G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica

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Capitolo 5 12.19. Esempio. Sia V uno spazio di Hilbert. Per coordinare le notazioni con quelle di un esempio successivo denotiamo con (( · , · )) il prodotto scalare. Vogliamo determinare il sottodifferenziale della funzione f : V → R data da f(x) = (1/2)�x� 2 senza identificare V con il suo duale tramite l’isomorfismo di Riesz. A tale scopo vediamo se f è differenziabile secondo Gâteaux in x usando l’Osservazione 12.13. Per x, v ∈ V abbiamo f(x + tv) = 1 2 �x�2 + t((x, v)) + t2 2 �v�2 da cui d � � f(x + tv) � = ((x, v)) = 〈Rx, v〉. dt t=0 Dunque f è G-differenziabile in x e f ′ (x) = Rx per ogni x ∈ V . Per la Proposizione 12.16 concludiamo che ∂f(x) = {Rx} . Dunque ∂f : V → V ∗ coincide con l’isomorfismo di Riesz. Ora aggiungiamo a f un contributo lineare considerando la funzione g : V → R data dalla formula g(x) = (1/2)�x� 2 − 〈ϕ, x〉 , ove ϕ ∈ V ∗ è assegnato. Adattando il calcolo fatto abbiamo ∂g(x) = {Rx − ϕ} . Allora un punto x ∈ V è punto di minimo per g se e solo se esso verifica 0 ∈ ∂g(x) , cioè Rx = ϕ . Si noti che questo fatto può essere usato per dimostrare il Teorema di Riesz nel caso reale. Ecco la traccia: dato ϕ ∈ V ∗ , per trovare x ∈ V tale che Rx = ϕ , minimizziamo il funzionale g dimostrando che, grazie alla convessità di C e alla regola del parallelogrammo, ogni successione minimizzante è di Cauchy, dunque convergente per la completezza. 12.20. Osservazione. Si può dimostrare che, nel caso di un generico spazio normato, il sottodifferenziale della funzione x ↦→ (1/2)�x�2 è l’applicazione di dualità F : V → 2V ∗ data dalla Definizione 3.1. Se la dimostrazione di questo fatto è complessa in generale, un collegamento fra il sottodifferenziale in questione e F è dato dall’Esempio 11.14 con V = Lp (Ω) e dall’Osservazione 11.16 con V spazio normato generico. 12.21. Esempio. Usiamo la Definizione IV.5.5 e le notazioni (IV.5.3). Sia (V, H, V ∗ ) una terna hilbertiana reale e si consideri la funzione f : H → (−∞, +∞] definita dalle formule f(v) = 1 2 �v�2 se v ∈ V e f(v) = +∞ altrimenti. La funzione f è ovviamente convessa e propria. Meno ovvio è che essa sia anche s.c.i., per cui facciamo questa verifica. Siano xn → x in H e λ = lim inf f(xn) : dobbiamo controllare che f(x) ≤ λ . Possiamo supporre λ < +∞ , f(xn) < +∞ per ogni n e che {f(xn)} converga a λ (pur di passare a una sottosuccessione opportuna). Dalla limitatezza dell’ultima successione deduciamo che la successione {xn} è limitata in V . Dunque, per il Teorema di compattezza debole IV.5.1, possiamo estrarre una sottosuccessione {xnk } convergente debolmente in V a un elemento y ∈ V . Allora abbiamo anche xnk ⇀ y in H . Ma {xnk } converge a x in H , dunque anche debolmente a x in H . Per l’unicità del limite debole deduciamo y = x . Quindi xnk ⇀ x in V . D’altra parte {f(xnk )} converge a λ . Siccome la restrizione di f a V è convessa e s.c.i. (perché continua) rispetto alla topologia di V , deduciamo che f(x) ≤ λ . Ora che è stabilita anche la s.c.i., vogliamo determinare il sottodifferenziale di f identificando H ad H ∗ ma non V a V ∗ tramite l’isomorfismo di Riesz. Supponiamo x ∈ D(f) e ξ ∈ ∂f(x) . Allora f(x) + (ξ, y − x) ≤ f(y) per ogni y ∈ D(f) . Osservato che D(f) = V , possiamo scrivere 〈ξ, y − x〉 anziché (ξ, y − x) e riconosciamo che il problema è identico a quello dell’Esempio 12.19: la funzione f dell’esempio citato è la restrizione a V della f attuale. Ora abbiamo solo l’ipotesi supplementare che ξ ∈ H che là non avevamo. Deduciamo pertanto che ξ = Rx , ove R è l’isomorfismo di Riesz dello spazio V , e che Rx = ξ ∈ H . Viceversa, se x ∈ V e Rx ∈ H , si controlla senza difficoltà che ξ ∈ ∂f(x) . Concludiamo che D(∂f) = {x ∈ V : Rx ∈ H} = R −1 (H) e ∂f(x) = {Rx} per x ∈ R −1 (H) . In altre parole ∂f è la restrizione di R a R −1 (H) . Se poi consideriamo la funzione g : H → (−∞, +∞] data da g(x) = f(x) − (z, x) ove z ∈ H 136 Gianni Gilardi

