trading online - Shopping24 - Il Sole 24 Ore
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XIV PREFAZIONE<br />
Da qualche tempo, per la verità con un po’di colpevole ritardo, in Italia non<br />
si parla altro che di Internet e di commercio elettronico, anche con un florilegio<br />
– forse inevitabile – di luoghi comuni. <strong>Il</strong> successo dei negozi virtuali<br />
di libri, dischi o computer è innegabile. Eppure pochi sanno che, di tutte le<br />
merci vendute attraverso i canali digitali, la categoria più gettonata dai<br />
“consumatori” è proprio quella dei titoli azionari.<br />
Visto che abbiamo accennato alla storia, è forse utile osservare che l’avventura<br />
dell’umanità su questo pianeta non aveva mai visto nulla propagarsi<br />
alla velocità dell’Internet. Lasciamo stare il “vecchio” sistema di trasmissione<br />
dati inventato nel 1969 dal Pentagono, poi di fatto dismesso a<br />
beneficio del mondo accademico e scientifico. Ma se si pensa che l’inglese<br />
Tim Berners-Lee ha dato vita al World Wide Web appena nel 1991, che solo<br />
nel 1994 sono spuntati i primi browser oggi usati da mezzo miliardo di<br />
persone in tutto il mondo, è facile asserire che mai nulla, nella nostra storia,<br />
si è propagato a questa velocità: neppure una malattia o un pensiero<br />
religioso.<br />
Sul fronte borsistico, le cose sono andate ancora meglio: spuntato in pratica<br />
tre anni fa, l’<strong>online</strong> <strong>trading</strong>* s’è fatto oltre sei milioni di “clienti” solo in<br />
America. E nel breve giro d’un solo anno, in Italia si sono iscritte al club<br />
dell’investimento fai-da-te circa 200.000 persone (è una valutazione senza<br />
prova di scientificità, perché la cifra reale dei trader attivi è ignota). Qualunque<br />
direttore marketing di una qualsiasi banca, non avrà difficoltà nell’ammettere<br />
che si tratta di un fenomeno senza precedenti. Al punto che<br />
alcune ottimistiche previsioni – 1 milione e 200.000 italiani che vendono e<br />
comprano titoli <strong>online</strong> entro il 2003, fatta da JP Morgan – potrebbero anche<br />
essere azzeccate, se non addirittura sottostimate.<br />
Tutte le banche italiane, grandi o piccole, nel giro di pochi mesi hanno saputo<br />
offrire un servizio di brokeraggio in Rete ai clienti. In qualche caso,<br />
sono state incoraggiate dalle performance di borsa dei concorrenti che per<br />
primi erano saliti sul carro del <strong>trading</strong> <strong>online</strong>. Ma la rapidità è stata oggettivamente<br />
straordinaria. Ovviamente, non tutti i servizi offerti sul mercato<br />
sono uguali. <strong>Ore</strong>cchiando fra la clientela, capita frequentemente di sentire<br />
qualche lagnanza sul funzionamento di alcuni di questi “prodotti”. Indietro<br />
però, non si torna. Basti pensare al vantaggio economico della transazione<br />
<strong>online</strong>, che costa ormai intorno al 2 per mille del valore azionario,<br />
contro il 7 per mille praticato da Sim e borsini. Basti pensare al vantaggio<br />
di “leggere” il mercato – ovvero veder scorrere i prezzi in tempo reale – o di<br />
disporre di informazioni a tambur battente; basta vedere quella sottile eb-<br />
* In Italia tutti dicono <strong>trading</strong> <strong>online</strong>, e accettiamo questa convenzione linguistica. Ma non<br />
senza ricordare che la dicitura corretta è <strong>online</strong> <strong>trading</strong>: in inglese l’aggettivo viene prima del<br />
sostantivo. Qualcuno dice forse company public o gain capital?