G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Capitolo 4<br />
5.3. Osservazione. Senza alcun aggravio <strong>di</strong> ipotesi ve<strong>di</strong>amo che tutta la successione {un} converge<br />
a u . Anzi, la convergenza è forte. A tale scopo osserviamo che, per ogni n , se v ∈ Vn , si<br />
ha un − v ∈ Vn , oltre a un − v ∈ V , e quin<strong>di</strong><br />
Segue allora<br />
a(un − u, un − v) = a(un, un − v) − a(u, un − v) = 〈f, un − v〉 − 〈f, un − v〉 = 0.<br />
α�un − u� 2 ≤ a(un − u, un − u) = a(un − u, un − v) + a(un − u, v − u)<br />
= a(un − u, v − u) ≤ M�un − u� �v − u�<br />
ove M è la norma della forma a . Deduciamo che<br />
�un − u� ≤ M<br />
α �v − u� per ogni v ∈ Vn da cui �un − u� ≤ M<br />
α �Pnu − u� (5.2)<br />
ove Pnu è la proiezione ortogonale <strong>di</strong> u sul sottospazio Vn . Ma, siccome la successione {Vn}<br />
è non decrescente e la sua unione è densa in V , la successione {Pnu} converge fortemente a u<br />
(Proposizione 2.9), da cui la convergenza forte a u anche della successione {un} .<br />
5.4. Applicazione numerica. Descriviamo un’approssimazione numerica (con “elementi finiti<br />
conformi”) <strong>di</strong> un problema ellittico del tipo descritto nell’Osservazione 1.26 in una situazione <strong>di</strong><br />
(Ω) e, in ipotesi <strong>di</strong> limitatezza ed ellitticità uniforme<br />
coercività: pren<strong>di</strong>amo dunque H = H1 0<br />
sulla matrice A , scegliamo b = 0 e c = 0 . Stiamo pertanto abbinando la con<strong>di</strong>zione al bordo<br />
(<strong>di</strong> “Dirichlet omogenea”) u|∂Ω = 0 all’equazione − <strong>di</strong>v(A∇u) = f (<strong>di</strong>ciamo f ∈ L2 (Ω) ). Supponiamo<br />
inoltre che Ω sia un poligono <strong>di</strong> R2 e ad ogni h ∈ (0, 1) associamo una famiglia finita Th<br />
(“triangolazione” <strong>di</strong> Ω ) <strong>di</strong> sottoinsiemi <strong>di</strong> Ω verificante le con<strong>di</strong>zioni seguenti: i) ogni T ∈ Th<br />
è un triangolo aperto e l’unione delle chiusure dei T ∈ Th è Ω ; ii) le chiusure <strong>di</strong> due triangoli<br />
Ti ∈ Th non <strong>di</strong>sgiunte hanno in comune esattamente un lato oppure un vertice dei Ti ; iii) tutti i<br />
lati <strong>di</strong> ogni T ∈ Th hanno lunghezza ≤ h . A Th associamo il sottospazio Vh (<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione finita)<br />
<strong>di</strong> H costituito dalle funzioni v ∈ H le cui restrizioni v|T sono polinomi <strong>di</strong> grado ≤ 1 per ogni<br />
T ∈ Th . Anche se non siamo nella situazione della successione crescente {Vn} ipotizzata sopra,<br />
abbiamo: i) il problema approssimato, detto “<strong>di</strong>screto”, ottenuto rimpiazzando H con Vh ha una<br />
e una sola soluzione uh (stessa <strong>di</strong>mostrazione); ii) vale l’analoga della (5.2) (stessa <strong>di</strong>mostrazione)<br />
e da qui si può dedurre (non banale) che la famiglia {uh} converge fortemente in H1 (Ω) alla<br />
soluzione u del problema “continuo” per h → 0 se la famiglia {Th} <strong>di</strong> triangolazioni verifica la<br />
con<strong>di</strong>zione seguente <strong>di</strong> “non assottigliamento”: esiste α > 0 tale che, per ogni h e ogni T ∈ Th ,<br />
tutti gli angoli <strong>di</strong> T hanno ampiezza ≥ α . Questo metodo ha i pregi seguenti: i) si presta a<br />
meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> triangolazione automatica; ii) è facile scegliere una base {wi, . . . , wm} <strong>di</strong> Vh in modo<br />
che la matrice associata al problema <strong>di</strong>screto sia facilmente calcolabile e sparsa (cioè a prevalenza<br />
<strong>di</strong> elementi nulli). Siano infatti yi , i = 1, . . . , m , i vertici dei triangoli <strong>di</strong> Th che non stanno<br />
su ∂Ω . Per i = 1, . . . , m definiamo allora: wi è l’unica funzione <strong>di</strong> Vh che verifica wi(yj) = δij<br />
(Kronecker).<br />
L’applicazione successiva necessita <strong>di</strong> una costruzione preliminare: la cosiddetta terna hilbertiana.<br />
Siano V e H due spazi <strong>di</strong> Hilbert reali. Usiamo le notazioni abbreviate seguenti:<br />
� · � = � · �V , | · | = � · �H , ( · , · ) = ( · , · )H e 〈 · , · 〉 = V ∗〈 · , · 〉V . (5.3)<br />
Si supponga ora che: i) V sia un sottospazio vettoriale <strong>di</strong> H denso in H ; ii) l’immersione <strong>di</strong><br />
V in H sia continua, il che equivale all’esistenza <strong>di</strong> una costante c tale che |v| ≤ c�v� per ogni<br />
v ∈ V . Allora, se u ∈ H e v ∈ V , si ha |(u, v)| ≤ |u| |v| ≤ c|u| �v� , per cui il funzionale lineare<br />
Iu : V → R che a v ∈ V associa (u, v) è continuo, cioè appartiene a V ∗ . Inoltre l’applicazione<br />
I : H → V ∗ che a ogni u ∈ H associa Iu è lineare e iniettiva, l’iniettività essendo vera perché<br />
Iu = 0 implica che u sia ortogonale a V in H e dunque sia nullo, data la densità <strong>di</strong> V in H .<br />
Quin<strong>di</strong> possiamo interpretare I come un’immersione, cosa che facciamo, e abbiamo<br />
〈u, v〉 = (u, v) per ogni u ∈ H e v ∈ V . (5.4)<br />
Risulta pertanto giustificata la definizione seguente, nella quale le notazioni (5.3) sono in vigore.<br />
92<br />
Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>