Il Teorema di Hahn-Banach è fissato, come nel caso già trattato otteniamo che D(∂g) = D(∂f) e che ∂g(x) = {Rx − z} per x ∈ D(f) . In particolare x ∈ H è punto di minimo per g se e solo se x ∈ R −1 (H) e Rx = z . Dunque, se cerchiamo il punto di minimo per la funzione g , come nell’esempio citato risolviamo l’equazione Rx = z , cioè ((x, y)) = 〈z, y〉 per ogni y ∈ V ove (( · , · )) è il prodotto scalare di V , vale a dire ((x, y)) = (z, y) per ogni y ∈ V , ora con l’ipotesi aggiuntiva z ∈ H , trovando la soluzione x in R −1 (H) . Un esempio non banale di funzione convessa propria s.c.i. è descritto nel risultato che segue, nel quale si calcola anche il sottodifferenziale. Si osservi preliminarmente che la composizione ϕ ◦ v di una funzione ϕ : R → (−∞, +∞] s.c.i. con una funzione v misurabile su uno spazio di misura è essa stessa misurabile. Come spesso si usa, scriviamo ϕ(v) anziché ϕ ◦ v . 12.22. Proposizione. Siano ϕ : R → (−∞, +∞] una funzione convessa propria s.c.i., (Ω, M, µ) uno spazio di misura finito e p ∈ (1, +∞) . Definiamo f : L p (Ω) → (−∞, +∞] mediante � f(v) = Ω ϕ(v(x)) dµ se ϕ(v) ∈ L 1 (Ω) e f(v) = +∞ altrimenti. (12.11) Allora f è convessa propria s.c.i. e il suo sottodifferenziale si ottiene come segue: se u ∈ Lp (Ω) e ξ ∈ Lp′ (Ω) risulta ξ ∈ ∂f(u) se e solo se ξ(x) ∈ ∂ϕ(u(x)) q.o. in Ω (12.12) con l’identificazione (Lp (Ω)) ∗ = Lp′ (Ω) tramite l’isomorfismo di Riesz. Dimostrazione. Osserviamo che effettivamente f non assume mai il valore −∞ . Infatti si scelga un polinomio P di grado ≤ 1 tale che P (t) ≤ ϕ(t) per ogni t ∈ R . L’esistenza di tale polinomio, senz’altro garantita dal Lemma 11.8 che deriva dal Teorema di Hahn-Banach, può essere in questo caso dimostrata in modo semplice e diretto come segue. Se D(ϕ) ha un solo punto t0 prendiamo P (t) = ϕ(t0) . In caso contrario D(ϕ) contiene un intervallo [a, b] non banale e, detto Q il polinomio di grado ≤ 1 che coincide con ϕ in a e in b e osservato che ϕ è continua in [a, b] , si può prendere P (t) = Q(t) − c ove c è il minimo di Q − ϕ in [a, b] . Trovato il polinomio P minorante, continuiamo il discorso. Siccome P (v) ∈ L1 (Ω) per ogni v ∈ L1 (Ω) e Lp (Ω) ⊆ L1 (Ω) perché µ(Ω) < +∞ , abbiamo che f(v) > −∞ . Inoltre f è convessa e propria, come subito si verifica. Infine f è s.c.i., come ora controlliamo. Siano {un} una successione in Lp (Ω) convergente a u ∈ Lp (Ω) e λ = lim infn→∞ f(un) . Dobbiamo verificare che f(u) ≤ λ . Chiaramente possiamo supporre λ finito. Mediante due estrazioni successive troviamo una sottosuccessione {unk } che verifica limk→∞ f(unk ) = λ e che converge a u q.o. Considerando ϕ − P se occorre, ci rinconduciamo al caso in cui ϕ è non negativa. Allora le funzioni ϕ(unk ) sono non negative e risulta 0 ≤ ϕ(u) ≤ lim infk→∞ ϕ(unk ) q.o. Per il Lemma di Fatou, deduciamo che ϕ(u) ∈ L1 (Ω) e che � � � f(u) = ϕ(u) dµ ≤ lim inf Ω Ω k→∞ ϕ(unk )� dµ � ≤ lim inf ϕ(unk ) dµ = lim f(unk ) = λ . k→∞ Ω k→∞ Veniamo alla (12.12). Supponiamo ξ ∈ ∂ϕ(u) q.o. Allora, per ogni v ∈ D(f) e per q.o. x ∈ Ω , risulta ϕ(u(x)) ≤ ξ(x) � u(x) − v(x) � + ϕ(v(x)) e tutte le funzioni in gioco sono integrabili. Integrando si ottiene che ξ ∈ ∂f(u) . Supponiamo, viceversa, ξ ∈ ∂f(u) , cioè Analisi Funzionale � Ω � � ξ (u − v) dµ + ϕ(v) dµ − ϕ(u) dµ ≥ 0 per ogni v ∈ D(f) . Ω Ω 137

