCHIFOSA<br />
O non candidior puella Mauro,<br />
sed morbosior omnibus cinaedis,<br />
pygmaeo brevior gruem timenti,<br />
ursis asperior pilosiorque,<br />
Medis laxior Indicisve bracis:<br />
mallem scilicet ut libenter ires; 27<br />
nam quamvis videar satis paratus,<br />
erucarum 28 opus est decem maniplis,<br />
fossas inguinis ut teram dolemque<br />
cunni vermiculos scaturrientis.<br />
XLV – PETTINARSI DA NEGRA<br />
Il dio eretto, vedendo uno che si abbrustoliva i capelli<br />
26 Il senso della frase non è molto chiaro.<br />
27 In altra lettura “manes hinc, licet ut liberet, ires”<br />
28 Era considerata erba afrodisiaca.<br />
54
con un ferro rovente per assomigliare ad una ragazza negra,<br />
gli dice “ noi ti diciamo, o finocchio, fai pure, se<br />
vuoi bruciarti e attorcigliarti i capelli, ma non è meglio<br />
una ragazza che ha già i capelli come i peli del cazzo?<br />
XLVI – TROPPO SCHIFOSA<br />
O ragazza bianca come una negra ma più smidollata di<br />
un finocchio, più piccola di un pigmeo che ha paura anche<br />
di una gru, più irsuta e pelosa dell’orso, più slargata<br />
delle braghe dei Medi o degli Indiani: puoi restare qui o<br />
andartene;<br />
ma sebbene io appaia ben fornito, ci vorranno dieci fasci<br />
di rucola per sbattere la fossa del tuo inguine e mazzolare<br />
i vermi che usciranno dalla tua fica.<br />
XLVII – A CHI NON DEDICA VERSI<br />
Quicunque vestrum, qui venitis ad cenam<br />
libare nullus sustinet mihi versus,<br />
illius uxor aut amica rivalem<br />
lasciviendo languidum, precor, reddat<br />
55
et ipse longa nocte dormiat solus<br />
libidinosis incitatus erucis.<br />
XLVIII – RICORDO DI UNA RAGAZZA<br />
Quod partem madidam mei videtis<br />
per quam significor Priapus esse,<br />
non ros est, mihi crede, nec pruina,<br />
sed quod sponte sua solet remitti,<br />
cum mens est pathicae memor puellae.<br />
XLVIII – GRAFFITI OSCENI<br />
Tu, quicunque vides circa tectoria nostra<br />
non nimium casti carmina plena ioci,<br />
versibus obscaenis offendi desine: non est<br />
mentula subducti nostra supercilii.<br />
XLVII – A CHI NON DEDICA VERSI<br />
A chiunque di voi viene qui a mangiare e non si impegna<br />
a dedicarmi dei versi, io augurerò che la moglie o l’amica<br />
sderenino con la loro lascivia il suo rivale, e che egli<br />
dorma per tutta la lunga notte da solo, arrapato dalla afrodisiaca<br />
rucola.<br />
56
XLVIII – RICORDO DI UNA RAGAZZA<br />
Quando vedete tutta umida quella parte per cui vengo<br />
chiamato Priapo, credetemi, non è rugiada né brina, ma<br />
ciò che se ne esce spontaneamente quando ripenso ad una<br />
lasciva ragazza<br />
XLVIII – GRAFFITI OSCENI<br />
Tu, chiunque tu sia, che vedi sull’intonaco qui attorno<br />
versi non troppo casti, pieni di battute, non offenderti per<br />
quei versi osceni; il nostro membro non è tipo da aggrottar<br />
le sopracciglia!<br />
L – RICHIESTA DI UNA GRAZIA<br />
Quaedam, si placet hoc tibi, Priape,<br />
fucosissima me puella ludit<br />
et nec dat mihi nec negat daturam:<br />
causas invenit usque differendi.<br />
quae si contigerit fruenda nobis,<br />
totam cum paribus 29 , Priape, nostris<br />
29 Non è chiaro che cosa significhi.<br />
57
cingemus tibi mentulam coronis.<br />
LI – L’ORTO DI PRIAPO<br />
Quid hoc negoti est quave suspicer causa<br />
venire in hortum plurimos meum fures,<br />
cum, quisquis in nos incidit, luat poenas<br />
et usque curvos excavetur ad lumbos?<br />
non ficus hic est praeferenda vicinae<br />
uvaeve, quales flava legit Arete,<br />
non mala truncis adserenda Picenis<br />
pirumve, tanto quod periculo captes,<br />
magisve cera luteum nova prunum<br />
sorbumve ventres lubricos moraturum.<br />
Praesigne 30 rami nec mei ferunt morum<br />
nucemve longam, quae vocatur avellana<br />
L – RICHIESTA DI UNA GRAZIA<br />
Una certa ragazza troppo falsa (se, o Priapo vuoi concedermi<br />
la tua benevolenza) mi prende in giro, e non me la<br />
dà, ma neppure dice di non volermela dare: sempre trova<br />
una scusa per rimandare.<br />
Se tu farai sì che me la possa godere, o Priapo, cingeremo<br />
tutto il tuo membro con le nostre ghirlande.<br />
30 In altra lezione: praepingue.<br />
58
LI – L’ORTO DI PRIAPO<br />
Ma che problema c’è? Perché dovrei avere dei dubbi per<br />
il fatto che tanti ladri preferiscano venire nel mio orto,<br />
visto che chiunque mi capita sotto, paga lo scotto e viene<br />
allargato fino alla sua schiena piegata? Qui non c’è un<br />
fico da preferire a quello del vicino, non vi è uva pari a<br />
quella raccolta dalla bionda Arete 31 , non mele innestate<br />
ai tronchi piceni, non il pero che cogli con tanto rischio<br />
di prenderlo di dietro, o la prugna bionda come la cera<br />
novella, o il sorbo che frena gli intestini troppo sciolti.<br />
Né i miei rami portano la grossa mora, né l’oblunga nocciola<br />
detta avellana, né la mandorla splendente del suo<br />
fiore purpureo. Non mi vanto di produrre piante di cavolo<br />
o bietole più di qualsiasi altro orto, né il porro che continua<br />
a crescere dalla sua testa. Né credo che qualcuno<br />
venga per le zucche ricche di semi o<br />
amygdalumve flore purpurae fulgens.<br />
non brassicarum ferre glorior caules<br />
betasve, quantas hortus educet nullus,<br />
crescensve semper in suom caput porrum.<br />
nec seminosas ad cucurbitas quemquam<br />
ad ocimumve cucumeresque humi fusos<br />
venire credo sessilesve lactucas<br />
acresque cepas aliumque furatum,<br />
nec ut salaces nocte tollat erucas<br />
mentamque olentem cum salubribus rutis.<br />
quae cuncta quamvis nostro habemus in saepto,<br />
non pauciora proximi ferunt horti.<br />
31 Moglie di Antinoo, re dei Feaci<br />
59
quibus relictis in mihi laboratum<br />
locum venitis, improbissimi fures:<br />
nimirum apertam convolatis ad poenam,<br />
hoc vos et ipsum, quod minamur, invitat.<br />
per il basilico o per i cocomeri sparsi sulla terra o per<br />
l’insalata con le foglie stese a terra. Né per rubare di notte<br />
