G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
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Completezza<br />
e dal fatto che l’ultimo termine è infinitesimo per la (3.2).<br />
Supponiamo ora V normato. Tutto ciò che abbiamo <strong>di</strong>mostrato continua a valere se d è la metrica<br />
indotta dalla norma. Ciò che dovremmo ancora <strong>di</strong>mostrare è che è possibile definire operazioni che rendono<br />
�V spazio vettoriale e l’isometria I già costruita lineare e che � d è indotta da una norma in � V . Tuttavia<br />
proce<strong>di</strong>amo spe<strong>di</strong>tamente. Se �x, �y ∈ � V e λ ∈ K , poniamo<br />
�x + �y = lim<br />
n→∞ I(xn + yn) e λ�x = lim<br />
n→∞ I(λxn) ove {xn} ∈ �x e {yn} ∈ �y .<br />
Si verifica senza <strong>di</strong>fficoltà che le definizioni non <strong>di</strong>pendono dai rappresentanti e dunque hanno senso e che<br />
�V <strong>di</strong>venta effettivamente uno spazio vettoriale. La linearità <strong>di</strong> I è poi vera per costruzione. Infine, per<br />
l’ultimo punto, basta controllare che � d verifica le due con<strong>di</strong>zioni della Proposizione I.3.8, e ciò non offre<br />
<strong>di</strong>fficoltà alcuna se si usa la (3.2) ancora una volta.<br />
Passiamo alle unicità espresse nell’enunciato. Anche qui proce<strong>di</strong>amo spe<strong>di</strong>tamente. Partiamo dal caso<br />
degli spazi metrici: fissati due completamenti ( � V , � d) e ( � V , � d) dello spazio metrico (V, d) , dobbiamo costruire<br />
un omeomorfismo isometrico fra i due. Siano I : V → I(V ) ⊆ � V e J : V → J(V ) ⊆ � V due isometrie. Allora<br />
sono isometrie anche le applicazioni biiettive I ◦J −1 : J(V ) → I(V ) e J ◦I −1 : I(V ) → J(V ) . Siccome ogni<br />
isometria è, banalmente, una funzione uniformemente continua, possiamo applicare la Proposizione A.1.27<br />
alle applicazioni I ◦ J −1 e a J ◦ I −1 e prolungarle a due funzioni continue F : � V → � V e G : � V → � V<br />
rispettivamente. Ovviamente la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> isometria si conserva sui prolungamenti. A questo punto<br />
si controlla che G ◦ F = id�V e F ◦ G = id �V , le applicazioni identiche dei due spazi, per cui F è un<br />
omeomorfismo isometrico e G è l’omeomorfismo inverso. Se poi V è uno spazio vettoriale normato, questa<br />
costruzione conduce chiaramente ad applicazioni lineari, data la linearità delle isometrie I e J <strong>di</strong> partenza.<br />
Come ultima cosa, dobbiamo controllare che ogni completamento <strong>di</strong> uno spazio prehilbertiano è uno<br />
spazio <strong>di</strong> Hilbert e l’unico controllo mancante è la regola del parallelogrammo (Proposizione I.3.9). Ma ciò<br />
viene imme<strong>di</strong>atamente utilizzando la continuità della norma.<br />
Data l’essenziale unicità del completamento, si <strong>di</strong>ce spesso, appunto, il completamento, con<br />
l’articolo determinativo. Di volta in volta, tuttavia, occorre costruire un completamento, il più<br />
concreto possibile, e si ha davvero il completamento quando questo è già noto. Diamo alcuni<br />
esempi che vogliono chiarire la situazione.<br />
3.3. Esempio. Sia V = C 1 [0, 1] , lo spazio delle funzioni <strong>di</strong> classe C 1 nell’intervallo [0, 1] ,<br />
munito della norma del massimo. Allora non c’è completezza, come mostra la seconda parte<br />
dell’Esempio I.3.17: V è un sottospazio non chiuso <strong>di</strong> C 0 [0, 1] e quin<strong>di</strong> non può essere completo<br />
rispetto alla norma del massimo. Siccome invece C 0 [0, 1] è completo rispetto a tale norma e<br />
C 1 [0, 1] è un sottoinsieme denso (grazie all’esercizio proposto tra breve) abbiamo che C 0 [0, 1] è<br />
il completamento dello spazio normato da cui siamo partiti.<br />
3.4. Esempio. Sia ora V = {v ∈ C 1 [0, 1] : v(0) = 0} , ancora munito della norma del massimo.<br />
Questo spazio non è completo a maggior ragione, essendo sottospazio <strong>di</strong> quello dell’esempio precedente.<br />
Tuttavia esso non è denso in C 0 [0, 1] . Un completamento si ottiene allora prendendone la<br />
chiusura in C 0 [0, 1] . Questa è {v ∈ C 0 [0, 1] : v(0) = 0} grazie all’esercizio successivo.<br />
3.5. Esercizio. Si <strong>di</strong>mostri che<br />
C ∞ [0, 1] è denso in C 0 [0, 1] rispetto alla norma del massimo. (3.3)<br />
Fissata u ∈ C 0 [0, 1] , si consiglia <strong>di</strong> applicare la (I.5.29) al prolungamento v <strong>di</strong> u definito da<br />
v(x) = u(x) se x ∈ [0, 1] , v(x) = u(0) se x < 0 e v(x) = u(1) se x > 1 . Si <strong>di</strong>mostri inoltre che<br />
il sottospazio <strong>di</strong> C ∞ [0, 1] costituito dalle funzioni u nulle in un intorno <strong>di</strong> 0 è denso, rispetto<br />
alla norma del massimo, nel sottospazio <strong>di</strong> C 0 [0, 1] costituito dalle funzioni nulle in 0 . Fissata<br />
u ∈ C 0 [0, 1] , si consiglia <strong>di</strong> procedere come sopra con la variante seguente: nella costruzione <strong>di</strong> v<br />
si sostituisce u con uζε , ove ζε : [0, 1] → R è data dalla formula ζε(x) = min{1, (x − 2ε) + /ε} .<br />
3.6. Esercizio. Vale un risultato più forte della (3.3), dovuto a Weierstrass: lo spazio delle<br />
restrizioni a [0, 1] dei polinomi è denso in C 0 [0, 1] rispetto alla norma del massimo. Si <strong>di</strong>mostri<br />
<strong>Analisi</strong> <strong>Funzionale</strong><br />
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