Capitolo 5<br />

12.19. Esempio. Sia V uno spazio <strong>di</strong> Hilbert. Per coor<strong>di</strong>nare le notazioni con quelle <strong>di</strong> un<br />

esempio successivo denotiamo con (( · , · )) il prodotto scalare. Vogliamo determinare il sotto<strong>di</strong>fferenziale<br />

della funzione f : V → R data da f(x) = (1/2)�x� 2 senza identificare V con il suo duale<br />

tramite l’isomorfismo <strong>di</strong> Riesz. A tale scopo ve<strong>di</strong>amo se f è <strong>di</strong>fferenziabile secondo Gâteaux in x<br />

usando l’Osservazione 12.13. Per x, v ∈ V abbiamo<br />

f(x + tv) = 1<br />

2 �x�2 + t((x, v)) + t2<br />

2 �v�2 da cui<br />

d<br />

�<br />

�<br />

f(x + tv) � = ((x, v)) = 〈Rx, v〉.<br />

dt t=0<br />

Dunque f è G-<strong>di</strong>fferenziabile in x e f ′ (x) = Rx per ogni x ∈ V . Per la Proposizione 12.16<br />

conclu<strong>di</strong>amo che ∂f(x) = {Rx} . Dunque ∂f : V → V ∗ coincide con l’isomorfismo <strong>di</strong> Riesz.<br />

Ora aggiungiamo a f un contributo lineare considerando la funzione g : V → R data dalla<br />

formula g(x) = (1/2)�x� 2 − 〈ϕ, x〉 , ove ϕ ∈ V ∗ è assegnato. Adattando il calcolo fatto abbiamo<br />

∂g(x) = {Rx − ϕ} . Allora un punto x ∈ V è punto <strong>di</strong> minimo per g se e solo se esso verifica<br />

0 ∈ ∂g(x) , cioè Rx = ϕ .<br />

Si noti che questo fatto può essere usato per <strong>di</strong>mostrare il Teorema <strong>di</strong> Riesz nel caso reale.<br />

Ecco la traccia: dato ϕ ∈ V ∗ , per trovare x ∈ V tale che Rx = ϕ , minimizziamo il funzionale g<br />