la piccante rucola o la menta odorosa assieme alla salubre<br />
ruta o le cipolle pungenti o l’aglio fibroso. Perché<br />
tutte queste cose che sono nel mio orto recintato, non<br />
crescono da meno negli orti vicini. Ed invece voi, ladri<br />
scellerati, trascurate gli altri e venite tutti nel mio orto<br />
così curato. Ma non è strano che voi accorriate alla ben<br />
esibita pena: per voi ciò che vi minacciamo è un invito!<br />
60
LII – TERRIBILI MINACCE<br />
Heus tu, non bene qui manum rapacem<br />
mandato mihi contines ab horto,<br />
iam primum stator hic libidinosus<br />
alternis et eundo et exeundo<br />
porta te faciet patentiorem.<br />
accedent duo, qui latus tuentur,<br />
pulcre pensilibus peculiati;<br />
qui cum te male foderint iacentem,<br />
ad partes 32 veniet salax asellus<br />
et nil deterius mutuniatus.<br />
quare si sapiet malus, cavebit,<br />
cum tantum sciet esse mentularum.<br />
LIII – PICCOLA OFFERTA<br />
Contentus modico Bacchus solet esse racemo,<br />
cum capiant alti vix cita musta lacus,<br />
magnaque fecundis cum messibus area desit,<br />
in Cereris crines una corona datur.<br />
tu quoque, dive minor, maiorum exempla secutus,<br />
quamvis pauca damus, consule poma boni.<br />
LII – TERRIBILI MINACCE<br />
Ehi tu, che non tieni ben lontano dall’orto che mi è stato<br />
32 Altre lezioni: Ad portam, ad partis.<br />
61
affidato la tua mano rapace: adesso, per prima cosa questa<br />
libidinosa sentinella, entrando e uscendo avanti e indietro,<br />
ti allargherà ben bene il buco.<br />
Verranno poi due che stanno di sentinella ai lati, ben muniti<br />
di organi pendenti; e quando essi ti avranno disteso e<br />
male inculato, arriverà un asinello arrapato e non meno<br />
dotato di me, per cui, chi capisce qualcosa, eviterà il<br />
guaio, ora che sa quanti cazzi l’aspettano<br />
LIII – PICCOLA OFFERTA<br />
Bacco suol accontentarsi di un piccolo grappolo d’uva<br />
mentre gli alti tini si riempiono rapidamente di mosto; e<br />
mentre la grande aia non basta a contenere le messi feconde,<br />
si appende solo una corona di spighe ai capelli di<br />
Cerere. Anche tu, oh dio minore, segui l’esempio dei<br />
grandi dei, ed anche se ti diamo poco, accetta di buon<br />
grado queste mele.<br />
LIV - REBUS<br />
CD si scribas temonemque insuper addas,<br />
qui medium volt te scindere, pictus erit. 33<br />
33 Battuta non molto chiara; in alcun testi è scritto ED. Forse voleva<br />
62
LV – IL FURTO DELLA FALCE<br />
Credere quis possit? falcem quoque - turpe fateri —<br />
de digitis fures subripuere <strong>meis</strong>.<br />
nec movet amissi tam me iactura pudorque<br />
quam praebent iustos altera tela metus:<br />
quae si perdidero, patria mutabor 34 , et olim<br />
ille tuos civis, Lampsace, Gallus 35 ero.<br />
LIV - REBUS<br />
Scrivi CD e aggiungici sopra un palo; avrai disegnato chi<br />
ti vuol spaccare in due<br />
dire che se si scrive E-D, la E con il trattino rappresenta il membro<br />
che si infila al centro della D (ipotesi dello Scaligero)<br />
34 Altra lezione: multabor, essere esiliato.<br />
35 Un castrato. Galli erano i sacerdoti della Dea Cibele che si autoeviravano<br />
durante le cerimonie religiose in suo onore.<br />
63
LV – IL FURTO DELLA FALCE<br />
Incredibile! Mi vergogno a dirlo, ma i ladri mi hanno tolta<br />
la falce dalle dita. E non mi addolora tanto la disgrazia<br />
e la vergogna per tale perdita, ma la fondata paura per le<br />
altre mie armi; ché se dovessi perderle dovrò essere<br />
mandato in esilio; ed io che una volta ero tuo cittadino ,<br />
oh Lampaco, diventerò un Gallo.<br />
LVI – LADRO IRRIVERENTE<br />
Derides quoque, fur, et impudicum<br />
ostendis digitum mihi minanti?<br />
heu heu me miserum — quid ista lignum est<br />
quae me terribilem facit videri?<br />
mandabo domino tamen salaci,<br />
ut pro me velit irrumare fures.<br />
64
LVII – VECCHIA CON I SOLDI<br />
Cornix et caries vetusque bustum,<br />
turba putida facta saeculorum,<br />
quae forsan potuisset esse nutrix<br />
Tithoni Priamique Nestorisque,<br />
illis ni pueris anus fuisset,<br />
ne desim sibi, me rogat, fututor.<br />
quid si nunc roget, ut puella fiat?<br />
Si nummos tamen haec habet, puella est.<br />
LVI – LADRO IRRIVERENTE<br />
Osi deridermi, o ladro, e con il dito teso fai il gesto di<br />
mettermelo in culo?<br />
Peccato, me disgraziato, che questa cosa che fa mi apparire<br />
così terribile sia solo di sogno.<br />
Ma affiderò al mio lascivo padrone il compito di metterlo<br />
in bocca ai ladri e di allattarli.<br />
65
LVII – VECCHIA CON I SOLDI<br />
Una cornacchia tarlata e un sepolcro in rovina,<br />
resa puzzolente dai troppi secoli, che forse avrebbe puto<br />
essere la nutrice di Titone, Priamo e Nestore se già non<br />
fosse stata vecchia quando ssi erano bambini, mi prega<br />
ora che non le venga mai a mancare chi la fotta. Non sarebbe<br />
come se ora mi chiedesse di ritornare ragazza? Ma<br />
se ha i soldi … è una ragazza.<br />
LVIII – MALEDETTI LADRI<br />
Quicunque nostram fur fefellerit curam,<br />
effeminato imminet procul dubio 36 ;<br />
quaeque hic proterva carpserit manu poma<br />
puella, nullum reperiat fututorem.<br />
LIX - AL LADRO IL FATTO SUO<br />
Praedictum tibi ne negare possis:<br />
36 Altra lezione: effeminato verminet ( o marceat) procul culo;<br />
66
si fur veneris, inpudicus exis.<br />
LX – VERSI E MELE<br />
Si quot habes versus, tot haberes poma, Priape,<br />
esses antiquo ditior Alcinoo 37 .<br />
LVIII – MALEDETTI LADRI<br />
Ogni ladro che si sottrarrà al mio controllo, prego che gli<br />
vengano dolori al culo effeminato:<br />
e ogni ragazza che con mano insolente prenderà queste<br />
mele, posso non trovare mai chi la scopi.<br />
LIX - AL LADRO IL FATTO SUO<br />
Non puoi negare che non ti abbia avvisato:<br />
sei venuto ladro e te vai stuprato.<br />
37 Noto per la ricchezza dei suoi giardini.<br />
67
LX – VERSI E MELE<br />
Se tu avessi tante mele, o Priapo, quanti versi tu ricevi,<br />
