G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
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Capitolo 4<br />
e denotiamo con T l’insieme dei t ∈ R tali che (1.9) è vera. Siccome a1 = a , la tesi equivale al fatto che<br />
1 ∈ T e noi <strong>di</strong>mostriamo ad<strong>di</strong>rittura che T = R verificando che: i) 0 appartiene a T ; ii) esiste δ > 0<br />
tale che, per ogni t0 ∈ T , vale l’inclusione [t0 −δ, t0 +δ] ⊆ T . Mostriamo precisamente che si può prendere<br />
δ = α/(2M) , ove M è la norma <strong>di</strong> a (Definizione III.1.27). Osserviamo preliminarmente che<br />
|b(u, v)| ≤ M�u� �v� e at(v, v) ≥ α�v� 2 per ogni u, v ∈ H e t ∈ R . (1.10)<br />
Per quanto riguarda i) , siccome la forma a0 è anche simmetrica, essa verifica tutte le ipotesi del Corollario<br />
1.23. D’altra parte la (1.9) con t = 0 coincide con le conclusioni del corollario citato quando esso sia<br />
applicato alla forma a0 . Dunque 0 ∈ T . Passiamo a ii) e supponiamo t0 ∈ T . Presentiamo la (1.9) per t<br />
generico come un problema <strong>di</strong> punto fisso che fa intervenire la forma at0 osservando che at = at0 + (t − t0)b<br />
per ogni t ∈ R . Fissato dunque f0 ∈ H ∗ , dobbiamo trovare u ∈ H tale che<br />
at0 (u, v) = 〈f0, v〉 + (t0 − t) b(u, v) per ogni v ∈ H . (1.11)<br />
Per u ∈ H fissato, consideriamo il problema ausiliario <strong>di</strong> trovare w ∈ H tale che<br />
at0 (w, v) = 〈f0, v〉 + (t0 − t) b(u, v) per ogni v ∈ H .<br />
Siccome t0 ∈ T e l’applicazione <strong>di</strong> H in R data da f(v) = 〈f0, v〉 + (t0 − t) b(u, v) è lineare e continua, il<br />
problema ausiliario ha una e una sola soluzione w . Possiamo allora considerare l’applicazione F : H → H<br />
che a ogni u ∈ H associa tale soluzione, così che la (1.11) equivale all’equazione F(u) = u . Controlliamo<br />
che, per δ > 0 opportuno in<strong>di</strong>pendente da t0 e da f0 , l’applicazione F è una contrazione in H (Definizione<br />
A.1.28). Siano u1, u2 ∈ H . Poniamo per como<strong>di</strong>tà wi = F(ui) per i = 1, 2 . Semplicemente<br />
esplicitando ciò, sottraendo membro a membro e usando la bilinearità <strong>di</strong> at0 e <strong>di</strong> b , abbiamo<br />
Scelta v = w1 − w2 e usando le (1.10), otteniamo<br />
at0 (w1 − w2, v) = (t0 − t) b(u1 − u2, v) per ogni v ∈ H .<br />
α�w1 − w2� 2 ≤ at0(w1 − w2, w1 − w2) = |t0 − t| |b(u1 − u2, w1 − w2)| ≤ |t0 − t| M �u1 − u2� �w1 − w2�.<br />
Dunque �F(u1) − F(u2)� ≤ (M|t0 − t|/α) �u1 − u2� . Poniamo δ = α/(2M) come preannunciato. Allora,<br />
se |t0 − t| ≤ δ , si ha M|t0 − t|/α ≤ 1/2 e l’applicazione F è una contrazione. Quin<strong>di</strong> essa ha uno e un solo<br />
punto fisso per il Teorema delle contrazioni (ve<strong>di</strong> A.1.29) e deduciamo che t ∈ T . Pertanto, con tale scelta<br />
<strong>di</strong> δ , vale quanto affermato in ii) e la <strong>di</strong>mostrazione è conclusa.<br />
1.25. Esempio. Sappiamo che H 1 (Ω) = W 1,2 (Ω) è uno spazio <strong>di</strong> Hilbert, così come ogni suo<br />
sottospazio chiuso. Un’applicazione notevole del Teorema <strong>di</strong> Lax-Milgram riguarda la risolubilità<br />
<strong>di</strong> problemi ai limiti per certe equazioni a derivate parziali, dette <strong>di</strong> tipo ellittico. Siano A una<br />
matrice d × d <strong>di</strong> funzioni aij ∈ L ∞ (Ω) , b ∈ L ∞ (Ω) d e c ∈ L ∞ (Ω) . L’equazione che vogliamo<br />
considerare è la seguente<br />
− <strong>di</strong>v(A∇u) + ∇u · b + cu = f in Ω (1.12)<br />
ove u è l’incognita e f è una funzione data. Oltre alla regolarità già imposta, ai coefficienti<br />
richiederemo appunto anche la con<strong>di</strong>zione detta <strong>di</strong> ellitticità che espliciteremo tra breve.<br />
Le equazioni ellittiche costituiscono spesso il modello matematico <strong>di</strong> un fenomeno stazionario.<br />
In particolare ciò avviene per la (1.12): essa è il modello <strong>di</strong> un fenomeno stazionario <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusionetrasporto-reazione,<br />
i tre termini corrispondendo or<strong>di</strong>natamente ai tre addedn<strong>di</strong> del primo membro.<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista matematico l’equazione (1.12) è “in forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>vergenza”, dato che la sua<br />
parte principale, cioè − <strong>di</strong>v(A∇u) , è appunto una <strong>di</strong>vergenza. Gli altri adden<strong>di</strong> sono i termini <strong>di</strong><br />
or<strong>di</strong>ne inferiore. La locuzione usata si contrappone all’esplicitazione delle derivate seconde<br />
68<br />
−<br />
d�<br />
aijDiDju +<br />
i,j=1<br />
d�<br />
i=1<br />
b ∗ i Diu + cu = f ove b ∗ i = bi −<br />
d�<br />
Djaij . (1.13)<br />
j=1<br />
Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>