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G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica

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Capitolo 5<br />

è la funzione data proprio dalla formula g = −u ′′ + ξ e h(0) vale contemporaneamente α e β ,<br />

ma ciò non è possibile. Al contrario, è banale controllare che il problema (12.17) è risolto dalla<br />

coppia (u, ξ) . Siccome, come osservato, quest’ultimo ha al massimo una soluzione, ve<strong>di</strong>amo che è<br />

mal posto il problema (12.13) e conclu<strong>di</strong>amo che un problema <strong>di</strong> tipo (12.13) con h monotona e<br />

<strong>di</strong>scontinua va impostato nella forma più generale (12.17): la funzione ξ è una seconda incognita<br />

e sarà lei a scegliersi i valori che deve assumere nei punti x per i quali u(x) è un punto <strong>di</strong> non<br />

<strong>di</strong>fferenziabilità <strong>di</strong> ϕ (cioè, nel caso D(ϕ) = R , un punto <strong>di</strong> salto della derivata ϕ ′ ). Notiamo<br />

che, se (12.17) ha una soluzione regolare u (necessariamente unica), allora tale u risolve non<br />

un’equazione a derivate parziali in Ω ma l’inclusione <strong>di</strong>fferenziale −∆u + ∂ϕ(u) ∋ g q.o. in Ω ,<br />

che nei casi concreti si legge come un sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>suguaglianze e <strong>di</strong> uguaglianze. Ad esempio, nel<br />

caso in cui ϕ è la parte positiva e u è regolare, abbiamo: ∆u+g = 1 , ∆u+g = 0 e 0 ≤ ∆u+g ≤ 1<br />

q.o. rispettivamente negli insiemi in cui u > 0 , u < 0 e u = 0 .<br />

Veniamo all’esistenza, che ancora possiamo cercare <strong>di</strong> ottenere tentando <strong>di</strong> minimizzare il funzionale<br />

(12.16), nella definizione del quale dobbiamo leggere +∞ per le funzioni v ∈ H1 0 (Ω) tali che<br />

ϕ(v) �∈ L1 (Ω) , in particolare per le funzioni v ∈ H1 0 (Ω) che non verificano il vincolo v(x) ∈ D(ϕ)<br />

su un insieme <strong>di</strong> misura positiva, cioè nello spirito della (12.11). Ora, la ricerca del minimo non<br />

offre problemi: se ϕ ≥ 0 si ragiona esattamente come sopra; in caso contrario, come evidenziato<br />

nella <strong>di</strong>mostrazione della Proposizione 12.22, abbiamo ϕ ≥ P per un certo polinomio <strong>di</strong> grado ≤ 1<br />

e il <strong>di</strong>scorso si adatta facilmente (il polinomio P , se rema contro la coercività, non è peggio del<br />

termine lineare già presente). Occorre allora vedere che, se u è un punto <strong>di</strong> minimo per ψ , allora<br />

esiste ξ ∈ L2 (Ω) tale che la coppia (u, ξ) risolva le (12.17). Ve<strong>di</strong>amo come questa strategia offra<br />

(Ω) e<br />

qualche ostacolo. Per vedere più chiaramente come vanno le cose, conviene porre V = H1 0<br />

H = L2 (Ω) e introdurre la terna hilbertiana (V, H, V ∗ ) . A tale proposito ricor<strong>di</strong>amo la Defini-<br />

zione IV.5.5 e le notazioni (IV.5.3). Restando inteso che la norma in V è data da � · � = �∇( · )�2<br />

come detto sopra, il prodotto scalare corrispondente (( · , · )) è definito da ((w, z)) = �<br />

∇w · ∇z dx<br />

Ω<br />

per w, z ∈ V . Inoltre introduciamo il funzionale, che qui chiamiamo f , definito su H tramite<br />

la (12.11). Siccome u è punto <strong>di</strong> minimo, si ha ϕ(u) ∈ L1 (Ω) . Siano v ∈ V tale che ϕ(v) ∈ L1 (Ω)<br />

e t ∈ (0, 1) . Allora ϕ(u + t(v − u)) ∈ L1 (Ω) e risulta<br />

f(u) + 1<br />

2 �u�2 − (g, u) ≤ f(u + t(v − u)) + 1<br />

2 �u + t(v − u)�2 − (g, u + t(v − u)).<br />

Usando la convessità <strong>di</strong> f che <strong>di</strong>scende da quella <strong>di</strong> ϕ deduciamo<br />

f(u) + 1<br />

2 �u�2 − (g, u)<br />

≤ f(u) + t(f(v) − f(u)) + 1<br />

2 �u�2 + t((u, v − u)) + t2<br />

2 �v − u�2 − (g, u) − t(g, v − u).<br />

Semplificando, <strong>di</strong>videndo per t e rior<strong>di</strong>nando, otteniamo<br />

f(u) − ((u, v − u)) + (g, v − u) ≤ f(v) cioè f(u) + 〈−Ru + g, v − u〉 ≤ f(v)<br />

ove R : V → V ∗ è l’operatore <strong>di</strong> Riesz associato al prodotto scalare (( · , · )) . Tutto ciò vale dunque<br />

per ogni v ∈ V tale che ϕ(v) ∈ L 1 (Ω) , quin<strong>di</strong> anche per ogni v ∈ V . Ora la <strong>di</strong>suguaglianza<br />

ottenuta non coincide con le (12.17): per avere qualcosa <strong>di</strong> simile all’equazione dobbiamo scegliere<br />

ξ = −Ru+g , che è un elemento <strong>di</strong> V ∗ e non <strong>di</strong> H . Tuttavia, se tale ξ appartiene ad H , allora la<br />

<strong>di</strong>suguaglianza in questione <strong>di</strong>venta f(u) + (ξ, v − u) ≤ f(v) per ogni v ∈ V e sembra ragionevole<br />

la possibilità <strong>di</strong> estenderla a ogni v ∈ H . Segue allora ξ ∈ ∂f(u) e quin<strong>di</strong> ξ ∈ ϕ(u) q.o. in Ω<br />

per la Proposizione 12.22, così che (u, ξ) risolve le (12.17). Notiamo che la richiesta −Ru + g ∈ H<br />

coincide con Ru ∈ H , il che significa che esiste in L 2 (Ω) il laplaciano debole −∆u <strong>di</strong> u , e non è<br />

chiaro come la via seguita possa portare a sod<strong>di</strong>sfare questa con<strong>di</strong>zione.<br />

Dunque non è ovvio come superare gli ostacoli trovati, per cui <strong>di</strong>amo qualche in<strong>di</strong>cazione su<br />

un’altra via possibile, quella dell’approssimazione. Supponendo senz’altro ϕ ≥ 0 e ϕ(0) = 0 ,<br />

140<br />

Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>

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