saresti più ricco del vecchio Alcinoo.<br />
68
LXI – LE POESIE PESANO<br />
Quid frustra quereris, colone, mecum,<br />
quod quondam bene fructuosa malus<br />
autumnis sterilis duobus adstem?<br />
non me praegravat, ut putas, senectus,<br />
nec sum grandine verberata dura,<br />
nec gemmas modo germine exeuntes<br />
seri frigoris ustulavit aura,<br />
nec venti pluviaeve siccitasve,<br />
quod de se quererer, malum dederunt;<br />
non sturnus mihi gracculusve raptor<br />
aut cornix anus aut aquosus anser<br />
aut corvus nocuit siticulosus:<br />
sed quod carmina pessimi poetae<br />
ramis sustineo laboriosis.<br />
LXII – I CANI CUSTODI<br />
Securi dormite, canes: custodiet hortum<br />
cum sibi dilecta Sirius Erigone 38 .<br />
LXI – LE POESIE PESANO<br />
38 Racconto mitologico di Erigone, figlia di Icario, e della sua cagna<br />
Maera, trasformate dagli dei rispettivamente nella costellazione della<br />
Vergine e di Sirio<br />
69
Perché o contadino inutilmente ti lamenti con me perché<br />
io, un tempo un albero di melo ricco di frutti, da due autunni<br />
sono rimasto sterile?<br />
Non mi opprime la vecchiaia, come pensi, nésono stato<br />
percosso dalla dura grandine, né l’aria dei freddi tardivi<br />
ha bruciato le gemme appena uscite dal bocciolo; né venti,<br />
né pioggia, né siccità hanno fatto alcunché di cui il<br />
melo debba duolersi.<br />
Neppure mi danneggiarono lo storno o la taccola ladrona<br />
o la vecchia cornacchia o l’anatra che sguazza nell’acqua<br />
o il corvo che asseta: il guaio è che io devo sostenere sui<br />
miei rami stanchi le poesie di un pessimo poeta.<br />
LXII – I CANI CUSTODI<br />
Dormite tranquilli, o cani; a custodire l’orto provvederà<br />
Sirio con la sua diletta Erigone.<br />
LXIII – PROBLEMI DI PRIAPO<br />
Parum est mihi quod hic fixi sedem 39 ,<br />
39 Altra lezione: Parum est quod hic ut fiximus semel sedem<br />
70
agente terra per caniculam rimas<br />
siticulosam sustinemus aestatem;<br />
parum, quod hiemis perfluont sinus imbres<br />
et in capillos grandines cadunt nostros<br />
rigetque dura barba vincta crystallo;<br />
parum, quod acta sub laboribus luce<br />
parem diebus pervigil traho noctem.<br />
huc adde, quod me fuste de rudi vilem 40<br />
manus sine arte rusticae dolaverunt,<br />
interque cunctos ultimum deos numen<br />
cucurbitarum ligneus vocor custos.<br />
accedit istis impudentiae signum,<br />
libidinoso tenta pyramis nervo.<br />
ad hanc puella — paene nomen adieci —<br />
solet venire cum suo fututore,<br />
quae tot figuras, quas Philaenis enarrat,<br />
non inventis 41 pruriosa discedat.<br />
40 Testo corrotto e poco chiaro.<br />
41 Altre lezioni: novisque fictis o non invenit<br />
71
LXIII – PROBLEMI DI PRIAPO<br />
È per me cosa da poco che io abbia stabilito qui la mia<br />
sede e sostenga l’estate assetata con la terra che si fende<br />
per la canicola?<br />
È cosa da poco che la pioggia scorra giù sul mio corpo e<br />
che la grandine cada sui miei capelli e che la mia barba si<br />
congeli stretta dal ghiaccio?<br />
È cosa da poco che dopo aver passato il giorno a lavorare,<br />
debba trascorrere la note a far la guardia come di<br />
giorno?<br />
A questo aggiungi che sono stato sbozzato da un palo da<br />
rustiche mani inesperte e che io la più picola divinità fra<br />
gli dei, vengo chiamato il custode di legno delle zucche.<br />
Come se non bastasse aggiungi a questo il simbolo<br />
dell’impudicizia, questo membro piramidale, teso dal<br />
nervo della libidine; a questo suol venire una ragazza<br />
(quasi ne fare il nome) assieme al suo trombatore: ed essa<br />
se non rifà tutte le posizioni che elenca Filenide, se ne va<br />
ancora insaziata.<br />
72<br />
LXIV – TROPPO FINOCCHIO!
Quidam mollior 42 anseris medulla<br />
furatum venit huc amore poenae:<br />
furetur licet usque, non videbo.<br />
LXV – LA PORTA APERTA<br />
Hic tibi qui rostro crescentia lilia morsit,<br />
caeditur e tepida victima porcus hara.<br />
ne tamen exanimun facias pecus omne, Priape,<br />
horti sit, facias, ianua clausa tui.<br />
LXVI – FINTO PUDORE<br />
Tu quae ne videas notam virilem<br />
hinc averteris, ut decet pudicam:<br />
Nimirum, nisi quod times videre<br />
intra viscera habere concupiscis.<br />
LXVII - REBUS<br />
Penelopes primam Didonis prima sequatur<br />
et primam Cadmi syllaba prima Remi,<br />
quodque fit ex illis 43 , tu mi deprensus in horto,<br />
fur, dabis: hac poena culpa luenda tua est.<br />
LXIV – TROPPO FINOCCHIO!<br />
Un tale, più molle del midollo dell’oca, viene qui da me a<br />
42 In latino ha il significato anche di effeminato e come per noi il<br />
midollo era usato per indicare il massimo della penetrazione: mollibus<br />
ardet in medullis, diceva Cicerone di uno innamorato cotto.<br />
43 PE-DI-CA-RE<br />
73
ubare per desiderio della pena.<br />
Continui pure a rubare: girerò gli occhi dall’altra parte.<br />
LXV – LA PORTA APERTA<br />
Qui ti viene sacrificato un maiale che con il suo grugno si<br />
è divorato i gigli in crescita, una vittima tratta fuori dal<br />
suo caldo porcile.<br />
Ma però, o Priapo non pensare che io possa far fuori tutte<br />
le mie bestie per te! Cura che la porta del tuo orto resti<br />
chiusa.<br />
LXVI – FINTO PUDORE<br />
Tu che per non vedere il mio simbolo virile, cambi strada<br />
come si conviene ad una donna pudica!<br />
Nulla di strano se non fosse che ciò che mostri di aver<br />
paura a vedere, fin troppo desideri di averlo nella pancia.<br />
LXVII - REBUS<br />
Prendi la prima sillaba di Penelope, segua la prima di Didone<br />
e la prima di Caco preceda la prima di Remo; il<br />
risultato di ciò, io ti darò se ti prendo nell’orto e con questa<br />
pena espierai la tua colpa.<br />
LXVIII – OMERO RIVISITATO<br />
Rusticus indocte si quid dixisse videbor,<br />
da veniam: libros non lego, poma lego.<br />
sed rudis hic dominum totiens audire legentem<br />
cogor Homereas edidicique notas.<br />
74
ille vocat, quod nos psolen 44 , ψολόεντα κεραυνόν,<br />
