G. Gilardi, Analisi Funzionale - Dipartimento di Matematica
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Capitolo 5<br />
come l’identità. Ciò è dunque in accordo con l’Esercizio 3.2 dato che nel caso dello spazio reale<br />
H = L 2 (Ω) si ha R = R2 .<br />
Il caso p = 1 è più delicato in quanto L ∞ (Ω) non è in generale strettamente convesso.<br />
Leggendo la (3.3) come relazione nel piano (u, w) e facendo tendere p a 1 , siamo indotti a<br />
formulare una congettura: il caso p = 1 dovrebbe corrispondere a<br />
(u, w) ∈ ((−∞, 0) × {−c}) ∪ ({0} × [−c, c]) ∪ ((0, +∞) × {c}) ove c = �u�1 .<br />
Le w ∈ F1(u) dovrebbero dunque essere tutte e sole quelle che verificano le con<strong>di</strong>zioni<br />
|w| ≤ �u�1 in Ω , sign w = sign u e |w| = �u�1 ove u �= 0. (3.4)<br />
Ve<strong>di</strong>amo infatti che queste equivalgono alle seguenti<br />
�<br />
�w�∞ = �u�1 e<br />
wu dµ = �u�<br />
Ω<br />
2 1 . (3.5)<br />
Se u = 0 , entrambe le con<strong>di</strong>zioni forniscono w = 0 . Supponiamo quin<strong>di</strong> u �= 0 e siano Ω± gli<br />
insiemi in cui u > 0 e u < 0 rispettivamente, uno almeno quali ha, dunque, misura positiva. Si<br />
vede allora subito che le (3.4) implicano la prima delle (3.5) e la seconda segue imme<strong>di</strong>atamente:<br />
� �<br />
�<br />
�<br />
wu dµ = �u�1 |u| dµ + (−�u�1) (−|u|) dµ = �u�1 |u| dµ = �u� 2 1 .<br />
Ω<br />
Ω+<br />
Ω−<br />
Ω+∪Ω−<br />
Valgano ora le (3.5). Allora |w| ≤ �u�1 in Ω . Per dedurre le altre due con<strong>di</strong>zioni della (3.4),<br />
osserviamo che wu ≤ �w�∞|u| in Ω , da cui anche<br />
�u� 2 � �<br />
1 = wu dµ ≤ �w�∞|u| dµ = �w�∞�u�1 = �u� 2 1 .<br />
Ω<br />
Ω<br />
Deduciamo che anche la <strong>di</strong>suguaglianza interme<strong>di</strong>a deve essere un’uguaglianza. Ricordando che<br />
wu ≤ �w�∞|u| conclu<strong>di</strong>amo che wu = �w�∞|u| , da cui le altre con<strong>di</strong>zioni (3.4) richieste.<br />
4. Isomorfismo canonico, riflessività e convergenza debole*<br />
Se V è uno spazio normato, anche V ∗ lo è (anzi, V ∗ è automaticamente uno spazio <strong>di</strong> Banach), per<br />
cui possiamo considerarne il duale V ∗∗ = (V ∗ ) ∗ . Per ogni x ∈ V consideriamo ora l’applicazione<br />
Jx : V ∗ → K definita da Jx : f ↦→ 〈f, x〉.<br />
Essa è lineare per definizione <strong>di</strong> operazioni in V ∗ ed è anche continua dato che<br />
|(Jx)(f)| = |〈f, x〉| ≤ �f�∗ �x� per ogni f ∈ V ∗ .<br />
Dunque Jx ∈ V ∗∗ e abbiamo il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> scrivere 〈Jx, f〉 anziché (Jx)(f) . Abbiamo pertanto<br />
〈Jx, f〉 = 〈f, x〉 per ogni x ∈ V e f ∈ V ∗ (4.1)<br />
ove, naturalmente, al secondo membro della (4.1) la dualità è fra V ∗ e V , mentre la dualità che<br />
compare al primo membro è fra V ∗∗ e V ∗ . Risulta allora giustificata la definizione che segue.<br />
4.1. Definizione. Sia V uno spazio normato. Si chiama biduale <strong>di</strong> V lo spazio V ∗∗ duale<br />
<strong>di</strong> V ∗ . Si chiama isomorfismo canonico <strong>di</strong> V , o iniezione canonica <strong>di</strong> V in V ∗∗ , l’applicazione<br />
J : V → V ∗∗ che a ogni x ∈ V associa l’elemento Jx ∈ V ∗∗ che verifica la (4.1). Lo spazio V è<br />
detto riflessivo quando il suo isomorfismo canonico è suriettivo.<br />
104<br />
Gianni <strong>Gilar<strong>di</strong></strong>