G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
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Capitolo 2<br />
in W k,p (Ω) . In particolare, se |α| ≤ k , la derivata debole D α u è il limite in L p (Ω) della successione<br />
{D α un} delle derivate classiche delle funzioni approssimanti un , il che, apparentemente,<br />
sembra qualcosa <strong>di</strong> più del fatto che D α u sia semplicemente la derivata debole. Per questo motivo<br />
le derivate D α u delle funzioni <strong>di</strong> u ∈ H k,p (Ω) vengono dette derivate forti.<br />
Tuttavia la situazione è più semplice <strong>di</strong> quanto si possa pensare e ora ne spieghiamo il motivo.<br />
Da un lato, supponendo che Ω sia limitato e verifichi certe con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> regolarità, è possibile<br />
ricondursi localmente al caso del semispazio (precisamente, fissato x0 ∈ ∂Ω , è possibile cambiare il<br />
sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate in un intorno abbastanza piccolo <strong>di</strong> x0 in modo che, nelle nuove coor<strong>di</strong>nate<br />
y1, . . . , yd , Ω venga sostanzialmente descritto dalla con<strong>di</strong>zione yd > 0 ) e regolarizzare u con una<br />
procedura opportuna in modo da <strong>di</strong>mostrare che<br />
C ∞ (Ω) è denso in W k,p (Ω) (riba<strong>di</strong>amo, in ipotesi <strong>di</strong> regolarità su Ω ).<br />
In tali con<strong>di</strong>zioni, essendo C k,p (Ω) ⊇ C ∞ (Ω) , deduciamo che H k,p (Ω) = W k,p (Ω) . D’altro canto,<br />
se Ω è un aperto qualunque, quella costruzione non può essere fatta e per un certo periodo <strong>di</strong> tempo<br />
si è creduto comunemente che si potesse avere H k,p (Ω) �= W k,p (Ω) . Ciò fino al Teorema “H=W”<br />
<strong>di</strong> Meyers-Serrin, che afferma l’uguaglianza H k,p (Ω) = W k,p (Ω) dei due spazi senza alcuna ipotesi<br />
ulteriore su Ω . Come conseguenza, cade la <strong>di</strong>stinzione fra derivate forti e deboli.<br />
Il Teorema “H=W” può essere utilizzato per dare <strong>di</strong>mostrazioni semplici delle estensioni <strong>di</strong><br />
alcune formule classiche. Apriamo una parentesi su questo punto con un paio <strong>di</strong> esercizi e cogliamo<br />
l’occasione per fare anche qualche osservazione.<br />
3.20. Esercizio. Sia u ∈ W 1,p (Ω) reale, ove Ω un aperto limitato <strong>di</strong> R d e p ∈ [1, +∞) . Sia<br />
inoltre G : R → R una funzione lipschitziana <strong>di</strong> classe C 1 e si consideri la funzione G ◦ u , che<br />
denotiamo semplicemente con G(u) . Si <strong>di</strong>mostri che G(u) ∈ W 1,p (Ω) e che DiG(u) = G ′ (u)Diu<br />
per i = 1, . . . , d , verificando che G(u) e G ′ (u)Diu appartengono a L p (Ω) e che la seconda funge<br />
da derivata parziale (debole) della prima secondo la definizione stessa. Vale cioè la formula<br />
DiG(u) = G ′ (u)Diu per i = 1, . . . , d (3.7)<br />
ove naturalmente le derivate DiG(u) e Diu sono intese in senso debole. Si consiglia <strong>di</strong> usare<br />
l’identità W 1,p (Ω) = H 1,p (Ω) e <strong>di</strong> approssimare u in W 1,p (Ω) con funzioni un ∈ C 1,p (Ω) . Si<br />
controlli infine che le stesse conclusioni valgono se Ω non è limitato, purché G(0) = 0 .<br />
3.21. Osservazione. Grazie a un risultato <strong>di</strong> Stampacchia, l’appartenenza G(u) ∈ W 1,p (Ω) e la<br />
formula DiG(u) = G ′ (u)Diu valgono con G solo lipschitziana (e G(0) = 0 se Ω non è limitato)<br />
nei due casi seguenti: i) u ∈ W 1,p<br />
0 (Ω) e Ω è qualunque; ii) u ∈ W 1,p (Ω) e Ω è limitato<br />
e regolare. Notiamo però che il termine G ′ (u)Diu va opportunamente interpretato, in quanto,<br />
se r ∈ R è un punto in cui G non è <strong>di</strong>fferenziabile, il valore <strong>di</strong> G ′ (u) non risulta ben definito<br />
nell’insieme Ωr = {x : u(x) = r} . Ebbene sempre Stampacchia ha <strong>di</strong>mostrato che Diu = 0<br />
q.o. in Ωr (in realtà Diu = 0 q.o. in Ωr per ogni valore <strong>di</strong> r ). Allora il senso da attribuire<br />
(q.o.) a G ′ (u)Diu è il seguente: il valore G ′ (u(x)) è arbitrario nei punti x tali che u(x) è un<br />
punto <strong>di</strong> non <strong>di</strong>fferenziabilità <strong>di</strong> G (tanto tale valore verrà moltiplicato per zero). Ad esempio, se<br />
u ∈ W 1,p (Ω) , anche u + appartiene a W 1,p (Ω) e si ha: Diu + = Diu q.o. nell’insieme in cui u > 0<br />
e Diu + = 0 q.o. nell’insieme in cui u ≤ 0 . Anche se la funzione r ↦→ (r) + non è <strong>di</strong>fferenziabile<br />
in 0 , si ha Diu + = 0 q.o. nell’insieme in cui u = 0 , insieme che in certi casi potrebbe essere molto<br />
brutto, ad esempio <strong>di</strong> misura positiva ma senza punti interni.<br />
3.22. Esercizio. Si <strong>di</strong>mostri che, se p, q, r ∈ [1, +∞) verificano 1/r = (1/p) + (1/q) e se<br />
u ∈ W 1,p (Ω) e v ∈ W 1,q (Ω) , allora uv ∈ W 1,r (Ω) e vale la formula <strong>di</strong> Leibniz<br />
Di(uv) = vDiu + uDiv per i = 1, . . . , d (3.8)<br />
per le derivate deboli. Si consiglia ancora l’uso dell’identità W 1,s (Ω) = H 1,s (Ω) , ora con s = p, q .<br />
44<br />
Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>