et quod nos culum, κουλεόν ille vocat.<br />
σµερδαλέοσ certe si res non munda vocatur,<br />
et pediconum mentula merdalea est.<br />
quod nisi Taenario 45 placuisset Troica cunno<br />
mentula, quod caneret, non habuisset opus.<br />
mentula Tantalidae 46 bene si non nota fuisset,<br />
nil, senior Chryses quod quereretur, erat.<br />
haec eadem socium tenera spoliavit amica,<br />
quaeque erat Aeacidae, maluit esse suam.<br />
ille Pelethroniam cecinit miserabile carmen<br />
ad citharam, cithara tensior ipse sua.<br />
nobilis hinc nata nempe incipit Ilias ira<br />
principiumque sacri carminis illa fuit.<br />
altera materia est error fallentis Ulixei:<br />
44<br />
Si trata di accostamenti ad orecchio come se un ignorante pensasse<br />
che la culinaria concerne il culo. ψολόεντα κεραυνόν significa fulmine<br />
ardente ma gli ricorda la parola psolè, che vuol dire (in greco<br />
,ma nota anche a Roma) cazzo; κουλεόν è la guaina, ma gli ricorda il<br />
culo e σµερδαλέοσ significa terribile e non merdoso.<br />
45<br />
Tenario era un promontorio della Laconia; quindi equivale a spartano.<br />
46<br />
Agamennone; ci si riferisce alla narrazione dell’Iliade per la discordia<br />
fra Achille ed Agamennone a causa di Criseide.<br />
75
LXVIII 47 – OMERO RIVISITATO<br />
Perdonami se io, semplice contadino, sembro un ignorante:<br />
non leggo libri, ma raccolgo mele.<br />
Ma per quanto ignorante, sono spesso costretto ad ascoltare<br />
il mio padrone che legge e così ho imparato a memoria<br />
i vocaboli omerici.<br />
Egli chiama ψολόεντα κεραυνόν ciò che noi chiamiamo<br />
psolen (cazzo) e culo lo chiama κουλεόν;<br />
una cosa non pulita la chiama σµερδαλέοσ e certamente<br />
il membro dei finocchi è merdoso.<br />
Ma c’è di più; se il cazzo del troiano non fosse piaciuto<br />
alla fica spartana, non ci sarebbe stata un poema a cantarla.<br />
Se il membro del tantalide non fosse stato troppo noto, il<br />
vecchio Crise non avrebbe avuto di che lamentarsi.<br />
Questo stesso privò il compagno della sua tenera amica e<br />
pretese che ciò era di Achille, fosse sua.<br />
E Achille cantò sulla cetra tessalica un lamentoso canto,<br />
con il membro più teso delle corde della sua cetra. E proprio<br />
da questa ira inizia la nobile Iliade e quello fu<br />
l’inizio del sacro carme.<br />
L’argomento dell’altro carme è l’errare dello scaltro Ulisse.<br />
Se vuoi saper la verità anche lui fu spinto<br />
47 In alcune raccolte questo brano è stato suddiviso in due parti (la<br />
prima di solo otto versi) e perciò la numerazione continua poi con il<br />
numero LXX.<br />
76
si verum quaeras, hanc quoque movit amor.<br />
hic legitur radix 48 , de qua flos aureus exit,<br />
quam cum µωλυ vocat, mentula µωλυ fuit.<br />
hic legimus Circen Atlantiademque Calypson<br />
grandia Dulichii vasa 49 petisse viri.<br />
huius et Alcinoi mirata est filia membrum<br />
frondenti ramo vix potuisse tegi.<br />
ad vetulam tamen ille suam properabat, et omnis<br />
mens erat in cunno, Penelopea, tuo:<br />
quae sic casta manes, ut iam convivia visas<br />
utque fututorum sit tua plena domus.<br />
e quibus ut scires quicunque valentior esset,<br />
haec es ad arrectos verba locuta procos:<br />
'nemo meo melius nervom tendebat Vlixe,<br />
sive illi laterum sive erat artis opus.<br />
qui quoniam periit, vos nunc intendite, qualem<br />
esse virum sciero, vir sit ut ille meus.'<br />
hac ego, Penelope, potui tibi lege placere,<br />
illo sed nondum tempore factus eram.<br />
48<br />
Era un’erba data da Mercurio ad Ulisse per contrastare gli incantesimi<br />
di Circe.<br />
49<br />
Il termine vasa era usato anche nel senso di genitali.<br />
77
dall’amore. Vi si legge della radice da cui uscì un fiore<br />
bellissimo, ma quando lo chiama µωλυ, quella parola significa<br />
cazzo.<br />
Qui leggiamo di Circe e di Calispo figlia di Atlante<br />
che chiesero ad Ulisse ciò che aveva di ben grande.<br />
Anche Nausicaa, la figlia di Alcinoo rimase stupita che il<br />
membro di Ulisse a mala pena potesse essere coperto da<br />
un ramo frondoso. Ma Ulisse però si affrettò a tornare<br />
dalla sua vecchierella e tutto il suo pensiero era rivolto<br />
alla tua fica o Penelope che rimanesti casta anche vivendo<br />
in mezzo ai banchetti e con la casa piena di giovani<br />
pronti a fotterti.<br />
E per sapere quale fra loro fosse il più valente dicesti:<br />
“Nessuno meglio di Ulisse sapeva tendere il suo nervo,<br />
sia per la forza delle reni, sia per la sua abilità. Perché, se<br />
dovesse essere morto, voi ora tendete l’arco e saprò quale<br />
è l’uomo che sia maschio come lo era il mio.”<br />
Con questa regola, o Penelope, io avrei potuto piacerti;<br />
ma a quel tempo non ero ancora nato.<br />
78
LXIX - LADRO DI FICHI<br />
Cum fici tibi suavitas subibit<br />
et iam porrigere huc manum libebit,<br />
ad me respice, fur, et aestimato,<br />
quot pondo est tibi mentulam cacandum.<br />
LXX – I CANI MANGIANO LE OFFERTE<br />
Illusit mihi pauper inquilinus:<br />
cum libum dederat molaque fusa,<br />
carnum partibus additis in ignem 50 ,<br />
sacro protinus hinc abit peracto.<br />
vicini canis huc subinde venit<br />
nidorem, puto, persecuta fumi,<br />
quae libamine mentulae comeso<br />
tota nocte mihi litat rigendo 51 .<br />
at vos amplius hoc loco cavete<br />
quicquam ponere, ne famelicorum<br />
ad me turba velit canum venire,<br />
ne dum me colitis meumque numen,<br />
custodes habeatis irrumatos.<br />
LXIX - LADRO DI FICHI<br />
50 Verso corrotto; altra lezione : quarae partibus abditis in ignem o<br />
Quorum partibus abditis in inguem. Quest’ultima è la versione che<br />
meglio quadra con i versi seguenti: parti dell’offerta erano state<br />
poste sul membro e il cane lo ha leccato per tutta la notte.<br />
51 Altra lezione: rigenti.<br />
79
Quando ti verrà in mente la soavità dei fichi e quando già<br />
starai per stendere la tua mano, guardami bene o ladro e<br />
valuta bene quale sarà il peso del cazzo che dovrai cacar<br />