<strong>di</strong>mostrando che, grazie alla convessità <strong>di</strong> C e alla regola del parallelogrammo, ogni successione<br />

minimizzante è <strong>di</strong> Cauchy, dunque convergente per la completezza.<br />

12.20. Osservazione. Si può <strong>di</strong>mostrare che, nel caso <strong>di</strong> un generico spazio normato, il sotto<strong>di</strong>fferenziale<br />

della funzione x ↦→ (1/2)�x�2 è l’applicazione <strong>di</strong> dualità F : V → 2V ∗<br />

data dalla Definizione<br />

3.1. Se la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> questo fatto è complessa in generale, un collegamento fra il sotto<strong>di</strong>fferenziale<br />

in questione e F è dato dall’Esempio 11.14 con V = Lp (Ω) e dall’Osservazione 11.16<br />

con V spazio normato generico.<br />

12.21. Esempio. Usiamo la Definizione IV.5.5 e le notazioni (IV.5.3). Sia (V, H, V ∗ ) una terna<br />

hilbertiana reale e si consideri la funzione f : H → (−∞, +∞] definita dalle formule<br />

f(v) = 1<br />

2 �v�2<br />

se v ∈ V e f(v) = +∞ altrimenti.<br />

La funzione f è ovviamente convessa e propria. Meno ovvio è che essa sia anche s.c.i., per cui<br />

facciamo questa verifica. Siano xn → x in H e λ = lim inf f(xn) : dobbiamo controllare che<br />

f(x) ≤ λ . Possiamo supporre λ < +∞ , f(xn) < +∞ per ogni n e che {f(xn)} converga<br />

a λ (pur <strong>di</strong> passare a una sottosuccessione opportuna). Dalla limitatezza dell’ultima successione<br />

deduciamo che la successione {xn} è limitata in V . Dunque, per il Teorema <strong>di</strong> compattezza<br />

debole IV.5.1, possiamo estrarre una sottosuccessione {xnk } convergente debolmente in V a un<br />

elemento y ∈ V . Allora abbiamo anche xnk ⇀ y in H . Ma {xnk } converge a x in H , dunque<br />

anche debolmente a x in H . Per l’unicità del limite debole deduciamo y = x . Quin<strong>di</strong> xnk ⇀ x<br />

in V . D’altra parte {f(xnk )} converge a λ . Siccome la restrizione <strong>di</strong> f a V è convessa e s.c.i.<br />

(perché continua) rispetto alla topologia <strong>di</strong> V , deduciamo che f(x) ≤ λ .<br />

Ora che è stabilita anche la s.c.i., vogliamo determinare il sotto<strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> f identificando<br />

H ad H ∗ ma non V a V ∗ tramite l’isomorfismo <strong>di</strong> Riesz. Supponiamo x ∈ D(f) e ξ ∈ ∂f(x) .<br />

Allora f(x) + (ξ, y − x) ≤ f(y) per ogni y ∈ D(f) . Osservato che D(f) = V , possiamo scrivere<br />

〈ξ, y − x〉 anziché (ξ, y − x) e riconosciamo che il problema è identico a quello dell’Esempio 12.19:<br />

la funzione f dell’esempio citato è la restrizione a V della f attuale. Ora abbiamo solo l’ipotesi<br />

supplementare che ξ ∈ H che là non avevamo. Deduciamo pertanto che ξ = Rx , ove R è<br />

l’isomorfismo <strong>di</strong> Riesz dello spazio V , e che Rx = ξ ∈ H . Viceversa, se x ∈ V e Rx ∈ H , si<br />

controlla senza <strong>di</strong>fficoltà che ξ ∈ ∂f(x) . Conclu<strong>di</strong>amo che<br />

D(∂f) = {x ∈ V : Rx ∈ H} = R −1 (H) e ∂f(x) = {Rx} per x ∈ R −1 (H) .<br />

In altre parole ∂f è la restrizione <strong>di</strong> R a R −1 (H) .<br />

Se poi consideriamo la funzione g : H → (−∞, +∞] data da g(x) = f(x) − (z, x) ove z ∈ H<br />

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Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>

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