fuori.<br />
LXX – I CANI MANGIANO LE OFFERTE<br />
Mi ha preso in giro un povero fittavolo che mi ha dato<br />
una focaccia sacrificale di farro spargendone le parti sul<br />
fuoco e poi, compiuta la cerimonia, se ne è andato via<br />
subito. La cagna del vicino è venuta subito qui, seguendo,<br />
io credo, l’odore del fumo e si è mangiata quelle cose<br />
che erano state dedicate al mio membro e per tutta la notte<br />
ha placato il mio membro. Quindi voi state attenti a<br />
non mettere cose in questo posto in modo che non arrivi<br />
da me un branco di cani famelici e pur venendo per venerare<br />
me e il mio nume, non siano invece i guardiani ad<br />
essere costretti a prenderlo in bocca.<br />
LXXI – AVVISO AI LADRI<br />
Si commissa meae carpes pomaria curae,<br />
dulcia qui doleam perdere, doctus eris.<br />
80
LXXII - PREGHIERA<br />
Tutelam pomari, diligens Priape, facito:<br />
rubricato furibus minare mutino 52 .<br />
LXXIII 53 - MINACCIA<br />
Quod monear non est, quia, si furaberis ipse<br />
grandia mala, tibi bracchia macra dabo 54 .<br />
LXXIV – LE DONNE DEVONO DARLA<br />
Obliquis quid me, pathicae, spectatis ocellis?<br />
non stat in inguinibus mentula tenta <strong>meis</strong>.<br />
quae tamen exanimis nunc est et inutile lignum,<br />
utilis haec, aram si dederitis, erit.<br />
Per medios ibit pueros mediasque puellas<br />
mentula, barbatis non nisi summa petet. 55<br />
LXXI – AVVISO AI LADRI<br />
Se ruberai le mele affidate alla mia custodia imparerai<br />
quanto io soffra a perdere quelle dolci cose.<br />
52<br />
Mutinus Titinus era una divintà fallica introdotta a Roma al tempo<br />
di Augusto.<br />
53<br />
I versi che seguono, in alcune raccolte sono riunti ai due precedenti;<br />
quindi cambia ancora al numerazione.<br />
54<br />
Testo oscuro e non si comprende il significato della parola bracchia<br />
o bracchica. Si suppone che la parola mela venga usata per<br />
alludere a testicoli.<br />
55<br />
Questi ultimi due versi sono talvolta numerati separatamente. La<br />
crescita dei peli era considerato il momemnto in cui il ragazzo non<br />
era più adatto ad usi sessuali.<br />
81
LXXII - PREGHIERA<br />
Proteggi, o Priapo, con diligenza queste mele e minaccia<br />
i ladri con il tuo emblema fallico<br />
LXXIII - MINACCIA<br />
Non c’ è bisogno di sollecitarmi perché anche se ruberai<br />
le grosse mele, ti darò mele ancora più grosse.<br />
LXXIV – LE DONNE DEVONO DARLA<br />
Perché, puttanelle, mi guadate con la coda dell’occhio? Il<br />
mio membro non sta bello bello dritto sul mio inguine,<br />
ma se ora è esanime e un inutile pezzo di legno, tornerà<br />
utile se lo ospiterete in voi.<br />
Esso finirà fra le gambe dei ragazzi e delle ragazze e a<br />
quelli già con i peli forse finirà più in alto.<br />
LXXV – I SANTUARI<br />
Dodone tibi, Iuppiter, sacrata est,<br />
Iunoni Samos et Mycena ditis,<br />
undae Taenaros aequorumque regi;<br />
Pallas Cecropias tuetur arces,<br />
Delphos Pythius, orbis umbilicum,<br />
Creten Delia Cynthiosque colles,<br />
82
Faunus Maenalon Arcadumque silvas;<br />
tutela Rhodos est beata Solis,<br />
Gades Herculis umidumque Tibur;<br />
Cyllene celeri deo nivosa,<br />
tardo gratior aestuosa Lemnos;<br />
Hennaeae Cererem nurus frequentant,<br />
raptam Cyzicos ostreosa divam,<br />
formosam Venerem Gnidos Paphosque.<br />
Mortales tibi Lampsacum dicarunt. 56<br />
LXXVI – LXXVII 57 – PRIAPO SENZA LADRI<br />
Quod sim iam senior meumque canis<br />
cum barba caput albicet capillis:<br />
deprensos ego perforare possum<br />
Tithonum Priamumque Nestoremque.<br />
Immanem stomachum mihi videtis 58<br />
qui densam facitis subinde saepem<br />
LXXV – I SANTUARI<br />
A te, o Giove è consacrata Dodone, a Gionone Samo e<br />
Micene, al re delle acque le onde del Tenario, Pallade<br />
difende le rocche di Cecrope (Atene), Pitio ha Delfo,<br />
ombelico del mondo, la donna di Delo (Diana) ha Creta e<br />
i colli cinzi, Fauno ha il Menalo e le selve dell’Arcadia,<br />
Rodi è sicura sotto la protezione del sole, Gade e l’umido<br />
Tevere di Ercole, la nevosa Cillene è sacra al dio veloce<br />
(Mercurio), e l’infocata Lemmo al dio zoppo (Vulcano),<br />
56<br />
Quest’ultimo verso compare nella versione dello Scaligero.<br />
57<br />
Queste due poesie vengono di solito riunite.<br />
58<br />
Altra lezione: movetis<br />
83
le donne di Enna onorano Cerere, Cizico ricca di conchiglie,<br />
la dea rapiata (Proserpina), Cnido e Pafo la bella<br />
Venere. I mortali a te, o Priapo, hanno dedicato Lampsaco.<br />
LXXVI – LXXVII – PRIAPO SENZA LADRI<br />
Sebbene sia già vecchio e la mia barba e i miei capelli<br />
siano canuti posso ancora inculare chi catturo e anche<br />
Titone, Priamo e Nestore.<br />
Mi fate gonfiar lo stomaco (per la rabbia)), voi che continuate<br />
ad alzare una spessa siepe e impedite ai ladri di entrare.<br />
84
et fures prohibetis huc adire.<br />
hoc est laedere, dum iuvatis; hoc est<br />
non admittere ad aucupem volucres.<br />
obstructa est via, nec licet iacenti<br />
iactura natis expiare culpam.<br />
ergo qui prius usque et usque et usque<br />
furum scindere podices solebam,<br />
per noctes aliquot diesque cesso.<br />
poenas do quoque, quot satis superque est,<br />
in semenque abeo salaxque quondam<br />
nunc vitam perago — quis hoc putaret? —<br />
ut clusus citharoedus abstinentem.<br />
at vos, ne peream situ senili,<br />
quaeso, desinite esse diligentes<br />
neve imponite fibulam Priapo.<br />
LXXVIII - MALEDIZIONE<br />
At di deaeque dentibus tuis escam<br />
negent, amicae cunnilinge vicinae,<br />
per quem puella fortis ante nec mendax<br />
et quae solebat impigro celer passu<br />
ad nos venire, nunc misella Landice 59<br />
vix posse iurat ambulare prae fossis.<br />
59<br />
Il nome del responsabile. In altra lezione un incomprensibile landicae.<br />
85
Voi pensate così di aiutarmi, ma invece mi danneggiate:<br />
è come impedire agli uccelli di andare alle reti<br />
dell’uccellatore. La via è ostruita e non è più possibile<br />
per chi è steso a terra di espiare la sua colpa rimettendoci<br />
le natiche.<br />
Perciò io, che prima usavo sempre e poi sempre rompere<br />
il culo ai ladri, ora me ne sto disoccupato giorno e notte.<br />
Io stesso ora sono punito, il che è veramente troppo e io<br />
un tempo così lascivo, mi accontento delle polluzioni;<br />
ora faccio una vita di astinenza, chi l’avrebbe mai detto,<br />
come un citaredo infibulato.<br />
Ma voi, se non volete che io muoia di muffa senile, smettetela,<br />
vi prego, di essere così diligenti e non mettete la<br />
fibula a Priapo.<br />
LXXVIII - MALEDIZIONE<br />
Che gli dei e le dee possano toglierti il pane per i tuo<br />
denti, a te che lecchi la fica della mia vicina amica, così<br />
che essa, prima robusta e sincera e che soleva venir da<br />
me svelta, con passo agile, ora, poveretta o Landice, giura<br />
che può a stento camminare, tanto larghi sono i sui buchi.<br />
86
LXXIX – POETA CRITICO<br />
Priape, quod sis fascino gravis tento,<br />
quod exprobravit hanc tibi suo versu<br />
poeta noster, erubescere hoc noli:<br />
non est poeta fascinosior nostro. 60<br />
LXXX – RAGAZZE INSODDISFATTE<br />
At non longa bene est, at non stat bene mentula crassa<br />
et quam si tractes, crescere posse putes?<br />
me miserum, cupidas fallit mensura puellas:<br />
non habet haec aliud mentula … maius eo.<br />
utilior Tydeus, qui, si quid credis Homero,<br />
ingenio pugnax, corpore parvos erat.<br />
sed potuit damno nobis novitasque pudorque<br />
esse, repellendus saepius iste mihi. 61<br />
LXXXI 62 - PREGHIERA<br />
dum vivis, sperare licet: tu, rustice custos,<br />
huc ades et nervis, tente Priape, fave.<br />
LXXIX – POETA CRITICO<br />
Priapo, non devi arrossire se ti pesa il tuo membro eretto,<br />
60 Il testo in origine era stato letto come sarcinosior, il che significa<br />
“più pesante”; poi è stata preferita la lezione fascinosior, “più membruto”<br />
61 Testo considerato frammentario e di difficile comprensione<br />
62 Quesi due versi vengono talvolta uniti ai precedenti.<br />
87
come ti ha rinfacciato il nostro poeta nel suo verso: non<br />
vi è infatti poeta più pesante di lui.<br />
LXXX – RAGAZZE INSODDISFATTE<br />
Forse non è abbastanza lungo il mio membro? non è abbastanza<br />
grosso? Non credi che se lo maneggi bene possa<br />
ancora crescere?<br />
Eppure, me misero, le sue dimensioni deludono le lascive<br />
ragazze sebbene nessun altro abbia un membro più grosso.<br />
Più utile, se credi ad Omero, era Tideo, di carattere<br />
combattivo ma di corpo minuto. Ma questa novità e questa<br />
modestia potrebbero nuocermi: e questo danno devo<br />
combatterlo.<br />
LXXXI 63 - PREGHIERA<br />
Ma finché vivi puoi sperare. Tu, rustico custode, rimani<br />
qui e sii propizio, o eretto Priapo, al mio membro.<br />
63 Quesi due versi vengono talvolta uniti ai precedenti.<br />
88
LXXXII – DEDICA DI UN TEMPIETTO 64<br />
Vilicus aerari quondam, nunc cultor agelli,<br />
haec tibi Perspectus templa, Priape, dico.<br />
pro quibus officiis, si fas est, sancte, paciscor,<br />
assiduus custos ruris ut esse velis,<br />
improbus ut si quis nostrum violabit agellum,<br />
hunc tu, sed tento 65 — scis, puto, quod sequitur.<br />
64 Attribuito a Tibullo<br />
65 Altra lezione: taceo.<br />
89
LXXXII – DEDICA DI UN TEMPIETTO<br />
Io, un tempo contadino salariato, ed ora coltivatore di un<br />
campicello, di nome Perspecto, ti dedico, o Priapo, questo<br />
tempietto. E per questa mia devozione, se è lecito, o<br />
nume, io faccio un patto: che tu voglia essere fedele custode<br />
del campo e che se qualche farabutto violerà il mio<br />
campicello tu allora … ma perché te lo dico, sai<br />
senz’altro che cosa devi fare.<br />
90
LXXXIII – IMPOTENZA 66<br />
Quid hoc novi est? quid ira nuntiat deum?<br />
silente nocte candidus mihi puer<br />
tepente cum iaceret abditus sinu,<br />
Venus fuit quieta, nec viriliter<br />
iners senile penis extulit caput.<br />
placet, Priape, qui sub arboris coma<br />
soles, sacrum revincte pampino caput,<br />
ruber sedere cum rubente fascino?<br />
at, o Triphalle, saepe floribus novis<br />
tuas sine arte deligavimus comas<br />
abegimusque voce saepe, cum tibi<br />
senexve corvos impigerve graculus<br />
sacrum feriret ore corneo caput.<br />
vale, nefande destitutor inguinum,<br />
vale, Priape: debeo tibi nihil.<br />
iacebis inter arva pallidus situ,<br />
canisque foedus usque imminget, aut tibi<br />
lutosus sus fricabit oblitum latus 67 .<br />
at, o sceleste penis, o meum malum,<br />
gravi piaque lege noxiam lues.<br />
licet querare: nec tibi tener puer<br />
patebit ullus, imminente qui toro<br />
iuvante verset arte mobilem natem,<br />
66 Attribuita Tibullo<br />
67 Trascuro la più recente lezione canisque saeva susque ligneo tibi<br />
lutosus affricabit oblitum latus che accomuna senza alcun senso cane<br />
e maiale..<br />
91
LXXXIII - IMPOTENZA<br />
Che novità è questa? Quale sua ira mi annuncia il dio?<br />
Nella notte silente un bel ragazzo giaceva stretto nel mio<br />
tiepido grembo, Venere è rimasta tranquilla e l’inerte pene<br />
senile non ha alzato la sua testa. Puoi consentire, o<br />
Priapo, una cosa simile, tu che suoli sedere sotto le chiome<br />
degli alberi, con il sacro capo cinto di pampini, tutto<br />
rosso con il rosso membro? O Trifallo, spesso con i fiori<br />
freschi abbiamo intrecciato alla buona le tue chiome, ed<br />
abbiamo fatto scappare con la voce il vecchio corvo e<br />
l’agile taccola che con il loro becco corneo di ferivano il<br />
sacro capo del pene.<br />
Addio, nefando trascuratore del mio inguine, addio,<br />
Priapo, nulla più ti devo. Giacerai nei campi pallido per<br />
la muffa, un cane schifoso di piscerà addosso e un maiale<br />
fangoso sfregherà il tuo fianco imbrattato. E tu, o scellerato<br />
pene, o mio malanno, dovrai espiare la giusta pena<br />
secondo la legge giusta e severa. E tu potrai ben lamentarti:<br />
a te mai più si offrirà un tenero ragazzo appoggiandosi<br />
all’utile letto, esperto nell’arte di muover le chiappe,<br />
né mai più una ragazza amante dei giochi del sesso ti aiuterà<br />
con la sua mano leggera e premerà sul tuo inguine la<br />
sua bianca coscia. A te porteranno una vecchiaccia con<br />
due denti, già memore amica del vecchio Romolo, fra i<br />
cui inguini funesti si nasconde, quando la pancia giace,<br />
un recondito antro coperto<br />
92
puella nec iocosa te levi manu<br />
fovebit apprimetve lucidum femur.<br />
bidens amica Romuli senis memor<br />
paratur, inter atra cuius inguina<br />
latet iacente pantice abditus specus<br />
vagaque pelle tectus annuo gelu<br />
araneosus obsidet forem situs.<br />
tibi haec paratur, ut tuom ter aut quater<br />
voret profunda fossa lubricum caput.<br />
licebit aeger angue lentior cubes, 68<br />
tereris usque, donec, a miser miser,<br />
triplexque quadruplexque compleas specum.<br />
superbia ista proderit nihil, simul<br />
vagum sonante merseris luto caput.<br />
quid est, iners? pigetne lentitudinis?<br />
licebit hoc inultus auferas semel:<br />
sed ille cum redibit aureus puer,<br />
simul sonante senseris iter pede,<br />
rigente nervos excubet lubidine<br />
et inquietus inguina arrigat tumor<br />
neque incitare cesset usque dum mihi<br />
Venus iocosa molle ruperit latus.<br />
da pelle tremula, il cui ingresso è occupato, a causa<br />
68 Altra lezione: ager aut languentior cubes<br />
93
dei lunghi anni di abbandono, da muffa e ragnatele.<br />
Questa ti sarà data così che per tre o quattro volte di seguito<br />
inghiotta nella sua profonda voragine la tua testa<br />
lubrica. E tu giacerai malato, più moscio di un serpente,<br />
sfregato e menato finché, o poveretto, per tre o quattro<br />
volte riempirai la caverna. A nulla di servirà la tua superbia<br />
quando dovrai immergere la tua testa moscia in<br />
quello sguazzante fango.<br />
Che cosa hai, o moscio? Ti da noia la tua fiacchezza?<br />
Per questa volta te la caverai senza castigo: ma quando<br />
tornerà quello splendido ragazzo, appena sentirai il rumore<br />
del suo piede sul sentiero, il mio nervo si dovrà<br />
erigere per la libidine e un inquieto turgore rizzerà il<br />
membro, e non cesserà di eccitarlo finché la gioconda<br />
Venere non mi abbia sfiancato le molli rena.<br />
94
LXXXIV 69 – TIMORI DI PRIAPO<br />
Vere rosa, autumno pomis, aestate frequentor<br />
spicis; una mihi est horrida pestis hiemps.<br />
Nam frigus metuo et vereor, ne ligneus ignem<br />
hic deus ignavis praebeat agricolis.<br />
LXXXV 70 – AI VIANDANTI<br />
Ego haec, ego arte fabricata rustica,<br />
ego arida, o viator, ecce populus<br />
agellulum hunc, sinistra et ante quem vides,<br />
erique 71 villulam hortulumque pauperis<br />
tuor malaque furis arceo manu.<br />
Mihi corolla picta vere ponitur,<br />
mihi rubens arista sole fervido,<br />
mihi virente dulcis uva pampino,<br />
mihi caduca oliva, cocta frigore.<br />
teneraque matre mugiente vaccula<br />
deum profundit ante templa sanguinem.<br />
69 Fa parte della Appendix Virgiliana.<br />
70 Fa parte della Appendix Virgiliana.<br />
71 Non si comprende se sia un nome prorpio (altrove Herique).<br />
95
LXXXIV – TIMORI DI PRIAPO<br />
In primavera sono ornato con la rosa, in autunno con le<br />
mele, in estate vengo festeggiato con le spighe; l’inverno<br />
è invece per me un’orrida peste. Soffro il freddo ed ho<br />
paura che questo dio di legno serva per il fuoco ai pigri<br />
agricoltori.<br />
LXXXV – AI VIANDANTI<br />
Io, o viandante, scolpito con rustica arte da un secco<br />
pezzo di pioppo, custodisco questo campicello davanti a<br />
cui, a sinistra vedi la casetta e l’orticello di un poveretto,<br />
difendendolo dalla mano rapace del ladro.<br />
In primavera mi ornano con coroncine colorate, a me la<br />
spiga arrossata dal sole cocente, a me la dolce uva con il<br />
verde pampino, a me l’oliva maturata dal rigido freddo.<br />
La delicata capretta dei miei pascoli porta in città le<br />
mammelle colme di latte e dai miei ovili il pingue agnello<br />
mi rimanda a casa con la destra pesante per il denaro, e<br />
la tenera vitella, mentre la madre muggisce, sparge il suo<br />
sangue davanti al tempio.<br />
Proin, viator, hunc deum vereberis<br />
manumque sursum habebis. Hoc tibi expedit,<br />
parata namque crux stat ecce mentula.<br />
96
"Velim pol" inquis? At pol 72 ecce vilicus<br />
venit, valente cui revulsa bracchio<br />
fit ista mentula apta clava dexterae.<br />
72 Pol era un intercalare derivato dal giuramento su Polluce.<br />
97
Perciò o viandante, onora questo dio e tieni indietro le<br />
mani; sarà meglio per te. Ecco qua un bel membro pronto<br />
a trafiggerti. Per dio, tu dici, “mi farebbe piacere”, ma,<br />
per dio, ecco venire il contadino per il quale questo<br />
membro di legno strappato dal suo forte braccio, diventa<br />
un clava adatta per la sua destra.<br />
98<br />
LXXXVI 73 – RUBATE AL MIO VICINO<br />
73 Fa parte della Appendix Virgiliana, ma è attribuito a Catullo
Hunc ego, o iuvenes, locum villulamque palustrem<br />
tectam vimine iunceo caricisque maniplis<br />
quercus arida rustica fomitata securi<br />
nutrior. Magis et magis fit beata quontannis!<br />
Huius nam domini colunt me deumque salutant<br />
pauperis tuguri pater filiusque adulescens,<br />
alter assidua colens diligentia, ut herbae<br />
asper aut rubus a meo sint remota sacello,<br />
alter parva manu ferens saepe munera larga.<br />
Florido mihi ponitur picta vere corolla,<br />
primitus tenera virens spica mollis arista,<br />
luteae violae mihi lacteumque papaver<br />
pallentesque cucurbitae et suave olentia mala,<br />
uva pampinea rubens educata sub umbra.<br />
Sanguine haec etiam mihi (sed tscebitis) arma<br />
barbatus linit hirculus cornipesque capella.<br />
Pro quis omnia honoribus nunc necesse Priapo est<br />
praestare et domini hortulum vineamque tueri.<br />
Quare hinc, o pueri, malas abstinete rapinas.<br />
Vicinus prope dives est neglegensque Priapi.<br />
Inde sumite, semita haec deinde vos feret ipsa.<br />
99
LXXXVI – RUBATE AL MIO VICINO<br />
Io, ricavato con una rustica ascia da un secco pezzo di<br />
quercia ora proteggo questo luogo palustre e questa casetta<br />
coperta di vimini e di fasci di carice, affinché ogni<br />
anno diventino sempre più prosperi.<br />
Infatti i padroni di questo luogo mi onorano e mi salutano<br />
come un dio; il padre e il figlio adolescente del misero<br />
tugurio, l’uno coltivando con assidua diligenza affinché<br />
le erbe secche ed i rovi stiano lontane dal mio tempietto,<br />
l’altro portando con la sua manina doni abbondanti.<br />
Durante la florida primavera subito mi incoronano di corone<br />
variopinte e con la verde spiga e le molle arista, con<br />
le gialle viole ed il bianco papavero, e poi con zucche<br />
sbiadite e mele dal soave profumo, e tralci d’una rossa<br />
coltivata all’ombra. Questa mia arma eretta (ma non lo<br />
raccontate in giro) viene aspersa con il sangue del capretto<br />
barbuto o della capretta con gli zoccoli.<br />
Perciò Priapo, deve corrispondere a tutti questi onori e<br />
proteggere la vigna e l’orticello del padrone.<br />
Quindi, ragazzi, evitate le triste rapine; il mio vicino è<br />
ricco e trascura il suo Priapo; rubate a lui, questo sentiero<br />
vi porterà là.<br />
INNO A PRIAPO<br />
Salve, sancte pater Priape rerum,<br />
salve. mihi floridam iuventam<br />
100
da mihi ut pueris ut puellis<br />
fascino placeam bonis procaci<br />
lusibusque frequentibus iocisque<br />
dissipem curas animo nocentes<br />
nec gravem timeam nimis senectam,<br />
angar haud [miser]ae pavore mortis<br />
qua ad domus trahet invidas [Aver]n[i,<br />
fabulas manes ubi rex coercet,<br />
unde fata negant redire quemquam.<br />
salve, sancte pater Priape, sal[v]e.<br />
convenite simul quot est[is om]nes,<br />
quae sacrum colitis [ne]mus [pu]ellae,<br />
quae sacras colitis a[q]uas puellae,<br />
convenite quot estis atque [be]llo<br />
voce dicite blandula [Pria]po:<br />
salve, sancte pater Priape rerum.<br />
in]guini oscula figite inde mille,<br />
fasci]num bene olentibus [cor]onis<br />
cing]ite illi iterumque dicite omnes:<br />
salve, san]cte pater Priape rerum<br />
nam malos arcens homines [cr]uentos<br />
ire per silvas dat ille vo[b]is<br />
perque opaca silentia incruenta,<br />
ille fontibus arcet et scelestos,<br />
101
INNO A PRIAPO<br />
Salve o sacro Priapo dio delle cose<br />
Salve, dammi la florida gioventù,<br />
Fa’ si che il mio membro procace<br />
piaccia ai bei ragazzi e alle belle ragazze<br />
e che i miei frequenti giochi e scherzi<br />
facciano sparire le preoccupazioni<br />
che rovinano l’animo.<br />
E che non debba troppo temere la molesta<br />
vecchiaia o la paura della trista morte che ci trascinerà<br />
alla dimora invidiosa dell’Averno dove il re rinchiude le<br />
ombre dei morti e dove si dice che nessuno mai ritorni.<br />
Salve o sacro Priapo dio delle cose.<br />
Raccoglietevi qui tutte assieme, ragazze che onorate il<br />
sacro bosco e le sacre acque, venite qui e cantate con voce<br />
melodiosa al potente Priapo:<br />
Salve o sacro Priapo dio delle cose.<br />
Poi date mille baci al suo membro e cingetelo con corone<br />
profumate e di nuovo cantate in coro<br />
Salve o sacro Priapo dio delle cose.<br />
Perché egli tenendo lontani gli uomini malvagi e sanguinari,<br />
vi consente di andare sicure per i boschi e per le<br />
ombrose strade silenziose e sicure.<br />
Egli tiene lontani dalle fonti quegli scellerati che attraversano<br />
con immondo piede le sacre acque e le<br />
inprobo pede qui sacros liquores<br />
transeunt faciuntque turbulentos<br />
qui lav[an]tque manus nec ante multa<br />
102
invocant prece vos, deae pu[ellae.<br />
«o Priape, fave, alme» dicite [omnes,<br />
«salve, sancte pater Priape [salve.»<br />
o Priape potens ami[ce, salve,<br />
seu cupis genitor vo[cari] et auctor<br />
orbis aut physis ipsa Panque, salve.<br />
namque concipitur tuo vigore<br />
quod solum [repl]et aethera atque pontum.<br />
ergo salve, Priape, salve, sancte.<br />
saeva [Iupiter] ipse te volente<br />
ultro fulmina ponit atque [se]des<br />
lucidas cupidus suas relin[quit.<br />
te Venus bona, fervidus Cupido,<br />
Gratia et ge[minae] colunt [sor]ores<br />
atque laeti[tiae da]tor Lyaeus.<br />
namque te si[ne n]ec Venus proba[tur,<br />
Gratiae illepidae, Cupi[do, B]acchus.<br />
o Priape potens amice, salve.<br />
te vocant prece virgi[nes pudi]cae,<br />
zonulam 74 ut solvas diu ligatam,<br />
teque nupta vocat sit ut mari[to<br />
nervus saepe rigens potensque sem[per.<br />
salve, sancte pater Priape, s[alve.<br />
rendono torbide, che ci si lavano le mani e che prima<br />
non vi invocano o divine fanciulle, con molte preghiere.<br />
Dite tutte in coro: O Priapo, siaci favorevole. Salve o sacro<br />
Priapo dio delle cose.<br />
74<br />
Fascia annodata che portavano le vergini; la sera delle nozze lo<br />
sposo scioglieva il nodo.<br />
103
O Priapo, potente amico, salve, sia che tu voglia essere<br />
detto il creatore del mondo o della sua natura stessa, o<br />
Pan, salve. Perché per la tua forza è creato tutto ciò che<br />
riempie la terra e l’aria e il mare.<br />
Perciò salve o santo Priapo, salve.<br />
Se tu lo chiedi lo stesso dio Giove depone isuoi fulmini<br />
crudeli e spinto dalla lascivia lascia le sue brillanti dimore.<br />
Tu sei onorato dalla buona Venere, dal fervido Cupido,<br />
dalle tre sorelle Grazie, da Lieo, dispensatore di gioia.<br />
Perché senza te neppure Venere ci soddisfa, né le Grazie<br />
sono graziose, né piacciono Bacco e Cupido.<br />
O Priapo, potente amico, salve<br />
Ti invocano nella loro preghiera le vergini pudiche perché<br />
tu sciolga il nodo della loro cintura troppo a lungo<br />
legata; te invoca la sposa perché il marito abbia spesso il<br />
membro duro e sia sempre potente.<br />
Salve o sacro Priapo dio delle cose.<br />
104<br />
FINE